Gabriella Sica


Scritto autobiografico di Gabriella Sica

Sono nata proprio a metà del Novecento a Viterbo, all'alba di un 24 ottobre, nel segno inquieto dello Scorpione, ascendente Scorpione, accanto alla chiesa di Rosa, la santa guerriera dei miracoli, in cima ad un tortuoso vicolo che scende ripido aprendosi su piazza Verdi. Ho avuto il grande privilegio di trascorrere la mia infanzia avendo come stella polare, nei vagabondaggi della mia famiglia in alcuni paesi del centro Italia spesso vicini al Tevere, da Viterbo a Pontassieve e Orte, la campagna viterbese dove abitava mia nonna Candida e dov'era nata mia madre Felicetta, tra la natura e i boschi, all'ombra degli etruschi. Lì sono tornata sempre per tutte le mie vacanze almeno fino agli anni Ottanta, e lì comunque ritorno ancora.

Ma fatalmente, com'era inevitabile, da etrusca che ero, mi sono del tutto romanizzata. A dieci anni, all'inizio degli anni Sessanta, mentre l'Italia veniva rifondata e ferita nello stesso tempo, sono entrata a Roma in una casa appena costruita alle pendici di Monte Mario, al Trionfale, quasi calcando le orme degli eserciti imperiali prima e dei pellegrini poi. Da quel monte che i pellegrini chiamavano Monte Gaudio, rivolto sempre alle mie origini e al nord del Lazio dove sempre si ritornava con felicità, scendevo prima per passeggiare con i miei genitori e mio fratello a Villa Borghese o a San Pietro, poi per studiare al liceo classico "Terenzio Mamiani" in viale delle Milizie, e, dopo, per andare all'Università "La Sapienza", dove continuo ad andare come docente.

Il 1977 è stato l'anno della difficile e dolorosa "conversione", quando ho cominciato una "vita nuova" e a scrivere in modo "Nuovo". Sono entrata nel gennaio dell'anno successivo in una casetta con i vetri contro il cielo, in una Roma simile a un paese, a Trastevere, vicino a quello che era sempre stato il mio fiume. E' stato il mio "prato pagano", la mia terra di confine, non più con la mia famiglia e non ancora con una nuova famiglia: lì ho scritto due libri di poesia: La famosa vita (1986) e Vicolo del Bologna (1992), lì ho inventato e curato per l'editore Abete, dal 1980 al 1987, la rivista "Prato pagano" dove hanno esordito e pubblicato molti autori di una nuova generazione in una temperie culturale "revisionista" dei decenni che ci precedevano. Mi era molto chiara questa mia tensione controcorrente e tuttavia solo oggi so davvero riconoscerne l'esatto valore.

Ora vivo, da 1987, con la mia nuova famiglia, su un altro monte, ancora fuori dalle mura romane, nella mia "terza" Roma. Qui, poco dopo, ho scritto un libretto in prosa: E nato un bimbo (Oscar Mondadori,1990). Qui ho lavorato ancora sulla poesia contemporanea curando l'antologia La parola ritrovata Ultime tendenze della poesia italiana (Marsilio, 1995) e sulla rilettura della tradizione poetica italiana con il libro Scrivere in versi Metrica e poesia (Pratiche, 1996). E anche realizzando per Rai Educational, perché la memoria della poesia fosse reale e concreta anche visivamente, sei filmati sui grandi poeti del Novecento, Ungaretti, Montale, Pasolini, Saba, Penna e Caproni, i cui primi tre sono stati pubblicati in videocassetta da Einaudi nel 2000 e nel 2001.

Nel 1997 ho pubblicato le Poesie bambine, già annuncio e affluente delle Poesie familiari. Il paesaggio e il visibile, la memoria e il tempo sono i "miei" temi degli ultimi anni. Come nel radio documentario, trasmesso da Radio tre dall'1 al 5 maggio 2000, C'erano i contadini La Tuscia. L'ultimo libro, Sia dato credito all'invisibile Prose e saggi (Marsilio, 2000), racconta il mio pellegrinaggio di dieci anni ai luoghi della poesia, officina e laboratorio in prosa, quasi in controcanto prosastico, delle mie Poesie familiari.

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