Edmond de Goncourt

I fratelli Zemganno

COD: 6855456e2fe4 Categorie: , Tag:

Collana:
Numero collana:
83
Pagine:
256
Codice ISBN:
9788881124475
Prezzo cartaceo:
€ 16,00
Codice ISBN ePub:
9788864115122
Prezzo eBook:
€ 4.99
Data pubblicazione:
28-11-2003

Postfazione di Arnaldo Colasanti
Traduzione di Catherine McGilvray

Pubblicato nel 1879, I fratelli Zemganno è la storia di un sogno, verso il quale è tutta tesa la vita di due acrobati, l’ombroso Gianni e il solare Nello, due fratelli che, nonostante la differenza d’età, sono legati da un amore e da un’affinità intensissimi. Quando, alla morte dei genitori, Gianni decide di vendere il circo, i fratelli, dopo una tournée in Gran Bretagna, sono chiamati a dar prova della loro maestria al prestigioso Circo di Parigi, dove riscuotono un grande successo. Perfezionare la loro arte, realizzare quello che nessuno ha mai osato, sembra essere l’unico interesse di Gianni e Nello, la loro inestricabile ossessione, fin quando la tragedia verrà a sconvolgere la loro esistenza e solo l’affetto che li lega, sempre più esclusivo e profondo, potrà sopravvivere. I fratelli Zemganno, che segnò il ritorno di Edmond de Goncourt al romanzo dopo nove anni di inattività seguiti alla morte del fratello Jules, è una delle sue opere più riuscite, un grande affresco dove, nella varietà dei personaggi e nella metafora del mondo circense, vengono rappresentati il fermento e le suggestioni di un intero secolo.
“Là dunque, in estate, in autunno, nei giorni di bel tempo, i due fratelli suonavano il violino. Ma, in realtà, più che suonare insieme, si parlavano coi loro violini, ed era come una conversazione di anime”.

I FRATELLI ZEMGANNO – RECENSIONI

 

Mariolina Bestini, L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
– 01/06/2004

 

Letterature – I Fratelli Zemganno

 

Edmond de Goncourt, I FRATELLI ZEMGANNO, ed, orig. 1879, trad. dal francese di Catherine McGilvray, postfaz. di Arnaldo Colasanti, pp.241, € 15,50, Fazi, Roma 2003

Il 27 dicembre del 1876 Edmond de Goncourt annota nel Diario che, dalla morte del fratello Jules, scomparso nel 1870, redige da solo: “Oggi che il mio libro La Fille Elisa è quasi finito, comincia all’improvviso ad apparire e a disegnarsi in modo vago nella mia mente il romanzo con il quale sogno di prender congedo dall’immaginazione. Vorrei descrivere due clowns, due fratelli che si volessero bene come noi, mio fratello ed io. Metterebbero in comune la loro colonna vertebrale e cercherebbero, per tutta la vita, di realizzare un’acrobazia impossibile, che per loro sarebbe quello che è per uno scienziato la soluzione di un problema. Ci metterei molti particolari dell’infanzia del più giovane, e la fraternità del più vecchio, con un che di paterno. Il più vecchio rappresenterebbe la forza, il più giovane la grazia, con un certo carattere popolaresco e poetico, che sfocerebbe in quel tocco fantastico che il clown inglese introduce nelle sue prove di forza. Finalmente, riuscirebbero a mettere a punto la loro acrobazia, a lungo irrealizzabile per ragioni di mestiere; ma la vendetta di una cavallerizza, di cui il più giovane avrebbe respinto l’amore, la farebbe fallire”. Il romanzo, che Edmond pubblicherà tre anni dopo, seguirà fedelmente questo primo abbozzo, che già ne contempla anche la conclusione straziante: Il più giovane, per il fallimento dell’acrobazia, avrebbe i due femori spezzati; e, una volta saputo che non potrà continuare a fare il clown, anche il fratello abbandonerebbe il mestiere per non spezzargli il cuore. Qui, inserire tutti i dolori morali che ho intravisto in mio fratello, quando ha sentito che il suo cervello non era più in grado di produrre”. Autobiografia trasposta, ma anche celebrazione del mondo del circo e dei suo “comico assoluto” ammirato da Baudelaire, I fratelli Zemganno è probabilmente la più moderna delle opere di Edmond de Goncourt e una delle più originali del secondo ottocento francese.

 

Giuseppe Scaraffia, IL SOLE 24 ORE
– 15/02/2004

 

Fratelli nella disperazione

 

Edmond de Goncourt “I fratelli Zemganno”, trad. Catherine McGilvray, Fazi, p.242, e.15,50.

Troppo ricchi, distinti e permalosi, Jules e Edmond de Goncourt non sembravano fatti per la vita dello scrittore. Tutti i loro colleghi, da Balzac a Maupassant e Zola, avevano dovuto lavorare per vivere. La rendita dei due fratelli equivaleva al doppio dello stipendio di un capoufficio.
I “cagnolini”, come li aveva soprannominati Flaubert, erano uniti come le due dita della mano incisa sul loro ex-libris. Edmond, diceva Jules, “è un passionale tenero e malinconico, mentre io sono un materialista malinconico”. Guardavano con disgusto il loro secolo dominato dal denaro e dalle folle senza volto. Disprezzavano la banalità e la falsità dei libri dei contemporanei.
Per attutire la differenza d’età – otto anni – condividevano il sarto, il calzolaio e il parrucchiere. Lavoravano allo stesso tavolo, dormivano nello stesso letto, quello della principessa de Lamballe. Mangiavano gli stessi piatti, avevano le stesse idee, lo stesso modo di esprimersi, gli stessi inderogabili orari. Usavano sedie a dondole gemelle, legate da una correggia di cuoio, in modo che non potessero scostarsi. Si sentivano “come le donne che vivono insieme, a cui vengono le mestruazioni contemporaneamente”.
Condividevano persino l’amante, Maria, una levatrice procuratrice d’aborti bionda e procace, con dolci occhi azzurri e “l’ampiezza e la maestà di una dea di Rubens” . Insaziabile, Maria “fa come il pubblico: accetta la nostra collaborazione.”
Furono I Goncourt a lanciare l’esotismo del Giappone, coniugandolo con l’adorato Settecento. La loro casa, squisitamente arredata, era la trincea da cui combattevano il mondo, la sua volgarità, le sue meschinità, facendo delle brevi sortite in società per alimentare il loro diario, il minotauro nascosto nel labirinto di stampe, libri e soprammobili.
Mai due isolati furono più socievoli. Ma era solo un’apparenza. Ombrosi e irritabili, sensibili e crudeli esploravano i salotti di Parigi come una pattuglia smarrita in un territorio nemico, pronta a ferire e ad essere ferita.
Il loro vero carattere era quello del collezionista. I libri migliori, da “La Fille Elisa” ai ritratti del XVIII secolo, nascevano da una collezione di fatti. Il loro vero monumento, il “Journal”, fu una straordinaria collezione di giornate, aneddoti, pettegolezzi, frasi, colpi d’occhio. Anche se Proust li prese in giro in un celebre “pastiche”, dopo di loro non fu più possibile mentire sulla vita letteraria e artistica dell’Ottocento. Il loro cannocchiale, o meglio il loro microscopio, fu il loro senso di fallimento, la loro invidia per il successo dei colleghi.
I fratelli lavoravano molto sullo stile, rovistavano tra i vocaboli come tra le cianfrusaglie di un rigattiere, alla ricerca della parola dimenticata, rinconoscibile solo dall’orecchio più esperto. Quel che nasceva, era un linguaggio ibrido e pittoresco, un mosaico di parole desuete e di neologismi. Jules avrebbe voluto scrivere un libro solo, sottile e supremo come quello di La Bruyère. Invece produssero una lunga serie di volumi in cui l’essenzialità veniva prodotta proprio dall’accumulo di infinite minuzie.
Il diario fu la loro vendetta e Edmond, rimasto solo, non esitò a pubblicarne delle parti lievemente purgate, stupendosi della rabbia dei conoscenti, registrati nella luce più cruda dalla loro penna. La sconfitta, l’incapacità di farsi accettare dalla società letteraria del tempo, si era tramutata in una vittoria. Amara certo, ma non lo sono sempre le vittorie? Senza di loro non avremmo mai sorpreso l’eremita di Croisset, Flaubert, intento a corteggiare i potenti. Non avremmo mai sospettato che Turgenev potesse essere “un porco con una vernice di sentimentalismo” e Maupassant un esibizionista ossessionato dall’erotismo.
Jules e Edmond erano più schifiltosi che voluttuosi. Lo spettacolo della degradazione della loro cameriera, arrivata a pagare dei giovanotti per farsene amare, aveva generato in loro “la diffidenza verso tutto il sesso femminile”. Ma la loro misoginia era contradditoria. Da un lato erano convinti che molte donne si prostituissero soprattutto per soddisfare un’inestinguibile voracità sessuale. Dall’altro la donna sembrava loro “un animale più ragionevole dell’uomo …le donne guardano al loro sesso come a uno strumento per guadagnarsi da vivere..per le povere e per le ricche, il sesso è una carriera.”
La tragedia della loro vita era stata la scoperta, nel 1850, della sifilide di Jules, il minore. I fratelli si erano ulteriormente chiusi su quel dolore segreto. Allora avevano iniziato a tenere un diario, un’ “autobiografia giorno per giorno”, in cui annotavano le loro emozioni e i fatti della giornata trascorsa.
Nel 1870, mentre la Francia cedeva sotto la spinta delle truppe prussiane, anche la malferma salute di Jules vacillò definitivamente. Il malato non riusciva più nemmeno a tenere in mano la penna e il fratello, straziato, annotava I progressi della sifilide, fino alla paralisi generale e alla morte.
Disperato, Edmond, impietosamente soprannominanto “la vedova”, aveva a lungo annaspato nell’incertezza. Poi aveva deciso che la scomparsa di Jules – “Era il preferito della mamma!” – lo impegnava a proseguire l’opera che avevano iniziato insieme. Il primo libro dopo il trauma, “I fratelli Zenganno”, ottimamente tradotto da McGilvray, è un malinconico omaggio al passato. I costumi da saltimbanco dei protagonisti velano appena la vera identità della coppia di artisti che, come I Goncourt, avevano “un solo amor proprio, una sola vanità, un solo orgoglio”.
L’ultimo atto di Edmond – vendere all’asta la loro collezione – era il gesto di chi, sentendosi morire, libera gli uccelli dalla voliera. Il risultato, l’Académie e il premio Goncourt, ora al suo centenario, assomigliano un po’ al loro creatore. Sono frondisti, ma elitari. Non a caso sarebbe stato premiato un giovanotto ebreo di cui non si fa menzione nel “Journal”, uno di quei letterati borghesi con la casa piena di cose di pessimo gusto: Marcel Proust.

 

I fratelli Zemganno - RASSEGNA STAMPA

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