Carolyn Parkhurst
I cani di Babele
Traduzione di Monica Pavani
Cosa potrebbero dirci i cani se sapessero parlare? Nel caso di Lorelei, protagonista di questo romanzo, la verità sulla morte della sua padrona. Un esordio narrativo che si è tramutato immediatamente in un grande bestseller, in corso di traduzione in tutto il mondo. Cosa succedde veramente nel cuore di un uomo di fronte a una perdita inspiegabile ed esiste un modo per insegnare a un cane a parlare? Nel caso di Paul Iverson, professore di linguistica, la cui moglie, Lexy Ransome, un giorno precipita da un melo in giardino e muore sul colpo, sotto i soli occhi vigili del cane Lorelei, la questione può assumere importanza vitale. Troppe sono le incongruenze che saltano agli occhi addolorati di Paul, costretto a scartare l’ipotesi di un incidente e a scendere dalla sua cattedra di professore per addentrarsi in due ricerche parallele che lo condurranno a una conclusione inaspettata. La prima – folle impresa cui lui si sforza di dare parvenza scientifica – è, appunto, far sì che il cane impari le parole necessarie per riferirgli l’accaduto. La seconda, trasformare il lutto in un cammino a ritroso di conoscenza della moglie scomparsa. Rischiando di compromettere anche la carriera universitaria, Paul si addentra nell’irrazionalità della moglie, quasi fosse un oscuro ma affascinante girone infernale. Alla fine, Paul arriva ad accettare il mistero profondo della consorte, forse il modo più vero di continuare ad amarla. La Parkhurst tiene avvinto il lettore senza consentirgli di allentare un istante l’emozione, perché con Paul ha creato un narratore indimenticabile e commovente. I cani di Babele è una grande, toccante, originale storia d’amore e di conoscenza ed è stato giustamente riconosciuto dalla critica e dai lettori come uno dei migliori esordi letterari degli ultimi anni. Vero e proprio bestseller in USA (con mesi di permanenza in tutte le classifiche), I cani di Babele è stato tradotto in tutto il mondo.
– 01/07/2004
Carolyn Parkhurst, I cani di Babele, traduzione di Monica Pavani, Fazi, Roma, pp. 241, € 15
A Babele, da quanto si legge nella Bibbia (Genesi 11,1-9), pare sia stato redatto l’atto di nascita della “confusione” e delle seimila lingue, scaturite da quella, unica e mitica, con cui tutti gli uomini, prima della loro presunzione di “salire fino a Dio”, comunicavano felicemente (almeno si suppone); ora, se a queste si potesse aggiungere anche il linguaggio dei cani, si potrebbe, certamente, far luce su qualche “personale” mistero. E ciò che crede possibile il tenace glottologo Paul Iverson, protagonista e narratore della storia, nel romanzo della giovane statunitense Carolyn Parkhurst, I cani di Babele. Romanzo accattivante sia per gli elementi artistici e narrativi sia per quel “quid” di relativo che si aggira pensoso ed estraneo tra una fantasia galoppante ed una realtà sfuggente.
Paul, serio docente universitario di linguistica, si trova ad affrontare una improvvisa quanto inspiegabile vedovanza per la morte dell’amata Lexy, avvenuta in circostanze misteriose (la caduta da un albero di mele, nel giardino di casa) che possono far pensare sia ad un suicidio che ad una tragica fatalità. Non accettando la versione della morte accidentale, sottoscritta della polizia locale, Paul vuol saperne di più. Ottenebrato dal dolore, segue la balzana idea di insegnar al cane Lorelei, unico testimone quel pomeriggio nel giardino, a parlare, o quantomeno a comunicare sia pure in modo grossolano, per tentare di ricostruire gli ultimi drammatici momenti della vita della moglie, altrimenti avvolti nella nebbia. Non è tanto alla morte, nella sua gelida imparzialità, che egli si oppone, quanto al suicidio, che ai suoi occhi diventa la spiegazione più probabile. Perché Lexy lo avrebbe fatto? Rievoca così gli episodi principali della vita vissuta insieme e, con il senno del poi, gli sembra di capire le motivazioni di alcuni fatti accaduti. Paul si muove quasi in modo surrealistico, ma disegnando un diagramma umano del più vasto interesse con la piena aderenza di se stesso ad un’atmosfera di mistero da cui emerge una gamma di situazioni e di sfumature. Pagina dopo pagina si delinea il ritratto di Lexy, un personaggio affascinante e contraddittorio: estrosa creatrice di maschere “rivelatrici” (addirittura della personalità nascosta della persona che le indossa), ma soprattutto donna anticonformista, appassionata e vulnerabile, terrorizzata dall’idea della maternità. Grazie anche alla brillante traduzione di Monica Pavani, il lettore avverte una particolare sincronia della scrittura con il flusso ininterrotto dei filoni narrativi, ove si alternano luci e ombre, con segni che vibrano qua e là, quasi per il gusto della scrittrice di correre in lungo e in largo in un mondo di mutevoli immagini o di cose vive e cangianti; il tutto provocato o suscitato dall’altra vita di Lexy che Paul via via scopre. Il libro coniuga molto bene il ricordo con il dolore, l’analisi introspettiva con la suspense (quasi da giallo), le emozioni con i sentimenti. Elemento non trascurabile è l’amore per gli animali, e per i cani soprattutto, che in cambio di poco possono dare molto: “i cani prima di tutto sono dei testimoni. Hanno libero accesso ai nostri momenti più privati… Se potessero raccontarci le scene che hanno visto, le lacune delle nostre vite si colmerebbero una a una”. Carolyn Parkhurst, scrivendo con ironia leggera e con “il gusto del paradosso” questo suo primo romanzo, ci regala, in sostanza, pagine di moderna letteratura, ritmate e ben scritte e ci insegna un nuovo modo di leggere la realtà con tutte le sue “maschere” e, in particolare, “la maschera della lingua” che può nascondere dei fatti o svelare l’essenza.
– 10/02/2004
Chiedere aiuto al cane
Una morte dai contorni strani segna la vita di una coppia sino a quel momento felice. Lexy, un’artista che realizza maschere così vive da lasciare nell’inquietudine quelli che la guardano, cadendo da un albero, muore nel giardino di casa, davanti agli occhi solo del cane di famiglia, Lorelei. Paul, il marito di Lexy, sembra non rassegnarsi. Non alla morte, davanti alla cui ineluttabilità china il capo, quanto al fatto di non avere compreso come essa sia riuscita a prendersi in modo così repentino la donna che amava oltre ogni limite. Ma a chi chiedere aiuto? A nessuno – e qui sta la grande originalità del romanzo -, ad eccezione di Lorelei che, per Paul, diviene una “persona” con la quale dialogare, per riuscire ad avere risposte a tutti i quesiti che gli rimbombano nel cervello. “I cani di Babele” è un romanzo delicato, ma al tempo stesso espressione della potenza irrefrenabile che nasce dall’amore e dalla ribellione. Carolyn Parkhurst (al romanzo d’esordio) mischia con grande sapienza le tematiche del sentimento e quelle del mistero, portando quest’ultimo spesso ad un passo dalla paura. Come quando, “leggendo” segnali e indizi (una strana disposizione dei libri sugli scaffali, telefonate alle quali rispondono sconosciuti), Paul si convince che in casa qualcosa lo leghi an
– 18/04/2004
I cani di Babele
Nel mare magnum del pubblicato contemporaneo è ormai difficile scovare un romanzo che sia bello davvero, che riunisca in sé i tratti della semplicità e della potenza, che racconti con stile decente una storia originale e, nel contempo, insegni qualcosa, anche solo a guardare con occhi diversi il proprio cane. Oppure, quel che ai più importa, la fine di un amore. Questa fortuna e questa gentilezza la concede Carolyn Purkhurst con “I cani di Babele” (Fazi editore, 15 euro), un esordio illuminante e profondo che si legge in un fiato e che gli spezzati di cuore potranno tenere accanto a sé, piccola luce nei momenti di sconforto. La storia comincia con la morte di lei, caduta da un melo, e con lui che non si rassegna. Come è successo questo, perché? Lui ripercorre il loro amore per cercare tracce, motivi, e in questa puntigliosa indagine coinvolge, con scelta bizzarra, anche il cane di casa, Lorelei, unico testimone della misteriosa disgrazia. La fine è come il profumo di una fragola. Pieno di speranza.
– 01/02/2004
Elle
Una donna sale su un albero in giardino e cade. Il suo cane abbaia per fermarla. Sono gli ultimi momenti di Lexy, moglie molto speciale e molto infelice. Suo marito Paul cerca di capire: unici indizi uno strano ordine nei libri di casa e la testimonianza muta del cane che qualche matto, già in prigione per maltrattamenti sugli animali, sostiene possa parlare. Intenso, febbrile, surreale, un giallo inclassificabile che piace meno quando schiaccia l’occhio alle storie di paura ma si fa perdonare per il valore aggiunto di poesia sull’amore. E sull’amore dopo la morte.
– 23/02/2004
La verità con gli occhi di un cane
Una morte dai contorni strani segna la vita di una coppia sino a quel momento felice. Lexy un’artista che realizza maschere così vive da lasciare nell’inquietudine chi le guarda, cadendo da un albero muore nel giardino di casa, davanti agli occhi del cane di famiglia, Lorelei. Paul, il marito di Lexy, sembra non rassegnarsi. Non alla morte quanto al fatto di non avere compreso come essa sia riuscita a prendersi in modo così repentino la donna che amava oltre ogni limite. Ma a chi chiedere aiuto? A nessuno – qui sta l’originalità del romanzo di Carolyn Parkhurst “I cani di Babele” (Fazi, pagg. 241, euro 15,00) – ad eccezione di Lorelei che, per Paul, diviene una “persona” con la quale dialogare, per riuscire ad aver risposte a tutti i quesiti. Un romanzo delicato, ma al tempo stesso espressione della potenza irrefrenabile che nasce dall’amore e dalla ribellione.
– 01/03/2004
I CANI DI BABELE
Seguendo le note biografiche non è dato sapere quanto di personale scorra sotto la trama di questo romanzo, quanto di trasposto vi sia nella febbre da suicidio, da perdita di controllo, nel disgusto di sé che pervadono la vita di Lexy, personaggio dalla cui morte prende vita l’esordio di Carolyn Parkhurst, esempio della stessa prosa confessionale che ha reso memorabili alcune pagine
di Hubert Selby Jr. Tutto ciò che è dato sapere si esaurisce nell’amore dell’autrice per Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides e nella gravidanza che ha accompagnato la stesura del libro.
Nello psicodramma di un linguista incapace di elaborare razionalmente la scomparsa dell’amatissima moglie, attraverso il sogno irrealizzabile di donare la parola al proprio cane, Parkhurst elabora la cronaca di un amore impossibile, centellinando i dettagli sui
luoghi oscuri di una quiete domestica solo apparente, ora estraendo con ritmo quasi perfetto i sentimenti più riposti ora dissezionando con freddezza, ricordo dopo ricordo, il quotidiano. Il romanzo che ne emerge è la glorificazione di un’esistenza nevrotica e discontinua, in cui l’ineluttabilità di un destino di perdita si riflette nel dolore indomabile di Lexy per una vita ingrata,
odiata, che non vale la pena di essere vissuta, ma che pure è amata nei volti e nei corpi di un marito, di un cane, di una normalità. Realizzato in un cross-cutting continuo fra i ricordi e una realtà fatta di ossessioni e tentativi disperati quanto assurdi, tra melodramma ed elementi da giallo moderno (la morte misteriosa, l’associazione di malviventi, il rapimento dell’animale), I cani di Babele trasmette il dramma della morte senza renderlo struggente, con un linguaggio visivo a volte patetico ma sempre penetrante perché incredibilmente comune. A lasciare il segno, permettendo al romanzo di sfiorare il capolavoro (quantomeno sul terreno della forma), è un’atmosfera pesante che sconvolge senza stupire, la sensazione di freno, di vitalità che non può fluire liberamente verso un epilogo che attende solo di essere celebrato.
– 06/03/2004
Così finiscono le coppie
Se si traducono tanti narratori di lingua inglese, il motivo è l’altissima qualità media del mestiere di costoro: in quei paesi la competizione è così ampia, che per essere presi in considerazione dagli editori bisogna avere una marcia in più.
La differenza semai la fa la materia, e gli scrittori del Terzo mondo, in grado di offrire ambienti e situazioni meno scontati, partono con un vantaggio. Così l’autore occidentale e borghese , che, guardandosi intorno trova poco di nuovo dove attingere, punta sulla confezione- sulla trovata in cui avvolgere il risaputo.
La giovane romanziera esordiente americana Carolyn Parkurst bravissima, ma ha vicende comuni e coppie più o meno normali, in compenso le racconta in modo inconsueto.
Di solito le storie finiscono con una più morti; qui la morte dei protagonisti , o almeno della protagonista , non solo non conclude il libro, ma è già avvenuta prima dell’inizio , il resto non è che discussione commento, esplorazione e investigazione di questa morte.
La protagonista Lexy Ransome è morta prima dell’inizio del romanzo cadendo da un albero di mele nel suo giardino , unica testimone la cagna Lorelei . Per la polizia è stato un incidente , ma il vedovo Paul, vuole saperne di più. Siccome è un linguista, pensa follemente che se riuscisse a insegnare a Lorelei a esprimersi potrebbe interrogarla : e conquistato da questa idea , si abbandona ad una serie di dilettanteschi tentativi sull’animale.
Intanto abbiamo flashes sul passato della coppia per convincerci della legittimità della sua ossessione, Paul, che racconta in prima persona, non si stanca di rievocare il fascino e l’imprevedibilità della sua Lexy, estrosa creatrice di maschere, ma soprattutto donna anticonformista, appassionata e affscinante, ipersensibile e vulnerabilissima , terrorizzata per esempio dall’idea della maternità.
Mentre lavora sodo per convincerci della desiderabilità di una simile partner, dalla quale persone più assennate di lui sarebbero scappate a tutta velocità, Paul entra in contatto con una setta semisegreta che compie atroci esperimenti sui cani per modificare la loro laringe rendendola simile a quella umana. E’ roba da chiodi ma prima che Paul apra gli occhi Lorelei viene rapita…
Insomma. Si concluderà con una sorta di concliazione-accettazione di quanto era accaduto ; il messaggio di Lexy, dopotutto non senza una sorta di mediazione della cagna, perverrà; il superstite si farà una ragione.
– 20/02/2004
Se il testimone è un cane, bisogna farlo parlare
Beati gli americani che sfornano nuovi talenti come noi scandali finanziari. L’ultimo caso è l’americana Carolyn Parkhurst, 32 anni, il suo primo romanzo è stato immediatamente accostato al libro evento Amabili resti di Alicia Sebold. Lexy, la moglie di Paul Iverson, professore di linguistica, muore cadendo da un melo mentre è sola in casa. Ma perché è salita sull’albero? Per raccogliere mele e fare una torta? Strano. Incidente o suicidio? L’unico testimone è il cane. L’inconsapevole vedovo decide di insegnare a parlare a Lolelei. Nella sua inchiesta, ripercorrendo la vita con Lexy, Paul capirà finalmente chi era la donna che amava e troverà la verità.
Esordire con una storia strana è rischioso, i lettori potevano non capire.
“Sì, ma mi sono detta: il mio protagonista è disperato e nella sua ricerca, nel suo dolore deve fare qualcosa di imprevedibile”.
Lei in fondo dice: il modo in cui le cose finiscono cambia la visione del passato.
“Morta Lexy, Paul comincia a dubitare dei ricordi e persino del passato. La domanda che pongo ai lettori è: fino a che punto possiamo dire di conoscere una persona? Diciamo sempre tutto all’amato?”.
Se non possiamo cambiare gli eventi, accontentiamoci di comprenderli.
“Sì, Paul nella sua elaborazione del lutto impara a ricordare Lexy in modo realistico, senza metterla su un piedistallo e neanche svalutarla”.
Lei ha un cane?
“Non più, è morto mentre scrivevo il libro. È lui l’ispiratore del romanzo, e il dolore mi ha aiutato a fare di Lorelei un personaggio fondamentale”.
– 07/02/2004
Gli onesti segreti
C’è un giardinetto sul retro di una casa di legno, in una cittadina universitaria dell’America colta e creativa. Una giovane moglie, brillante artista e bella donna, sale sul melo del giardino, precipita al suolo e muore. Lasciando il marito, studioso di linguistica, a chiedersi se la morte sia davvero accidentale, come sostiene il pigro investigatore della polizia o il frutto di un suicidio meditato a lungo.
Unico testimone il cane della coppia, cui il giovane vedono vorrebbe insegnare a parlare.
Impegnato in un’impresa disperata e paradossale di cui a poco a poco riconoscerà l’assurdità, il professor Paul Iverson scoprirà molte cose del suo matrimonio e di sua moglie che fingeva di non sapere. Esordio della trentenne Carolyn Parkhurst, I cani di Babele ha replicato in patria il successo di Amabili resti di Alice Sebold. Accomunano le due storie l’originalità nel raccontare il lutto per una morte violenta e alcune brillanti invenzioni narrative. Se I cani di Babele ha una pecca, è nel mostrare a tratti la lezione dei corsi di creative writing come se non fosse del tutto metabolizzata.
Ma il romanzo tiene, non solo perché abilmente scritto ma perché Parkhurst racconta con saggezza e senso della suspense la solitudine che si conserva anche nella più lunga e collaudata delle convivenze amorose. Il diritto a mantenere segreti e a essere perdonati per averli mantenuti. Il diritto a restare, a dispetto di ogni amore, assolutamente soli.
– 22/02/2004
Il cane testimone dell’omicidio
Un romanzo d’amore e di dolore scritto con ironia leggera e partecipazione, un volo della fantasia che insegna un modo nuovo di leggere la realtà. Una storia sugli inganni e le scoperte della lingua, maschera infedele che nel contempo nasconde e svela l’essenza dei fatti.
Si comincia con una fine: Paul, dicente universitario di linguistica, tornando a casa dalle lezioni trova il suo appartamento invaso dalla polizia. Lexy – sua moglie, artista stravagante e fascinosa, creatrice di maschere di cartapesta – è morta cadendo da un albero di mele del giardino. Unico testimone della tragedia è il cane di casa, Lorelai. Paul, sconvolto, è pronto a tutto pur di conoscere il perché della morte di Lexy e decide di farlo nell’unico modo possibile: insegnerà a Lorelai a parlare. Circondato dallo scetticismo generale, Paul si getta nell’impresa con il rigore e la fede del vero scienziato. Nelle sue ricerche verrà a contatto con un mondo sommerso e inquietante di fanatici della sperimentazione canina – la misteriosa Società Cerbero – e più di una volta sfiorerà da vicino il pericolo. Lorelai, è ovvio, nonostante gli sforzi del suo padrone, non aprirà mai la bocca se non per abbaiare e terrà per sé il suo segreto.
A parlare, però, saranno gli indizi sparsi per casa da Lexy, i messaggi cifrati, gli oggetti, ma soprattutto i ricordi. Guardando indietro al suo matrimonio, ai giorni passati con la moglie, Paul troverà da solo l chiave che spiega la fine di Lexy e del suo mondo magico e disperato. Insegnando al suo cane a parlare, imparerà lui stesso a far parlare la vita e ad ascoltarne la voce profonda. I cani di Babele è il romanzo d’esordio di Carolyn Parkhurst, autrice trentaduenne di Washington D.C.
– 28/02/2004
Romanzo d’amore e nostalgia
Lexy, moglie amatissima, muore in circostanze davvero strane. Solo il cane Lorelei è stato testimone. Ma non sa parlare. Per lo meno non conosce l’uso dell eparole. Paul, il marito, ricostruisce la storia del loro matrimonio, dal giorno del loro incontro alla sera antecedente alla tragesia. “Se i cani potessero raccontarci le scene che hanno visto, le lacune delle nostre vite si comerebbero una a una” pensa. Ma deve riuscire da solo a mettere in fila i ricordi e a interpretarli. Così da scoprire la verità. Quando il cane è davvero amico dell’uomo.
– 10/02/2004
Esordi letterari
Una morte dai contorni strani segna la vita di una coppia sino a quel momento felice. Lexy, un‚artista che realizza maschere così vive da lasciare nell‚inquietudine quelli che le guardano, cadendo da un albero, muore nel giardino di casa, davanti agli occhi solo del cane di famiglia, Lorelei. Paul, il marito di Lexy, sembra non rassegnarsi. Non alla morte, davanti alla cui ineluttabilità china il capo, quanto al fatto di non avere compreso come essa sia riuscita a prendersi in modo così repentino la donna che amava oltre ogni limite. Ma a chi chiedere aiuto? A nessuno – e qui sta la grande originalità del romanzo -, ad eccezione di Lorelei che, per Paul, diviene una „persona‰ con la quale dialogare, per riuscire ad avere risposte a tutti i quesiti che gli rimbombano nel cervello. „I cani di Babele‰ è un romanzo delicato, ma al tempo stesso espressione della potenza irrefrenabile che nasce dall‚ amore e dalla ribellione. Carolyn Parkhurst (al romanzo d‚ esordio) mischia con grande sapienza le tematiche del sentimento a quelle del mistero, portando quest‚ultimo spesso ad un passo dalla paura. Come quando, „leggendo‰ segnali e indizi (una strana disposizione dei libri sugli scaffali, telefonate alle quali rispondono sconosciuti), Paul si convince che in casa qualcosa lo leghi ancora a Lexy.
– 05/02/2004
La donna che fece parlare il cane
Immagino che questo libro verrà sintetizzato e ricordato come “la storia di un uomo la cui moglie cade da un albero e muore; poiché solo il cane è testimone, l’uomo, un linguista, cerca di insegnare al cane a parlare perché gli racconti che cosa è successo”. Vero. Ma la verità può essere una falsa pista. Ci fa imboccare la strada principale e non ci accorgiamo che è altrove che eravamo diretti: un percorso secondario e più faticoso.
All’inizio dei “Cani di Babele” Lexy, la moglie del linguista, è precipitata dal melo e lui comincia la sua folle indagine, immerso nelle nebbie della ragione che seguono al lutto, incrociando sadici mutilatori di cani e sensitive telefoniche a cinque dollari al minuto. Il racconto del presente si incrocia con la rievocazione della sua storia d’amore, scandita da uova quadrate, maschere funerarie (“anime come panni sporchi”), sogni e frasi premonitrici (“Mi ricordo mia moglie in bianco”). Leggendo, fin dal primo appuntamento, viene la tentazione di urlare all’uomo: “Scappa!”. Si sa già che la sposerà, eppure: “Scappa! Finchè sei in tempo, scappa!”. Perché è chiaro che Lexy porta guai, li ha dentro di sé, nell’anima come un panno sporco, nel “secondo cuore”, nell’incapacità di affrontare la vita. L’amore non è cieco, parrebbe: si copre gli occhi con la fiducia di poter risolvere tutto, anche gli inguaribili guai dell’anima altrui. Troppo tardi il linguista ammette a se stesso: “C’è gente che vive con molti meno problemi. Persone che non devono preoccuparsi che il minimo gesto di gentilezza da parte loro possa suscitare la furia di chi amano”. Troppo tardi arriva a una verità secondaria eppure decisiva che tutti oltrepassiamo sulla strada delle illusioni. E’ una verità riassunta da una frase detta da Geoffrey Rush in un bellissimo film australiano chiamato “Lantana”. Anche sua moglie muore in un incidente, anche lui non è capace salvarla. Dice la frase che tutto spiega a un poliziotto. Gli dice: “Love is not enough”, l’amore non è abbastanza. Qualche volta è, desolatamente, così. Qualche volta, con tutto l’amore di cui si è capaci, che ha sempre dei limiti, non si possiedono antidoti per le altrui furia, innata sofferenza, spavento di sé. Di questo parla il cane del linguista, nel suo naturale silenzio. Di questo parla Carolyn Parkhurst. E anche dell’innominabile, ma sincero sollievo di perdere chi si è amato, ma non sapeva farsi amare.