Abdelkader Benali

La lunga attesa

COD: faa9afea49ef Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
89
Pagine:
270
Codice ISBN:
9788881126002
Prezzo cartaceo:
€ 13,50
Data pubblicazione:
24-02-2005

Traduzione di Claudia Di Palermo

Come nel suo precedente Matrimonio al mare, Benali gioca con le due realtà, quella marocchina e quella occidentale, osservandole con il suo sguardo scanzonato e partecipe, ricco di intelligenza e umanità. Una sala parto, la notte di Capodanno. Una giovanissima coppia sta per dare alla luce il suo primo figlio. Lui, Mehdi, marocchino di seconda generazione, timido e sognatore; lei, Diana, olandese, biondissima e sicura del fatto suo. Due famiglie sconclusionate e un bebè in arrivo che, prima di lasciare la pancia della mamma, decide di prendere in mano le redini della situazione e di raccontare le storie del passato, quelle che potranno unire questa nuova, strana famiglia di solitari che è sul punto di nascere. E allora a questo parto rinviato si presenta una piccola folla di personaggi di ieri e di oggi: nonno Driss, il macellaio che vorrebbe partire per La Mecca ma ha paura di volare ed è patologicamente incapace di superare l’esame di guida; nonna Malika, che legge il futuro nei bicchieri del tè e si ostina a cercare una moglie adatta per suo figlio. E poi nonna Elisabeth, che dal primo marito ha imparato la saggezza degli indiani d’America. E ancora, l’amico rapper marocchino che muore schiacciato dal frigorifero, il gigante capoverdiano convertito all’islam, l’amica del cuore che nonostante l’educazione cattolica si offre per comprare il test di gravidanza. Ma c’è anche Rotterdam, la città in cui culture diverse vivono una accanto all’altra, come una strada piena di negozi in cui si susseguono insegne nelle lingue di tutto il mondo. Dopo aver “srotolato” tutte le storie come tanti tappeti, solo allora si potranno rompere le acque e vedrà finalmente la luce il frutto di questa lunga attesa. La lunga attesa è un romanzo d’impianto polifonico, con uno stile singolare e un ritmo di narrazione capriccioso. La storia è divertente e surreale, a tratti commovente, immersa in un’atmosfera di realismo magico.

LA LUNGA ATTESA – RECENSIONI

 

LA REPUBBLICA
– 26/06/2007

 

Tascabili

 

 

 

Irene Vallone, FAMIGLIA CRISTIANA
– 10/07/2005

 

Il mondo in sala parto

 

“Uccidere un bambino è inconciliabile con la fede”. Mehdi Ajoub, anche se è ancora un ragazzo, non ha bisogno di andare dall’imam per farselo spiegare. Così nero e biondo si fondono nella penombra di una sala parto di Rotterdam. La notte di Capodanno, la sua compagna di scuola Diana mette al mondo una creatura speciale, che sa raccontare la lunga e miracolosa attesa della sua stessa vita. I suoi vagiti letterari diventano un inno all’in-tegrazione razziale, e il figlio della Mecca Abdelkader Benali il miglior autore della terra dei tulipani.

 

Francesca Gennari, DOLCE ATTESA
– 01/05/2005

 

Due culture a confronto

 

“Ho un dono. Ecco, ora l’ ho detto. Mi stanno aspettando, manca poco all’inizio del nuovo anno, ma voglio rimandare la mia nascita ancora un po’: uscirò sol quando ci saranno tutti”. Comincia così questo originale e delicato romanzo sull’attesa. Due famiglie un po’ particolari, una olandese e l’altra marocchina, emigrata da qualche anno a Rotterdam, si trovano in ospedale in occasione della nascita di un bambino. E lui, anche se è ancora nel pancione della mamma, è già il vero protagonista del racconto: conosce le vicende dei presenti e decide di raccontarle. A partire dalla storia dei giovanissimi genitori, Mehdi e Diana, che si sono subito innamorati, nonostante appartenessero a culture molto diverse. Per proseguire con i nonni, i parenti e gli amici della coppia. La “lunga attesa” del bebè finirà solo quando le due famiglie si saranno riavvicinate.

 

Pino Casamassima, LETTURE
– 01/05/2005

 

Album di famiglia cosmopolita

 

Durante la notte di capodanno, una giovane scoppia sta per dare alla luce il suo primo figlio. Lui, Mehdi, è marocchino, lei, Diana, olandese. Una famiglia assortita, insomma, quasi bizzarra, vuoi per le rispettive provenienze vuoi per la giovanissima età di questi genitori. Stravaganze captate dal frutto di quell’amore che sta per venire al mondo: prima di lasciare la pancia della mamma, il nascituro decide infatti di mettere ordine a quella situazione, tratteggiando le storie del passato e quelle che potranno unire questa nuova, strana famiglia.
Ecco quindi una serie di personaggi di ieri e oggi. C’è nonno Driss, un macellaio che vorrebbe partire per la Mecca ma ha paura di volare, oltre a essere assolutamente negato per la guida di una vettura. C’è nonna Malia, che scruta i futuro neo confini dei bicchieri di tè, e che ha come obiettivo inderogabile e ossessivo quello di cercare la moglie più idonea per suo figlio. E poi c’è nonna Elisabeth, che dal primo marito ha ereditato la saggezza degli indiani d’America. Ma non basta, a questi personaggi familiari se ne aggiungono altri: l’amico rapper marocchino, che muore schiacciato da un frigorifero, il gigante capoverdiano convertito all’islam, l’amica del cuore che, nonostante l’educazione cattolica, si offre per comprare il test di gravidanza. E infine c’è pure lei: Rotterdam, la città in cui vivono tutte queste persone, tutte queste storie, che si uniscono, s’intrecciano le loro provenienze diverse per formare un unicum nuovo e formidabile proprio perché ricco di tante eredità culturali.
Solo dopo aver messo ogni storia al suo posto e aver quindi composto il mosaico del passato e del presente, il nascituro potrà finalmente inserirsi in quella grande, unica storia che è la vita. La lunga attesa è un romanzo dallo stile immediato quanto asciutto, che gioca su più sponde, movendosi disinvoltamente fra sentimento e surreale. Unico appunto, una copertina che rimanda più a un manuale da puerpere che a un romanzo di tale forza cromatica.

 

Davide Zangone, LA RIVISTERIA
– 01/04/2005

 

Le contaminazioni di Abdelkader Benali

 

Da berbero in trasferito in Olanda , nei suoi libri gioca spesso con le due componenti della sua culture: Rotterdam e il Marocco, le dighe dei paesi Bassi e il Mediterraneo, elementi musulmani e occidentali nei suoi scritti. C’è una sorta di ricerca di una nuova identità?
“No, semmai c’ è ambiguità. Il mio compito è costruire e de-costruire miti, la gente si aspetta da me che io rifletta le loro fantasie perché non sono una persona normale, sono uno scrittore, e da scrittore invento. E’ delicato parlare di identità nel tessuto sociale: non sono marocchino per il Marocco, né sono olandese per gli olandesi. Ama appartenere a due culture così distanti è una ricchezza, è la mia forza”.
Ma non è l’unico scrittore non olandese in Olanda: come si spiega questa esplosione di “letteratura immigrata”?
“L’Olanda sta diventando come gli Usa, e l’olandese sta diventando una lingua franca. E’, in effetti, una cosa molto strana se si pensa che storicamente l’Olanda non ha mai esportato la sua lingua nelle colonie come idioma dell’Impero, come hanno fatto a più riprese i francesi e gli inglesi”.
Da marocchino occidentalizzato, cosa pensa del clima di diffidenza che c’è in Europa verso i musulmani, alla luce della guerra in Iraq e degli efferati atti terroristici che ogni giorno riempiono le pagine dei giornali?
“Penso che gli avvenimenti degli ultimi tempi abbiano dato un brutto colpo all’idea della società multietnica e colorata, del villaggio globale. Non mi piace la polemica tra musulmani e occidentali: la trovo superficiale e tragica. Credo che si tratta di un falso argomento per lasciare vivere l’ignoranza. Si ha bisogno dell’ignoranza, perché se non ci fosse più, la società sarebbe costretta a cambiare. Io vivo in Olanda, un paese con molta tolleranza e una storia che si fonda sul dover combattere contro il mare. E pensano che se puoi sconfiggere la natura si può anche cambiare l’uomo. Su questo io sono molto meno ottimista”.
Un’ultima domanda al Benali scrittore: cosa significa per lei scrivere? E a chi si rivolge idealmente?
“per me scrivere vuol dire cambiare, di idea, di forme, di vita, proprio come nell’esperienza di leggere: chi legge cambia, ma non fisicamente, come nella Metamorfosi di Kafka ma metaforicamente, perché si mette nei panni del personaggio. Mi sono innamorato di questa magia. Leggere è trasformarsi, ma anche l’emigrazione mi ha trasformato: oggi sarei diverso se non fossi emigrato. Scrivere è ripetere l’atto di emigrazione. Quanto al mio lettore ideale, non faccio distinzioni di cultura o d’altro, ma deve essere paziente, deve apprezzare frasi lunghe e sapersi sorprendere. Chi si aspetta da me un racconto scarno, che va dritto al punto, meglio che lasci perdere i miei libri”.

A cinque anni dal suo romanzo d’esordio Matrimonio al mare, pubblicato nel 2000 da Marcos y Marcos, Abdelkader Benali torna in Italia. Lo abbiamo incontrato all’Istituto Universitario Orientale di Napoli alla presentazione del suo nuovo libro, La lunga attesa, per i tipi di Fazi.
Nato ad Ighazzazen, in Marocco, nel 1975, Benali vive dal 1979 in Olanda, ed è considerato, con Hafid Bozza, il migliore autore olandese della seconda generazione di immigrati: entrambi traggono ispirazione dalle loro origini nord africane, pur restando con i piedi saldamente piantati in Europa.
Scritto con uno stile barocco ed esuberante, La lunga attesa è un romanzo divertente, che si fonda su un espediente meta-narrativo sorprendente: un bebè si rifiuta di venire alla luce prima che tutti i familiari siano giunti in ospedale per presenziare alla sua nascita e, per ingannare l’attesa, racconta dal grembo materno la storia di ognuno dei personaggi man mano che arrivano. E’ lo stesso Benali a raccontare la genesi letteraria della sua opera.
“Passai tutta l’estate a scrivere le storie dei personaggi che mi venivano in mente. C’era Mehdi Ajoeb, giovane marocchino emigrato in Olanda, innamorato perso della bella e biondissima Diana Doorm; e il padre di lui, Driss, macellaio musulmano respinto 24 volte all’esame per la patente di guida; e Malia, sua moglie, sempre pronta a leggere il futuro di tutti nei fondi delle tazze di tè, e moltissimi altri personaggi grotteschi, tutti diversi tra loro. Alla fine mi ritrovai con una mole di scritto che ammontava a circa 500 pagine, e non sapevo assolutamente come ordinare e mettere insieme tutto quel materiale. Poi mi venne in mente che il nascituro poteva essere il trait d’union per tutte le storie, e così è nati il romanzo”. Il bebè scopre così in quale mondo sta per essere catapultato attraverso lo spacco generazionale, sociale e culturale di due famiglie che si incontrano. Quando nascerà, i vagiti si mescoleranno al fragore dei fuochi d’artificio della notte di capodanno: una metafora bella, ottimista, dietro la quale si nasconde il sorriso sornione di Benali. Uscito in Olanda nel 2002 con il titolo di De langverwachte, vincitore del prestigioso premio “Libris Literatuurprjis” nel 2003, il romanzo ha presentato non pochi problemi di traduzione in italiano. Per esempio, fino all’ultimo non viene svelato se il bebè sarà maschio o femmina: facile in olandese, che ha il genere neutro, meno in italiano, dove spesso si è dovuto ricorrere a circonlocuzioni. Lo stesso autore, che parla discretamente la nostra lingua, ha partecipato attivamente alla redazione del testo italiano insieme alla traduttrice Claudia Di Palermo. Alla fine ne è risultata una versione italiana più raffinata, meglio organizzata sotto il profilo cronologico della narrazione, con interi brani tagliati e altri scritti ex novo, e sensibilmente più corta della versione olandese (255 pagine, contro le oltre 450 del testo originale).
In definitiva, La lunga attesa è un’opera a metà strada tra la favola e il trattato sociologico, un gioco post-moderno che si instaura tra il lettore e Benali, uno scrittore interessante che, data anche la giovane età, è destinato a ritagliarsi senz’altro un suo spazio nell’ambito della letteratura europea.

 

 

Giulia Borghese, IO DONNA
– 19/03/2005

 

La lunga attesa

 

INCONTRO DI DUE REALTA’. Singolare romanzo di un giovane autore che viene dal Marocco e vive in Olanda: la notte di Capodanno sta per nascere un bambino da due genitori liceali. Il padre è un timido ragazzo marocchino, appunto, e la madre è una bionda olandese molto sicura di sé. Il nascituro ha deciso di non farsi vedere se prima non ha radunato in sala parto tutti i suoi strambissimi nonni per farne la sua futura famiglia. Sapendo bene che nel suo dna dovranno amalgamarsi due culture diverse. Curioso e scanzonato.

 

Adriano Sofri, IL FOGLIO
– 18/03/2005

 

La lunga attesa

 

Fino al 2 novembre, “gli olandesi si sono persi il cuscus, i marocchini i marocchini il museo Van Gogh, ma in compenso c’era una bella tranquillità”. Lo dice ironicamente Abdelkader Benali, scrittore, marocchino di nascita e cresciuto a rotterdam dall’età di tre anni, autore de “la lunga attesa” (Fazi), storia d’amore e di un conflitto di identità fra Mehdi e Diana, Giulietta olandese e Romeo marocchino. In un articolo su Bouyeri – “Io e Mohammed”, ospitato nel sito del programma di Radio 3, fahrenheit – Benali evoca gli effetti involontariamente segregazionisti di una illusoria convivenza fra le culture. Quando sentivamo nominare Van Gogh, noi pensavamo a un grande pittore pazzo, e abbiamo scoperto un regista assassinato. I giovani olandesi di origine marocchina, dice Benali, quando sentono nominare Van Gogh pensano a un regista pazzo, e non a un grande pittore suicida.

 

Michele De Mieri, L’UNITÀ
– 21/04/2005

 

La mia favola tra cactus e tulipani

 

Lei si chiama Diana ed è biondissima e olandese, lui si chiama Mehdi è nato in Olanda ma è figlio di immigrati marocchini. Non sono neppure diciottenni e stanno per avere un bambino: anzi ad essere precisi è proprio il nascituro che dalla pancia della giovane mamma, qualche attimo prima di venire al mondo, nella notte di Capodanno tra il 1999 e il 2000, in virtù del suo dono di leggere il passato ci racconta gli antecedenti dei suoi genitori, dei loro amici e dei nonni olandesi e marocchini. Scrive la storia il trentenne Abdelkader Benali, natali in Marocco ma formazione in Olanda, dove vive dall’età di tre anni. E’ la favola di La lunga attesa, (traduzione di Claudia Di Palermo, Fazi, pp. 255, 13,50 euro) storia di un Romeo e Giulietta dei nostri giorni alle prese con le complicazioni del loro subitaneo frutto d’amore tra famiglie agli antipodi: tradizionalissima quella marocchina, allargata e secolarizzata quella olandese (un po’ meno quando scoprono che il giovane genero è marocchino). E tra amici dei due sposi che sognano di scrivere il grande rap che canterà la loro condizione o di osservare tutti i precetti prematrimoniali delle fedi religiose. Siamo a Rotterdam, nell’Olanda che ancora non conosce le tensioni di questi ultimi anni, culminate con l’omicidio del regista Theo van Gogh per mano del giovane marocchino Mohammed Bouyari. Scritto ora in una lingua ironica e veloce con dialoghi quasi generazionali, ora complessa e poetica, il romanzo ha echi di un filone familistico-favolistico che ricordano il miglior Pennac, il Rushdie dei Figli della mezzanotte e tante commedie anglo-bollywoodiane.
Benali questo libro è stato scritto quando le tensioni tra olandesi ed immigrati erano già in fase avanzata eppure tutto sembra leggero, non inconciliabile. Come mai?
“Quando ho cominciato a scrivere questo libro, nel 2001, la mia idea era di scrivere una storia un po’ dolce, una favola, perché era cominciato un periodo in cui in Olanda ce l’avevano tutti con gli immigrati, c’era una xenofobia incredibile per le tradizioni olandesi. Nel romanzo volevo dare voce un panorama più umano, volevo mostrare che, certo, ci sono le diffidenze ma non l’odio, e questo vale anche per l’oggi, nonostante quello che è successo dopo: l’11 settembre, le guerre in Afghanistan e in Iraq, l’assassinio di Theo van Gogh. La grande maggioranza delle persone sono diffidenti ma non così aggressive come spesso si tede a descriverle. E’ più semplice una visione del mondo dove il male ha l’ultima parola, il nichilismo ha da sempre buon gioco in questo, ma, dopo il mio primo libro, Matrimonio al mare, che aveva un punto di vista molto satirico, quasi acido, ho detto “adesso vorrei infondere un senso di speranza, di leggerezza””.
A che punto è il processo di integrazione della generazione dei figli degli immigrati nati in Olanda?
“Ci vuole tempo, nuove esperienze tra le due comunità. Penso che le seconde generazioni marocchine, musulmane, hanno molto da imparare dalla cultura olandese; a volte, troppo improvvisamente riscoprono le proprie radici, e questo causa una specie di spaesamento, si shock, un senso di colpa, ma generalmente tutta la seconda generazione si sente olandese. In fondo questa integrazione ha bisogno di più tempo: non è passato un secolo dall’arrivo della maggioranza degli extracomunitari in Olanda, ma solo poche decine di anni. Il clima da scontro di civiltà, un vero e proprio media show di questi anni, certo non aiuta, crea quella che io chiamo “un’industria dell’identità”, e in questa industria ci sono troppi interessi in ballo. Il pericolo più grande è che la gente si sfoghi solo in universi chiusi, dove tutti hanno la stessa opinione – dai siti web alle moschee – dove c’è chi si sente nel giusto e quando incontra qualcuno che ha un’altra opinione, spesso appena diversa, lo rifiuta e lo bolla come infedele. Questo è il vero pericolo da evitare”.
Dopo il 2 novembre, con l’assassinio del regista Theo van Gogh, sembra definitivamente entrato in crisi il modello di tolleranza all’olandese. Cosa ne pensa?
“La tolleranza è una bella idea ma spesso rimane un’idea vaga. Quando viene messa in pratica porta nuove domande, e se la si vuole praticare, per di più con i membri di una nuova religione, bisogna avere tempo e modo di conoscere gli “altri”. Uno dei miei obiettivi era quello di prendere un po’ in giro l’idea che leggere i libri è sufficiente per conoscere l’altro; credo che spesso ci voglia, prima, uno scontro. Ora, con l’assassinio di van Gogh, la questione ha assunto una doppia faccia: il razzismo verso i marocchini e i musulmani in generale è cresciuto, e questo mondo molto frammentato è visto come un gruppo compatto e avverso, ma d’altra parte si sono aperte delle discussioni tra olandesi, tra marocchini e tra olandesi e marocchini, e questo secondo me è moto importante, perch0 questa discussione non c’era mai stata. C’erano, prima, due universi separati e tollerati; e io commentavo che gli olandesi si sono persi il cuscus e i marocchini il van Gogh Museum. L’assassinio di van Gogh ha imposto agli uni e agli altri la percezione degli uni con gli altri. Tradizionalmente, in Olanda si ripone molta fiducia sull’idea che l’uomo possa cambiare, modificarsi: ma se tu dici ogni giorno per dieci volte al giorno ad un gruppo “smetti di leggere il Corano”, questo non necessariamente avviene. L’uomo ha con le sue tradizioni un legame complesso da modificare e arricchire”.
Libri come “La lunga attesa” costituiscono un ponte molto importante per la percezione che la comunità hanno di sé e dell’altro. Come sono accolti dagli olandesi e dai marocchini i suoi romanzi?
“I complimenti olandesi sono spesso più politici, quelli marocchini più sinceri, più diretti. Agli olandesi piace che un marocchino provi a scrivere bene nella loro lingua e riesca a farlo anche in un modo divertente. I marocchini vedono i miei libri anche come dei loro ritratti, un racconto della loro anima, ed è per questo che da loro ricevo più rimproveri e correzioni, leggono e poi mi dicono “questo non è vero, questo non si faceva così”. Chi compra il libro è in gran parte olandese mentre nelle biblioteche i miei testi sono presi in prestito da tante ragazze z ragazzi marocchini”.

 

 

Simona Orlando, ROCK STAR

 

La lunga attesa

 

La saga di una famiglia marocchina trasferita in Olanda raccontata da un “quasi-nato” la notte di Capodanno. Il bambino, che succhiando il pollice ha il dono di leggere il passato, introduce dal grembo i futuri parenti, ognuno dei quali custodisce un segreto: Medhi non può raccontare ai genitore del suo amore per la bionda e disinibita Diana; Malia affonda nella profonda solitudine in un Paese che non è il suo; Driss, padre fiero ed orgoglioso, prova 34 volte l’esame di guida (e ottiene 868 interventi di salvataggio con doppi pedali). Egualmente satirico verso le ottuse convinzioni di Oriente e Occidente, il libro è un deciso “si” cartaceo alla mescolanza fra culture.

 

 

Erica Arosio, GIOIA
– 29/03/2005

 

L’ISLAM CHE AMA L’OCCIDENTE

 

Abdelkader Benali, marocchino, musulmano e Claudia Di Palermo, romana, cattolica, si amano da quattro anni e vivono felici, fra Amsterdam e Roma. Si sono conosciuti perché lei ha tradotto il suo primo libro, Matrimonio al mare (Marcos y Marcos), pubblicato in Italia nel 2001 e ora anche il secondo, La lunga attesa, appena uscito per Fazi, una storia che, ancora una volta, ha al centro le differenze culturali. Racconta infatti la vita di una coppia, lui marocchino, lei olandese, attraverso gli occhi del loro bambino che, ancora nella pancia della mamma, legge il passato. Un passato dove scorrono via via, in un’atmosfera lieve, da Mille e una notte, il nonno macellaio che ha paura di volare ma vuole andare in pellegrinaggio alla Mecca, la nonna capace di leggere nei fondi del té, mamma e papà, lui, figlio di immigrati marocchini, timido e sognatore e lei, olandese biondissima e figlia dell’emancipazione femminile d’occidente. In altre parole, filtrata attraverso la fantasia, la storia vera di Abdel e Claudia.
Abdel, quando è arrivato in Olanda?
Abdel. Avevo 4 anni, e da Melilla, nel Marocco spagnolo, dove sono nato, con la mia famiglia siamo emigrati a Rotterdam. Adesso siamo in otto, fra fratelli e sorelle, il più piccolo ha 6 anni, io sono il primogenito, papà ha una macelleria.
Claudia. Io sono romana di Roma. Con un solo fratello più grande di me.
Come è arrivato alla scrittura?
Abdel. Mi è sempre piaciuto leggere e le storie di romanzieri come Dickens, Calvino, Salman Rushdie mi hanno fatto venire voglia di scrivere a mia volta. Quando ho pubblicato il mio primo libro, avevo 21 anni e non ho mai fatto altro. Mi piace immergere in un’atmosfera irreale storie vere.
Poi è arrivata lei, Claudia.
Claudia. Sono la sua traduttrice ufficiale! Ci siamo incontrati la prima volta alla Fiera del libro di Torino. Mi dicevo, se il libro è autobiografico, meglio evitare ogni contatto con l’autore… Raccontava di un matrimonio che finisce male, perché lo sposo, un marocchino, viene trovato giusto il giorno del matrimonio dal fratello della sposa, olandese, in un bordello di una città vicina. Il fratello è la voce narrante, una voce così saccente, capace solo di critcare tutti, olandesei e mussulmani. Mi dicevo, lascia perdere.
E invece?
Abdel. Invece le sono stato subito simpatico!
Claudia. Ma non è successo niente. Solo otto mesi dopo, ad Amsterdam, alla Festa di premiazione del suo libro è cominciato qualcosa.
Abdel. Claudia è bella e ha un gran senso dlel’umorismo. Mi piacciono i suoi occhi e il suo sorriso.
Claudia. All’inizio mi preoccupava un po’ la differenza d’età: lui ha 30 anni e io 38.
Abdel. A me piace l’Italia e a lei piaccio io. Non c’è molto da aggiungere. Il fatto che lei sia italiana e io marocchino non è mai stato un problema. In amore con ta solo l’attrazione reciproca.
Claudia. La mia famiglia lo ha adottato, mia madre quando siamo a Roma non sa più cosa cucinargli. E se si discute dà sempre ragione a lui.
E la famiglia di lui?
Claudia. Un po’ più complicato. Fanno come se io non esistessi. Non siamo sposati ma viviamo assieme. Suo padre e sua madre stanno ancora aspettando la sposa marocchina, meglio se di Melilla
Abdel. La mia famiglia è molto legata alle tradizioni. Hanno visto Claudia una sola volta, dopo la vittoria del premio letterario. Era una grande festa con tanta gente e non c’è stato bisogno di dare tante spiegazioni.
Claudia. Il fatto di vivere in Olanda ci aiuta, perché in quel paese i legami familiari non sono molto forti, non c’è l’abitudine di vedersi spesso, poi noi viviamo ad Amsterdam e loro a Rotterdam.
Abdel. Credo che non serva fare tanta teoria: i problemi si risolvono nei fatti. Giorno per giorno, si vedrà. Io sono musulmano, ma non praticante e questo semplifica tutto.
Claudia. Non voglio essere messa alle strette, non voglio mettere in imbarazzo la famiglia di Abdel.
Abdel. Ho la presunzione di considerarci una coppia cosmopolita. Certo, non possiamo ignorare le differenze, però, significherà ben qualcosa che Claudia per avvicinarsi a me si è messa a studiare con ancora più impegno l’olandese, non l’arabo!
Claudia. Tutto vero quello che dice Abdel, però un po’ di discriminazione io me la sento addosso e devo dire molto di più quando siamo in Olanda di quando siamo in Italia. La cultura nordica è molto diversa dalla nostra, l’Olanda è un paese piccolo, con solo 16 milioni di abitanti e gli olandesi non ti considereranno mai uno di loro.

Abdel. Lo so, hai ragione. Eppure io mi sento molto olandese, scrivo in questa lingua, i miei amici, le scuole che ho seguito, tutto è olandese.
Claudia. In Olanda marocchini e tutti i musulmani sono presi di mira, soprattutto dopo l’assassinio di Theo Van Gogh, il regista ucciso da un fanatico islamico, perché nei suoi film parlava di integrazione.
Abdel. Il problema grosso riguarda le donne musulmane: la loro relazione con un europeo per la legge islamica presenta ostacoli insormontabili. Le poche ragazze marocchine che stanno con europei devono troncato di netto ogni rapporto con la famiglia di origine.
Claudia..Apparteniamo a una generazione di passaggio, quella degli immigrati di seconda generazione. O si trova un modo di convivenza pacifica e tollerante o questi ragazzi alla ricerca spasmodica di identità guarderanno al fondamentalismo, cercando forza e sicurezza nella tradizione.
Abdel. Se invece ti senti a casa non avrai bisogno di tornare ala tradizione
Claudia..E’ vero che non posso neppure ignorare le differenze. Lo noto quando discutiamo, Abdel ha un modo diverso di condurle, confonde le acque, è molto marocchino. Ma quello che davvero un po’ mi pesa è un altra cosa. Dopo la pubblicazione dei suoi romanzi Abdel viene considerato il portavoce della comunità magrebina io non voglio sentirmi una pasionaria al suo fianco sono semplicemente la donna che sta con lui e lo ama Abdel. Vorresti vivere la tua storia senza fare i conti con con la realtà, ma non si può. Tutto quello che è accaduto dopo l’omicdio di Theo van Gogh ha anche avuto risvolti positivi, perché ci ha costretto a discutere di convivenza, tolleranza, razzismo. Gli olandesi non avevao mai avuto storie di terrorismo ed è stato uno choc. Avevano solo l’idea della tolleranza, tutta teorica Adesso fanno i conti con la realtà.
Abdel. Hai la religione, anche se non sei praicante, segui comunque le tue feste, la vita privata e familiare sono le radici. I miei genitori sono molto marocchini, i miei fratelli molto olandesi. Viviamo in un momento storico di transizione. vedo ragazzini musulmani, praticanti che però che vivono in una grande città, giocano alla playstation, mangiano hamburger e guardano Mtv. Ho un’amica che porta il velo eppure guarda sempre Friends, si diverte e ne capisce ogni battuta e ogni situauzone. Tutto questo mi spavento, c’è tutto e il contrario di tutto L’unica soluzione è guardare alla realtà con occhi pragmatici. Una volta il pragmatismo era degli americani
Che invece adesso sono diventati ideologici. La soluzione per il futuro è nell’Europa
Si è mai sentito vittima del razzismo?
Abdel. Credo che prima o poi tutti ne siamo vittime. Da ragazzino mi dicevo a me non capiterà e invece. Mi è successo di non essere ammesso in una discoteca, solo perché arabo.
Claudia.Gli arabi hanno difficoltà a trovare lavoro. Ho visto gli amici di Abdel fare dei test telefonando per cercare un lavoro. rahgazzi nati in Olanda quindi che parlano senza accento. Prima dicono di sì, poi qaundo in un’altra telefonata rivelano di esser marocchini, comem d’incanto il lavoro sparisce.
Che musica ascoltate?
Abdel. Tutta. Mi piace molto quella marocchina, che già di suo è un msicuglio di generei andalusa africa berbera e europea. già dice tutto.
Claudia.Il rock. Quella che piace ad Abdel.
Qual è il vostro piatto preferito?
Abdel. La pasta all’amatriciana.
Claudia.la pasta coi ceci.
E il cous cous?
Abdel. Quello lo mangio solo in casa e possibilmente in Marocco, con ngrdienti ferschi. E’ un rito, non solo un cibo.. Io mangio solo quello che cucina mia madre.
Claudia.E io non i penso neppoure a competere. Eppure quando siamo andati in Marocco, assieme, in vacanza, era Abdel quello più diffidente , mi diceva continuame nte di stare attenta, che c’era il pericolo di scippi, di non dare confidenza. Ed ero io quella più disponibile. E’ prorpio vero che il mondo non si può più distinguera fra bianco o nero ma che la realtà è ben più complessa.

 

 

Laura Maragnani, PANORAMA
– 25/03/2005

 

LA LUNGA ATTESA di Abdelkader Benali

 

Certo non è facile, oggi, essere marocchino e vivere in Olanda. Soprattutto se, come il garzone macellaio Medhi, diciassette anni e tre quarti, sei nato a Rotterdam e il Marocco l’hai visto soltanto in cartolina. Parli e sogni in olandese anzichè in arabo. E ovviamente ti sei perdutamente innamorato di Diana, compagna di scuola dalla pelle bianca e i capelli biondissimi; il peggio è che ci vai a letto, senza nemmeno controllare che si sia lavata i denti dopo aver mangiato maiale.
Abdelkader Benali, classe 1975, nato in Marocco ma arrivato a Rotterdam a quattro anni, è uno che sui conflitti interetnici la sa lunga. Con Matrimonio al mare (Marcos y Marcos, 2000), ha vinto il premio per la miglior opera prima; con l’ironia scoppiettante de La lunga attesa ha ottenuto il prestigioso Libris Literatuurprijs.
Narrando del macellaio Driss, timido e sognatore, e del futuro consuocero ricco, colto, politicamente corretto; della madre di Medhi, Malika, che legge il passato e il futuro nei bicchieri del tè, e della consuocera Elisabeth, disinvolta ex moglie di un indiano d’America, Benali tratteggia una coppia di godibilissimi Giulietta e Romeo a Rotterdam. Il lieto fine è d’obbligo; ma, dopo l’omicidio di Theo Van Gogh, tutt’altro che scontato.

 

Giulia Mozzato, WWW.LIBRIALICE.IT
– 18/03/2005

 

Abdelkader Benali, La lunga attesa

 

“Dal momento in cui si è annunciata la mia presenza, l’attenzione dev’essere tutta concentrata su di me. I miei genitori devono sapere che possono tranquillamente lasciarsi alle spalle il passato, così da potermi accogliere e prendersi cura di me, il loro fossile vivente.”

Per parlarvi di questo romanzo dovrò seguire la regola che si impone il protagonista quando dice: “devo raccontare senza dire bugie, dicendo tutta la verità e nient’altro che la verità (che sono due cose diverse), e l’essenziale è sfruttare la nobile arte di tenere la bocca chiusa per tutta la durata del racconto, senza rivelare troppo”. Perché sarebbe davvero un delitto svelare i segreti di questo originale racconto in cui si mescolano sapientemente, come nella biografia stessa dell’autore, le due diverse culture e mentalità del Marocco, nazione di origine di Benali, e dell’Olanda, il suo paese d’adozione. Sono profumi, luci, colori, cibi, sono tradizioni e costumi, sono memorie e nostalgie, intrecciate però con un anticonformismo inusuale, che ricorda quello di un altro grande autore con un vissuto personale analogo: Kader Abdolah in particolare con il suo Viaggio delle bottiglie vuote, che se non avete letto vi consiglio di cercare in libreria.
C’è il rimpianto dei vecchi emigranti, sradicati dalla propria terra, c’è lo straniamento dei giovani, non marocchini ma neppure totalmente olandesi, c’è il rifiuto totale di alcuni di rispettare e seguire le regole dei padri e la dolorosa ricerca di radici nel passato di altri. Una madre, Malika, votata a tenere la famiglia unita attraverso la cucina, per alimentare la sensazione di appartenenza del figlio Mehdi Ajoub, non ancora maggiorenne, a sua volta tormentato dal dubbio che Driss, il padre, non sia il suo vero padre e che la sua famiglia in qualche modo possa assomigliare a quella frantumata e ricomposta di Boccuccia d’Argento, la ragazza di cui è innamorato. Capelli biondi, occhi azzurri: Diana, anche lei erede di un passato complesso, figlia di Elisabeth Doorn e di Samuel Corvo Nero Branningan, americano di sangue misto pellerossa e irlandese, ma allevata all’Aia da un altro uomo, Rob, che ha fatto per Diana, a tutti gli effetti, le veci del padre. Tutto questo raccontato da un nascituro, che già ama i due giovanissimi genitori e tutti i nonni, anche se ancora non ha visto la luce, e che già ha ben chiaro quanto sia complessa la mappa del suo Dna. La lunga attesa è quella del parto, con ulteriore sorpresa finale.

 

Tonino Bucci, LIBERAZIONE
– 11/03/2005

 

A Rotterdam, fra tradizione e ribellione

 

E’ l’ultima notte dell’anno, trascorrono gli ultimi istanti. In una sala parto c’è l’attesa per la nascita del primo figlio di una giovanissima coppia. Lui è Mehdi, figlio di immigrati marocchini, cresciuto in una famiglia molto legata alle proprie radici eppure dotato di spirito di ribellione. Lei è Diana, olandese, bionda, spigliata. Il bambino che sta per arrivare è già un individuo autonomo e possiede un talento magico, quello di leggere nel passato e di conoscere la storia delle persone che l’hanno preceduto. E’ con i suoi occhi, con le sue parole che si snoda la galleria di personaggi di La lunga attesa (Fazi Editore, pp.256, euro 13,50), il secondo romanzo del giovane scrittore Abdelkader Benali, nato in Marocco, ma residente in Olanda fin da quattro anni.

L’irruzione di materiale autobiografico nella scrittura di Benali è evidente, il romanzo riflette la condizione di vita degli immigrati di seconda generazione nei paesi occidentali, nella fattispecie l’Olanda. Da un lato, c’è il passato da cui si proviene, le radici della famiglia in cui si è nati e cresciuti; dall’altro, il futuro, l’immersione in un’altra cultura, la frequentazione delle scuole del paese in cui si vive, la libertà individuale di scegliere la propria strada. Benali elegge a protagonista un bambino non ancora nato, eppure già formato tra queste due predisposizioni, quella di leggere il passato e quella d’avere già una propria autonoma capacità di giudizio sugli eventi che racconta.

“Chi nasce cammina verso il futuro, ma ha gli occhi rivolti al passato”, spiega Benali, a Roma per presentare il libro. Il romanzo prende forma dalle parole del bambino che racconta le storie del microcosmo familiare. “Raccontare attraverso la scrittura è già una forma di conoscenza e di scavo nel passato. Scrivere per me significa ritrovare le radici, affondare nel passato della storia da cui si proviene. Ma la scrittura è anche un modo per rielaborare quel passato e disporsi al cambiamento”.

Contrariamente a quel che si pensa – che con ogni individuo, al momento della nascita, inizi una storia nuova, senza rapporto con quella precedente – La lunga attesa prende spunto dalla situazione opposta: nascere è “una forma di memoria”.

“Io sono nato e cresciuto in una famiglia marocchina – racconta Benali – molto legata alle proprie tradizioni e alle proprie radici. Quando si viene al mondo troviamo davanti una famiglia con una storia e una cultura alle spalle, già formata”. Ma è vero anche che “ogni persona sente il bisogno di autonomia, di libertà, di costruire una strada nuova, individuale, che non sia già scritta nel destino e nella tradizione della propria famiglia. Ecco, volevo scrivere un romanzo con un personaggio che tenesse assieme questi due aspetti contrari: la ricerca delle radici e della storia passata, da un lato, e la spinta dell’individuo a tagliare le radici, così tipica del postmoderno, dall’altro”.

Anche la condizione di chi vive come immigrato di seconda generazione in un paese diverso da quello originario dei propri genitori, assomiglia a quello dello scrittore. Anche lui scava nel passato e spesso succede – come nel caso dei figli degli immigrati arabi – che riscoprano “usanze e simboli delle proprie radici. Molti giovani leggono libri, cercano in Internet, tentano di sapere qualcosa di più sulla cultura del paese da cui provengono i genitori. E si costruiscono un’identità, soltanto che, il più delle volte, si tratta di un’identità reinventata”.

Nel caso dell’Olanda il panorama è ancor più frastagliato, esiste in quel paese una tradizionale forma di tolleranza che affonda le radici nel XVII secolo, improntata ai valori liberali della convivenza e al riconoscimento dei diritti individuali. “Ma alla fin fine quella tolleranza può dar luogo addirittura a una forma di superiorità, di giudizio sufficiente o negativo per tutte quelle culture ritenute arretrate, soprattutto nei confronti del mondo arabo identificato sommariamente con la chiusura culturale, con il velo delle donne e la mancanza di diritti. Nel concreto tolleranza significa lasciar vivere chi è straniero nel proprio angolo a condizione che non disturbi l’altro”. C’è poi anche uno specifico tabù che vieta di “parlare male” degli immigrati. “Durante l’occupazione nazista gli stessi collaborazionisti olandesi – e in misura consistente – gestirono in prima persona la deportazione degli ebrei. Il divieto della xenofobia è ovviamente positivo, ma rischia d’essere solo un atteggiamento in superficie, sotto la quale covano risentimenti mai espressi e che possono venire fuori in maniera pericolosa. Qualcosa è esploso nel dibattito del paese dopo l’assassinio di Pym Fortuyn e Theo Van Gogh”.

Diverso è il caso italiano – che Benali conosce molto bene – dove immigrati e popolazione nativa vivono fianco a fianco senza entrare mai in contatto. “In Italia, gli immigrati fanno lavori umili che nessuno vuole più fare o è disposto a fare per salari miseri. Sono una classe sociale bassa. Molti di loro sono contenti di vivere in un paese occidentale, possono lavorare e vivere, anche se sono costretti a dire sempre sì. Bisognerà aspettare che cresca una seconda generazione, che i figli degli immigrati frequentino le scuole italiane, che acquistino piena coscienza dei propri diritti. E potranno rivendicarli nella stessa lingua di Dante, di Calvino, di Saba”.

 

Annalisa Rapanà, ANSA
– 08/03/2005

 

LIBRI: EUROPA; COME NASCE LA NOSTRA SOCIETA’ METICCIA,BENALI

 

“Io vengo dalla Calabria del Marocco”, esordisce così Abdelkader Benali, giovane autore olandese di origine Marocchina in questi giorni in Italia per la presentazione del suo libro ‘La lunga attesa’ appena pubblicato in italiano da Fazi. Si riferisce al piccolo villaggio rurale dal quale suo padre è partito negli anni ’70 per emigrare in Olanda dove l’autore è cresciuto. Che Benali fosse un tipo ironico lo si era capito anche dai suoi precedenti lavori (nonostante la giovane età, è del ’75, ha 4 romanzi e 2 piece teatrali al suo attivo) ma il racconto di questa ‘Lunga attesà ne conferma anche la vivace intelligenza e la voce, preziosa, perché quella dei giovani portatori di una società vissuta totalmente nella sua originalità. La società è quella ‘meticcia’ delle numerose comunità etniche che convivono oggi nelle grandi città europee. Rotterdam fa da sfondo alla storia che Benali racconta, tutta in una notte, quella di Capodanno. Mehdi è un ragazzo marocchino di seconda generazione, timido e sognatore. Ama Diana, olandese, biondissima, sicura giovane occidentale e la ‘lunga attesa’ è per la nascita di un bimbo, che si fa attendere, raccogliendo intorno a sé le due famiglie, così diverse tra loro per cultura e modi, e con i loro personaggi e i loro tic tipici, buffi, grotteschi. “Un modo per porre l’attenzione sulla nascita di una nuova cultura”, piega l’autore oggi a Napoli ospite dell’Istituto Universitario L’Orientale per la prima presentazione del libro in Italia. “Noi stiamo ancora dormendo in un certo senso, non ci rendiamo conto che è già successo – dice Benali – che in Europa c’é un’aria nuova in cui molte comunità vivono, convivono, si alimentano l’un l’altra dando vita alla società in cui agiamo ogni giorno ed è spettacolare. Una cosa non priva di problemi nelle dinamiche che porta con sé, ma è l’avanguardia”. Che Benali racconta in modo ironico e divertente, ma mai superficiale, con toni che ricordano riusciti lavori cinematografici (East is East). “Di questo ne è testimone una generazione che ancora non ha voce in capitolo, sono loro i portatori di questa ‘coscienza’, mentre gli ‘adulti’ sono troppo occupati dalle ambizioni politiche”, dice ancora Benali e porta come esempio quanto accaduto di recente proprio in Olanda dove, lo scorso novembre, il regista Theo Van Gogh è stato assassinato da un giovane olandese di origine marocchina per aver realizzato un cortometraggio particolarmente critico verso l’Islam. “Tutti pensavano che dopo l’assassinio sarebbe scoppiata una guerra civile: non è successo. Si ‘convive’ bene in Olanda”, tiene a sottolineare l’autore, “c’é però maggiore interesse nei confronti della comunità musulmana, un’opportunità per conoscerla davvero con le sue differenze. Di gruppi musulmani ce ne sono tanti, ma tutti uniti dall’Olanda attivi nel suo contesto democratico. Una presa di posizione manifestata nella vita di tutti i giorni e che ha stupito in parte anche gli stessi olandesi”.

 

Elena Loewenthal, TTL – LA STAMPA
– 12/03/2005

 

Amore fragile tra Marocco e Olanda

 

Di solito, un finale o è scontato o è a sorpresa. Difficile immaginare, in un romanzo è qualche cosa di diverso da queste due opzioni. La realtà ovviamente è un discorso a parte, e qui può succedere davvero di tutto. Ma nei libri o una cosa o l’altra. Ancor più difficile, del resto, è trovare in un libro un finale che sia contemporaneamente scontato e a sorpresa. Sembra anzi una contraddizione in termini: eppure l’ultimo romanzo di Abdelkader Benali, La lunga attesa, sfata questa beata certezza. Il suo finale è scontato in un certo senso, perché è l’anima, l’ossatura stessa del libro. In un altro sorprende perché malgrado la sua ineluttabilità ci dice ancora qualcosa che, nel corso di tutto il libro, non eravamo stati capaci di immaginare da soli.

Benali è un vertiginoso intruglio di appartenenze: è nato a metà esatta dei ruggenti Anni Settanta in Marocco. A quattro anni è emigrato con la famiglia in Olanda (Olanda di provincia, non Amsterdam crogiuolo). Parlando usa indistintamente arabo, inglese, olandese. Ha un’ottima padronanza dell’italiano, che frequenta svariati mesi all’anno. Però scrive solo e soltanto in olandese. Anzi di più: è considerato attualmente uno dei più rilevanti scrittori dei Paesi Bassi. Troppo facile, però, etichettarlo come autore “etnico” o meglio, multietnico: riflesso di quella società globale in cui si va e si viene da mondi diversi, quasi apposta per raccontarli. Troppo comodo inneggiare alla letteratura del melting pot. Certo, La lunga attesa è la storia di Mehdi, figlio di un macellaio marocchino, di Diana, olandese mezza indiana d’America, di Boudouft che muore sotto un frigorifero troppo presto per diventare filosofo anche se la strada era quella, di Amar – “un musulmano indiano del Suriname, alquanto sempliciotto, che diventava ogni anno un po’ meno musulmano e un po’ più non-si-capisce-cosa”. E’ soprattutto la storia di un non-si-capisce-che-cosa ancora da nascere, che però dentro la pancia della sua giovanissima mamma Diana ha già un sacco di cose da raccontare, visto che ha ereditato da nonna Malika il dono di leggere nel passato. Per questo è l’io narrante del romanzo.
Ma sarebbe troppo semplice, anzi riduttivo, depositare questo libro sullo scaffale della letteratura multietnica. Certo, la scrittura di Benali è anche questo: risente nel profondo dell’esperienza di vita propria dell’autore e del mondo in cui egli ambienta il suo libro. Ma il fatto è che questo è “anche” un romanzo intrigante, divertente, ricco di un’inventiva piuttosto rara. Benali si è sicuramente divertito a scriverlo, così come Claudia Di Palermo si è sicuramente divertita a tradurlo, come svela anche la postilla finale “Ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. Gli increduli sono pregati di interpellare direttamente l’autore”.

Più composto nella prima parte, corrosivo e intricato nella seconda, La lunga attesa racconta l’avventura di un amore immaturo, fra Diana e Mehdi, i cui frutti maturano però molto in fretta, racconta la nostalgia di Driss, il padre di Mehdi – lo troviamo dapprima in una memorabile descrizione di come “una volta alla settimana si lava da capo a piedi”, la costanza di sua madre Malika che ha il pallino dei bicchieri. Ma ci sono anche un vestito da sposa un po’ bisbetico, una Gazzetta di Anversa che è amica di Diana ma molto meno sprovveduta, un esaminatore di guida dal piede equino in procinto di fare l’ultimo esame della sua carriera.
Benali tratta tutti i suoi personaggi con delicatezza caustica e un sarcasmo gentile. Tutti senza distinzione. Ne risulta un libro che si legge con un briciolo di malinconia e il sorriso a fior di labbra: disposizioni d’animo forse scontate, ma che è bello ritrovare. E che in fondo ti sorprendono sempre, proprio come il finale de La lunga attesa.

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