Claudio Damiani

La miniera

COD: 3416a75f4cea Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
7
Pagine:
168
Codice ISBN:
9788881120406
Prezzo cartaceo:
€ 13,00
Data pubblicazione:
01-04-1997

«Ogni notte è solo, ma in realtà non è solo. La notte stessa lo guarda con le sue stelle, lo guarda e resta incantata della sua bellezza…».

La miniera, l’opera più ambiziosa e complessa finora pubblicata da Damiani, si presenta come un vero e proprio romanzo in versi in cui l’ispirazione poetica procede di pari passo con la narrazione di una formazione sentimentale alla vita. Attraverso liriche brevi e fulminanti Damiani ci conduce con maestria al centro di un luogo poetico e onirico che è esso stesso oggetto e punto d’arrivo del suo sguardo e del suo racconto. La miniera ci rivela uno straordinario talento lirico e visivo, una voce poetica insieme salda e vertiginosa, affascinante e avvincente.

LA MINIERA – RECENSIONI

 

Mario Bernardi Guardi, IL TEMPO
– 06/07/1997

 

Giovannini e Damiani: l’avventura di far poesia

 

Ma in mezzo a tanta “spazzatura” letteraria, cinematografica, musicale, giornalistica, televisiva, c’è ancora posto per la poesia? Tra i mille sorriseti di compatimento che vediamo comparire sulle boccucce dei miscredenti noi diciamo di sì . E azzardiamo due suggerimenti che non riguardano i soliti “classici”, bensì due poeti “giovani” se chi ha 40 o 50 anni si merita oggi di essere accolto in quest’affollato schieramento. Il primo è Claudio Damiani che raccoglie dieci anni di poesia “pura” ingenua restituita a una innocenza infantile come se il “fanciullino” pascoliano ritrovati inattesi spazi di libertà vi si buttasse dentro senza alcun rossore né desiderio di diventare “grande”; l’altro è Sandro Giovannini da anni animatore della cultura di Destra inventore di circoli letterari e di scuole poetiche avanguardista di mille esperimenti e di mille battaglie che consegna a una pregevole edizione amatoriale venti poesie giocate su tastiere sperimentali oppure tramate di suggestioni e messaggi per tutti quelli che hanno cara l’avventura (e la sfida) della Tradizione. Claudio Damiani “La miniera”, Fazi pp. 153 L. 25.000; Sandro Giovannini, “Il piano inclinato” Heliopolis Edizioni (Piazza Garibaldi 11-61100 Pesaro), pp.60 L. 50.000 (edizione con copertina in pergamena naturale dipinta a mano). Tutti gli anni Romano Battaglia alle soglie dell’estate “riapre” quell’intelligente “spazio di incontro e confronto che è il caffè della Versiliana di Marina di Pietrasanta e pubblica un nuovo libro destinato al successo. Chi non ama queste storie di ritrovata armonia tra uomo e natura; di segrete corrispondenze tra il sole, il mare , il cielo; di arcane rivelazioni affidate alla bocca dei “poveri di spirito” storce il naso e magari va a stilare una recensione benedicente per l’ultima fatica “pulp”. Eppure con il suo evangelico ed umanitario rigoglio di affetti (in questa ultima storia una giovane cieca riacquista la vista e dal quel momento “vede” immagini che sono rivelazioni fino a un mistico “incontro” con San Francisco), battaglia propone un suo “linguaggio” capace di forza persuasiva o per lo meno di consolazione e di rifondazione di valori. Non è tutto e forse non è neppur tanto: ma di fronte al nichilismo stracciarolo non è nemmeno poco. Romano Battaglia, “Con i tuoi occhi”, Rizzoli, pp. 135. L. 22.000.

 

Gabriella Sica, LA STAMPA

 

La Poesia

 

È una “miniera” viva attiva la poesia di questo scorcio di secondo millennio che vene sotterranee mettono in contatto vitale con la “miniera” ricca e preziosa della poesia latina. Anche di questo e di uno scavare nella nostra archeologia privata e mitica ci parla la poesia di Claudio Damiani con ‘La miniera’ appena uscito presso l’editore Fazi. Una poesia che è molto fluida e libera mai costretta metrica mente ma sempre semplice e discorsiva ; una poesia che non è astratta e fredda ma sempre morale. Tre sono le tappe di questo cammino come tre sono i libi di cui i primi due già pubblicati del volume che raccogli l’intera produzione poetica di Damiani, dall’84 ad oggi. In ‘Fraturno’ è il ritrovamento della natura cancellata dai moderni un luogo di quiete dove alberi animali e acque vivono nella interezza. Ne ‘La mia casa’ gli elementi della natura sono esseri interi sono proprio persone che pensano, soffrono e cercano come le strade o le case. Nel terzo e nuovo libro, ‘La miniera’ l’Elba è l’isola mineraria dell’infanzia dove cercare anche Ulisse, Elena o Diana, che non sono più miti ma persone. Ecco un bel libro di poesia che non si può non condividere se si è per una letteratura della memoria che vada contro le poetiche di oggi fondate soltanto sull’urlo la scissione e la ferita.

 

IL FOGLIO
– 08/01/1997

 

I VERSI MINERARI DI DAMIANI, QUELLI STENTOREI DI MUSSAPI, E LE MINUTE NEBBIE DI GARUFI

 

La miniera è prima di tutto un villaggio ai piedi del Gargano, dove l’autore è nato ma è altresì il luogo delle profondità romantiche, il recesso cui l’ “io” deve accedere attraverso una strada sotterranea, uno scavo perché alla fine giunga alla nuova conoscenza e con essa alla poesia. Come in un romanzo di formazione, il percorso è anche la ricostruzione di una genealogia, di una preistoria. Trattandosi di un lavoro di più di dieci anni (le cui prime sezioni, qui riprese, erano già state pubblicate) si ha insieme la rivelazione di un autore e, come in controluce, la percezione di una storia, con fasi e scansioni interne. La geografia e il paesaggio soccorrono: poiché, come segnala in nota l’autore, sono sempre centrali e individuatissimi; dalla Sabina di Fraturno all’Elba, isola natale del padre minatore. Le prime serie tengono a bada la materia autobiografica con una sorta di ripetitività insistita e grazie all’uso di un tono narrativo del tipo di quello sperimentato, in altri tempi, dal fondatore del Gruppo 63 Edoardo Sanguineti, cui assomiglia per un certo modo di riportare il discorso diretto, con un ricco commento sottovoce, tra parentesi. Ma lo scopo, la direzione della scrittura sono del tutto diversi. L’urgenza delle voci del mondo esterno e del sogno, così forti in Sanguineti, sono qui riportate alla concreta affettività del poeta, alla sua compagna, a certe bestie (l’ippopotamo, il gatto) e a un mondo incantato, quasi fiabesco che fa da sfondo. C’è addirittura la personificazione di una stradina cui la poesia si rivolge con tenere parole. Ma non per questo la visione è meno nitida. I grandi modelli latini si incontrano con la dilatazione visiva dei lirici inglesi dei laghi: Orazio e la fons Bandusiae, Virgilio e la tradizione bucolica tornano con gli occhi del giovane Wordsworth del “Prelude”. L’ultima sezione, come attraverso un lungo cammino di riappropriazione, si abbandona, talvolta senza difese, alla commozione legata soprattutto alla figura paterna. E se qualche poesia sembra un po’ in presa diretta, intervengono subito luoghi e vicende a filtrare l’emozione, ridando ai testi tutta la loro limpida efficacia. Ecco “Sul monte bello”, ecco “La casa di Filemone e Bauci”: non arriva mai nessuno e sia ha la sensazione “che tutto sia distrutto / e tutto sia intero, perfetto.

 

Ermanno Paccagnini, FAMIGLIA CRISTIANA
– 09/03/1997

Il fervore degli editori e la risposta degli autori, da Viviani a Conte, Mussapi e Damiani

Non disperiamo, la salvezza è dietro l’angolo. Parola degli amici poeti

 

S’e è molto discusso della reale incidenza sul consumo di poesia provocato dal fenomeno mondadoriano dei Miti Poesia. Una ricaduta positiva sul consumo di versi deve esserci comunque stata se la stessa Mondatori ha da un lato dedicato proprio alla poesia del Novecento una serie negli Oscar inaugurata con Marina Cvetaeva (‘Dopo la Russia’), Elio Pagliarani (Romanzi inversi) e Williams Carlos Williams (‘Paterson’) e dall’altro ha intensificato la presenza di titoli nella prestigiosa collana del Nuovo Specchio proponendo di recente ‘La Polvere e il fuoco di Roberto Mussapi’ , ‘Una comunità degli animi di Cesare Viviani’ e ‘Canti d’oriente e d’occidente’ di Giuseppe Conte Non mancano altre spie del fenomeno come l’iniziativa Garzanti mirata a un pubblico scolastico con volumi antologici di suoi poeti (Clemente Rebora e Giorgio Caproni, i primi due), e pertanto corredata di apparati di lettura; o la decisione della giovane ma agguerrita Fazi di dedicare ai versi una sezione della collana Le Terre inaugurandola con ‘La miniera’ un volume, in cui Claudio Damiani raccoglie la sua produzione poetica dal 1984 a oggi. Un’offerta in cui è inoltre ravvisabile un aspetto comune se si esclude il volume di Viviani opera poeticamente compatta nel suo procedere per schegge di emozioni attraverso “improvvise fioriture” di un “dolore cifrato” che non spegne l'”indomabile sguardo” della Speranza. A una immediata comunicatività punta invece ‘La miniera’ di Damiani, un “romanzo in versi” con toni di sapore classico graziano in cui il ricordo ripercorre l’iniziazione a cose, animali e persone. La dimensione lirica del ricordo si ripropone pure nella prima parte del libro di Mussapi che lascia poi lo spazio (con esiti non sempre altrettanto felici) alla lettura del reale attraverso “la pupilla immersa nel tempo quotidiano”. Diverso invece il libro di Conte che soprattutto nella prima e ultima parte tocca livelli stilistici notevoli: orientale, la prima, coi Canti di ‘ Ysuf Abdel Nur’ i cui distici da dizione salmodica cantano il tema della schiavitù amorosa; dolorosamente occidentale l’ultima: ‘Il canto irlandese’ (In memoria Bobby Sands): commovente ballata in terzine sui momenti conclusivi del militante irlandese lasciatosi morire di fame nel carcere inglese di Maze.

 

Adriano Domenico, AVVENIMENTI

POETI E POESIE

CLAUDIO DAMIANI

Claudio Damiani LA MINIERA Fazi Editore, pp. 158, lire 25.000

“Il sentiero sale fiorito / sorridente di biancospini bianchi / . Come mi vede è contento / e vuole giocare girando le curve” …”Cara strada / tu ti muovi lenta / e non vuoi arrivare subito”… “E la casa sta zitta chiusa / perché nessuno è più entrato. / Se ti vedesse aprirebbe le finestre / e correrebbe sulla via ad abbracciarti”…Diamo qui dei lacerti – e vorremmo citarlo tutto questo delicato libro di Claudio Damiani ( San Giovanni Rotondo, 1957 ) che si è voluto intitolare ‘La miniera’ e lega a sé due libri precedenti, ‘Fraturno’ e ‘La mia casa’ che vivono di vita propria ma anche presagivano fin dal loro apparire esigevano il proseguimento di un racconto che non era finito. Il tempo della scrittura ora copre un arco di dieci anni ma Damiani viene da più lontano da un tempo bambino dove le parole gioiose e dolorose vogliono sempre chiamare le cose con il loro nome e osano accendersi con il lume di ciò che nominano. Ma non lasciamoci ingannare: la dolcezza di questo libro è aspra, la leggerezza della scrittura è sorvegliata, la parola è incantata non per scavare nella fiaba o nel passato ma perché il poeta vorrebbe riscoprire le cose che non ha mai visto. Da “LA MINIERA” E adesso tutti e due siamo distesi sul letto, io scrivo, tu ti stiri e dormi. Quell’uccellino l’hai straziato finché poi è morto. Eppure le tue forme sono belle, ora sei in pace, sembri quieta, come il mare quando è quieto, ma il giorno dopo s’alzano i cavalloni e tutto distruggono dove passano. Vedo una donna che io ho straziato. Entro in un giardino, ci sono are sparse, la luce filtra dai rami e colpisce spigoli d’erba appena nata verde. Tu mi sei accanto, dietro di noi è un mare Che luccica azzurro. Sembriamo quieti. Chiunque tu sia, m’è impossibile non starti accanto, vorrei morire vicino al tuo corpo, andando insieme senza sapere che mi sei accanto e non possiamo separarci.

 

Giovanni Mariotti, CORRIERE DELLA SERA

Poesia – Damiani

E in fondo alla miniera c’è Orazio

 

“Che le parole non diano nell’occhio, che non si getti fumo nell’occhio, é l’arte. Che l’artificio sia celato, che sia celata l’arte. Che l’opera sia anch’essa, come è, natura. Che la poesia sembri facile. Come acqua che scorre. Petrarca la chiamava: “Difficile facilità”. Queste righe, che ho appena trascritto, appartengono a un saggio di Claudio Damiani in margine a un’edizione de “L’arte poetica” di Orazio. Claudio Damiani ha quarant’anni ed era conosciuto sino ad oggi per due plaquettes di poche pagine; ora esce, presso l’editore Fazi, la sua prima raccolta di poesie sufficientemente vasta: “La miniera”. Basta aprire a caso “La miniera” e subito si capisce cosa intendeva Damiani quando, citando Petrarca, parlava di “difficile facilità”. O quando evocava un insegnamento di Orazio: componi “un discorso poetico con parole dell’uso comune, tale che ciascuno si illude di poter fare lo stesso e molto studi e si affanni invano alla prova: tanto può l’ordine e la connessione delle parole, tanto esse acquistano di decoro dal quotidiano linguaggio”. Non mi dispiacerebbe essere un critico di poesia per poter dire – autorevolmente – che l’apparizione de “La miniera” é uno dei pochi avvenimenti importanti. E invece posso soltanto dire, da lettore sporadico, che la poesia sembra ritrovare con Damiani un sapore di tempo perduto. Quell che colpisce é la consapevolezza critica che Damiani ha della sua novità. Dice Damiani ( cito ancora dal saggio su Orazio): “Ricordo che io, ragazzo, quando dall’avanguardia che leggevo passai per caso a Petrarca, rimasi sbalordito dall’immediatezza e dall’attualità della sua lingua, e le parole dell’avanguaria mi sembravano vecchie, desuete”. E a Orazio e a Petrarca Damiani intende riallacciarsi, aldilà dell’alchimista Baudelaire, “padre della poesia moderna”. Per realizzare un simile proposito, occorre “un poeta non piccolo”, per di più anche con un understatement che non può ingannare nessuno, come Damiani definisce se stesso. L’autore de “La miniera” sembra davvero scrivere e poetare al di là del confine che chiude un’epoca – e l’epoca é , naturalmente, il Novecento, la Modernità. Ma proprio per questo “oltre” da cui parla, la sua voce ha un’autorità che supera i confini della letteratura; senza essere per questo meno poeta, Damiani ci appare, in tutta naturalezza, come un giovane e segreto Maestro; qualcuno che indica una Via. Ho scritto Via con la V maiuscola, come se avessi parlato di Gesù e di Laotze. In realtà la Via di Damiani é una stradina: più precisamente, la stradina che da Percile porta al piccolo lago di Fraturno, nel cuore di quell’antico paesaggio sabino che é al centro di tante poesie de “La miniera” ( di quasi tutte): “Stradina, il tuo pensiero é lucido, la tua bellezza é nuova,/ la tua età é senza fine, esistevi / già prima di essere concepita;;;”. Con queste stesse parole si sarebbe tentati di definire la poesia di Claudio Damiani.

 

Enzo Siciliano, L’ESPRESSO

 

Con Orazio nella miniera

 

Sulla soglia del suo “La miniera” Claudio Damiani ha collocato una prosa di diario che si conclude con una versione dei bellissimi e indimenticabili versi di Orazio dedicati alla Fonte Bandusia. La scelta non é casuale. E’ una scelta di poetica, o di tono musicale e contenuto. Damiani ha inventato per sè una modulazione tematica che vuole essere di riparo o uno scudo contro l’esistenza metropolitana, feroce, seriale, sadica; di questa invenzione, Orazio, col suo fare discorsivo, ma pure con la sua indubbia elezione stilistica, é il nume tutelare. “Aria intorno alla mia casa,/ cielo azzurro lucente,/ eucalipti che frusciano nel vento,/ contadini che camminano, poveri,/con i pantaloni larghi,/impiegati che aprono un fazzoletto/ con pane, pecorino, cipolla…”. E’ l’immagine di un’antica Italia rurale mai morta che Damiani disegna con nitore e trasparenza di linguaggio; e l’affida al ritmo di un canto sommesso, un canto che in qualche modo cerca di ricalcare il solfeggio piano dell’ “epistola” oraziana. Non v’é dubbio che in tutto questo affiori un margine, o una misura, di maniera neoclassica, ma assai ben simulata e, nei momenti migliori, dissolta da un reale pathos esistenziale, o dall’esigenza di mettere in chiaro la pena, il turbamento che aggrediscono un io amante solo di azzardi interiori. “Ripenso adesso a come amai interamente/ quand’ero ragazzo, / e a come ero sicuro che il mio amore era un angelo, / a come anch’io ero un angelo, / a come eravamo uguali/ (ma lei era più uguale di me) /…/Con tutto il cuore del nostro amore ci innamoriamo/ come dei bambini che non conoscono il mondo / e interamente moriamo”. Il rischio di questa poesia é di scivolare nell’eloquente, proprio per salvarsi dal torpore della maniera: “Per quanto la massa possa crescere / ci sarà sempre spazio per la solitudine, / per l’uomo che abbraccia da un solo punto le cose, / e capisce che solo la gentilezza c’é data / e che la vita vale viverla / per essere gentili…”. Può allora accadere che la tensione emotiva dei versi si faccia sterile, fragile la capacità trasfigurante; e tenue il riparo di un paesaggio amico, di una casa, dell’amore.

La miniera - RASSEGNA STAMPA

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