Kirsty Gunn

Pioggia

COD: 07e1cd7dca89 Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
9
Pagine:
96
Codice ISBN:
9788881120581
Prezzo cartaceo:
€ 9,00
Data pubblicazione:
01-11-1997

Traduzione di Laura Evan­ge­lista

La vita di Kate e del piccolo Jim, il suo adorato fratellino, si svolge, un giorno dopo l’altro di un’estate che non sembra mai avere fine, in una strana e stordita atmosfera di festa perpetua. In realtà, dimenticati dai genitori, occupati da party quotidiani e alcol, i due fanciulli crescono da soli, lontano dalla grande casa sul lago diventando l’uno la più grande ricchezza dell’altro. Insieme scoprono il lago, un luogo meraviglioso su cui regnare liberi; qui scoprono il mistero della bellezza di una natura palpitante che li avvolge… È proprio l’acqua del lago a diventare la meta preferita delle loro fughe, durante le interminabili giornate estive, e sarà proprio l’acqua a infrangere i loro sogni, spezzando per sempre un incantesimo che pareva infinito… Pioggia è il romanzo che ha rivelato il grande talento di Kirsty Gunn e le sue straordinarie capacità di scrittura.

«Un romanzo dalle stupende descrizioni […] alcune pagine sono così intense da farci respirare all’unisono con la natura».
Renzo S. Crivelli, «Il Sole 24 Ore»

«Cimentandosi nella difficile e impietosa arte del romanzo breve Kirsty Gunn supera brillantemente la prova rivelando al lettore singolari doti letterarie».
Maurizio Bartocci, «il manifesto»

PIOGGIA – RECENSIONI

 

Patrizia Ventura, GIOIA

 

Come pioveva…

 

È un piccolo grande caso editoriale quello rappresentato dalla scrittrice neozelandese Kirsty Gunn con il suo romanzo d’esordio, “Pioggia” (Fazi editore, 93 pagine, L. 18.000). una storia tenera e struggente che ha per protagonisti due fratelli, Kate e Jim, il loro farsi compagnia sulle rive di un lago dai mille misteri durante un’estate irripetibile e tragicamente breve. Da soli e lontani dai genitori troppo compresi a litigare tra loro o impegnati nelle mondanità , Kate e Jim scoprono insieme la bellezza della natura, la felicità della vita, la libertà di agire, ma anche la fragilità dei sogni. Un racconto magico e poetico, crudele e commovente sull’infanzia come apprendistato alla vita e sulla precarietà dell’esistenza.

 

Renzo S. Crivelli, IL SOLE-24 ORE

DALLA NUOVA ZELANDA

Pioggia, bellezza e inospitalita’

 

Come è noto, la narrativa della Nuova Zelanda non possiede una tradizione autonoma, sganciata totalmente dal sogno della terra inglese “verde e piacevolissima” che ha accompagnato sin dall’Ottocento, durante le cospicue ondate di insediamenti inglesi, tutta la sua produzione letteraria. Nel secolo scorso, infatti, quasi del tutto ignari delle forti tensioni sociali d’una colonia la cui crescita accentuava il divario classista fra i ricchi proprietari terrieri inglesi e il proletariato irlandese e scozzese – una dura “manovalanza”, in parte in fuga dalla dilagante fama europea e in parte dalla spietata natura australiana -, gli scrittori neozelandesi si erano limitati a contrapporre il fascino esotico di quelle vaste isole sperdute agli incanti ben più concreti della madre patria. Quella stessa patria che nel 1840, artefice la regina Vittoria, aveva firmato un trattato con i Maori, gli antichi abitanti della Nuova Zelanda, la cui validità era stata così breve da far sospettare una completa malafede e che aveva portato alle due tragiche guerre del 1843 e del 1860 culminate con lo sterminio sistematico degli indigeni. Piuttosto, dato che dei Maori e dei loro problemi la letteratura neozelandese di lingua inglese si sarebbe occupata oltre un secolo dopo, si può dire che soltanto a partire dal Novecento, con l’affermarsi nel paese (ormai divenuto nel 1907 “dominion” ) di una legislazione molto più egalitaria, gli scrittori acquistano una maggiore coscienza nazionale e la traducono – specie negli anni 30, dopo la Depressione, e negli anni Quaranta – in opere originali, ormai slegate dalle edulcorate fascinazioni post-romantiche della tradizione inglese (e tra i grandi narratori del XX secolo basti citare Catherine Mansfield che, pur trasferendosi in Inghilterra, manterrà sempre come referente la sua terra originaria), privilegiando, come nel caso di John Mulgan o di Dan Davin, la critica sociale. Ma la grande fioritura di narrativa neozelandese coincide col secondo dopoguerra e rivela subito un’eccezionale propensione per la forma del racconto (o del romanzo breve), il più delle volte affidato (e questo è uno stilema ricorrente in quasi tutti gli autori) allo sguardo fresco ma “disincantato” di un adolescente. In perfetta linea con questa tendenza – del racconto e del filtro infantile – si pongono anche le nuove generazioni di scrittori, i quali, emergendo nel segno di Janet Frame (che dopo un periodo britannico è tornata nella sua terra e ha dato voce ad un’opera universale di identità neozelandese), hanno continuato a privilegiare le narrazioni brevi. E tra le autrici degli anni novanta può ben figurare Kirsty Gunn, il cui romanzo “Pioggia”, del 1994, è stato ora tradotto per Fazi Editore da Laura Evangelista con un’eccellente resa della delicatezza descrittiva del testo. “Pioggia”, va subito detto, è un racconto lungo che ambisce alla dimensione del romanzo in quanto paradigmatico d’una crescita adolescenziale in cui i grandi temi della narrativa neozelandese – dell’inconciliabilità tra ipocrisia puritana e tensioni sociali alla profanazione d’una natura incontaminata ad opera d’una civiltà corrotta e inurbata – agiscono, inesorabilmente sino a prefigurare, con la perdita quasi indifferente dell’innocenza di Janey, la protagonista dodicenne stuprata da un attempato amico di famiglia, la rinuncia ad ogni forma di riscatto da parte degli imbelli discendenti degli antichi colonizzatori. Ciò che stupisce, nella lettura di “Pioggia”, è il contrasto tra le stupende descrizioni naturali (alcune pagine sono così intense da farci respirare all’unisono con la natura) e l’assoluta insulsaggine della ricca comunità inglese che sembra indifferenze a ogni accadimento esterno (“I nostri genitori facevano feste per tutta l’estate; iniziavano al tramonto e andavano avanti fino a notte fonda”). In quel contesto, di fronte al dischiudersi della femminilità di Janey, che si abbevera al battito universale delle acque del lago e alle notti stellate scandite dai canti ubriachi degli ospiti di casa, emerge soltanto la brutale differenza dei genitori (una madre da imitare, come si fa con le attrici di cartapesta dei film hollywoodiani, un padre inaridito da compatire) mitigata dallo straordinario contatto fisico tra lei e Jim, il fratellino di cinque anni con cui condivide, nelle fughe segrete da casa, l’incanto della natura. Una brutalità che finisce col confinare, nell’atto quasi “inesorabile” della violazione della protagonista da parte del mondo degli adulti, con un altro atto di violenza ad opera della natura stessa: la morte improvvisa, per annegamento, del piccolo Jim che l’amore supremo di Janey – quasi quello di una “madre naturale”, per l’appunto – non riesce a salvare. Perché in quella terra australe, come ci viene ricordato in “Pioggia”, anche ciò che è bellissimo può essere violento, vendicativo, inospitale.

 

AVVENIMENTI
– 02/04/1998

 

ADOLESCENZA NELL’ACQUA

Traduzione di Laura Evangelista Fazi ed. pp, 94, lire 18.000

Lo straordinario romanzo di questa giovane scrittrice neozelandese è un colpo mortale inferto al rispettabile mondo degli adulti. Raccontata con linguaggio terso ed implacabile la storia si apre e si chiude nel segno dell’acqua in un’estate estenuata che sembra non voler mai finire tra le rive di un lago percorso da infinite correnti e una casa percorsa dall’unica ma multiforme, corrente dell’ambiguità. Un’ adolescente sensibile e un bambino gioioso perennemente immersi nell’acqua – del lago, della pioggia – per sottrarsi agli altri fluidi che circolano nella casa: whisky, in primo luogo, ma anche pulsioni incontrollate, sentimenti inconfessabili. La loro famiglia esiste soltanto in quei pochi attimi del tramonto – attimi fatati ma illusori – che precedono le interminabili feste notturni, in cui la splendida madre riluce come una falena e il padre si condanna, ogni volta, al ruolo dell’incattivito spettatore. E intorno a una tragedia di cui s’intravedono i perentori segnali un coro di vecchia commedia: sbrilluccichii di sorrisi di atteggiamenti consunti, di rancori invidie e desideri. “Tutti i bambini sono impotenti contro gli adulti che gli stanno intorno”. Sono le amare parole dell’adolescente che racconta la storia: e se lei si lascia prendere passivamente da uno dei tanti troppi amici della madre – tanto lo sa lo ha sempre saputo di essere destinata alla sua stessa dorata desolazione – il piccolo pesciolino Jim si farà riassorbire quietamente dalla tanta troppa acqua del lago.

 

Maurizio Bartocci, IL MANIFESTO
– 02/05/1998

Kirsty Gunn

Un felice esordio lungo le rive di un lago in tempesta

 

Una strana e inquietante sensazione di calma piatta, un semi torpore dei sensi e della mente e un’idea quasi mistica della natura sono gli elementi che affiorano sin dalle prime pagine di “Pioggia”, romanzo d’esordio della neozelandese Kirsty Gunn, che Fazi ha recentemente mandato in libreria nella traduzione di Laura Evangelista. E’ questo, senz’altro, un esordio felice. E non solamente perché “Pioggia”, best-seller in Inghilterra e negli Stati uniti, è stato tradotto nelle principali lingue europee, ma soprattutto perché, pur cimentandosi con la difficile e impietosa arte del romanzo breve, dove soltanto i migliori ne escono vittoriosi, Kirsty Gunn supera brillantemente la prova rivelando al lettore singolari doti letterarie. La storia della dodicenne Janey Phelon e del suo fratellino Jim, parte in sordina, quasi si trascina in avanti utilizzando parole senza centro di gravità, senza un bersaglio da colpire. Parole leggere, che non lasciano il segno, che sfiorano appena i personaggi e che non puntano alla costruzione di una trama complessa e astutamente costruita a tavolino, ma ci permettono in modo originale di carpire luminosi squarci di pensiero e sottili brandelli di azioni che fluttuano e si adagiano sulla superficie del lago che sta a incarnare il vero protagonista di questo romanzo. Janey e Jim sono i figli di una coppia scialba e superficiale il cui unico scopo nella vita, oltre a dormire e a bere, sembra quello di organizzare feste per gli amici nella loro casa delle vacanze in riva al lago. Janey diventa così, non solo per necessità ma soprattutto per vocazione, una seconda madre per Jim. Lo accudisce, gli prepara i pasti, lo fa giocare, gli insegna a nuotare, lo mette a letto e sopra ogni altra cosa gli offre un’idea di serenità e stabilità che dentro le mura di casa non riesce a rintracciare. E le loro giornate interminabili si rincorrono tutte uguali; ore lunghissime trascorse in riva al lago e dentro l’acqua dove l’estremo isolamento a cui essi sono relegati si annienta e inconsciamente si fanno attori e interpreti di una sottile e inesplicabile esplorazione dell’esistenza e dell’inevitabile. Ed è inevitabile che il libro conduca alla morte perché il lago è “infido”, questa è la parola che usa il padre di Janey quando parla di quella distesa d’acqua. “Lui non sapeva quante persone erano annegate al lago; troppe barche erano affondate, diceva. Si preparavano all’uscita di mattino presto, ignare, mentre il cielo candido si caricava di nubi e rovesciava contro di loro venti di tempesta, forti correnti devastanti. Poteva essere piena estate, ma la temperatura precipitava improvvisamente, le onde tremavano di un fremito tenebroso e all’improvviso, senza neanche accorgertene ti ritrovavi al centro del lago, drammaticamente lontano dalla terra ferma”. C’è un Fato inesorabile la cui presenza si avverte sotto la superficie piatta del lago così come si avverte che sotto la superficie della linearità dello stile e la semplicità del linguaggio sta per scatenarsi una tempesta di sensazioni e di emozioni che toccherà l’apice al capitolo sette: una descrizione destabilizzante e sconvolgente della tragedia appena successa, mascherata dalle fredde e tecniche istruzioni su come comportarsi per eseguire un salvataggio in acqua e praticare una respirazione artificiale. La dote più grande di Kirsty Gunn risiede proprio in questa sua grande abilità di sapere sfruttare al meglio la concentrazione di spazi, di luoghi, di azioni e di pensieri che il romanzo breve impone per sua natura e struttura, creando un’atmosfera densa di significati che non hanno bisogno di spiegazioni didascaliche, perché nell’esperienza umana “le cose succedono e basta, e questo è tutto. E poi sono andate per sempre”.

Pioggia - RASSEGNA STAMPA

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