Anatomia di un abbandono: «Nel profondo» di Daisy Johnson

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Daisy Johnson

Aspettando l’uscita di Nel profondo di Daisy Johnson, il 19 settembre, Alessia Ragno ci parla in anteprima del romanzo.

 

Se con la candidatura al ‘Man Booker Prize’ del 2018 Daisy Johnson guadagna la fama di autrice più giovane mai nominata, nonché moderna Sofocle nella sua riscrittura dichiarata dell’Edipo Re, nella pratica il suo Nel profondo è molto di più di queste connotazioni tecniche. È il romanzo d’esordio, un contributo singolare al tema della genitorialità “interrotta”. La protagonista è Gretel, una lessicografa di professione per una scelta molto consapevole di Johnson, che al linguaggio e alle parole regala una porzione importante in questo racconto. Sua madre Sarah l’ha abbandonata quando aveva tredici anni, dopo un’infanzia vissuta in simbiosi con lei e solo lei, su una barca in riva a un fiume, a proteggersi dall’ignoto e dai mostri, il Bonak su tutti. L’autrice sovrappone più piani temporali distinti per collegarli punto per punto con gli episodi di vita di Sarah, Gretel e degli altri personaggi che costituiscono il coro greco “dolente” che canta il loro destino. L’Edipo, però, è un terzo personaggio, Margot, poi diventata Marcus, che sfugge alla profezia dell’oracolo Fiona in un passato remoto e indefinito. La sua vita si incrocerà per un mese intero con quelle di Sarah e Gretel, e lascerà un segno tangibile anche dopo tutti gli anni passati dall’abbandono. Il mito, però, si fa da parte per dare posto al processo di crescita di Gretel. È già adulta quando ritrova la madre dopo sedici anni di silenzio, ma in qualche modo ferma alla sé tredicenne che non ha mai risolto i suoi perché. Perché l’ha lasciata? Perché l’ha cresciuta così selvaggia, in riva ad un fiume, stretta a lei come fossero le ultime due persone viventi sulla terra? Cosa le ha fatto il Bonak? E, soprattutto, come si fa a digerire una rabbia antica costruita in anni di mancanza? Daisy Johnson, allora, conferma il sospetto doloroso che, nonostante l’amore, i figli non abbiano il potere di riparare una madre, né di poterla perdonare, anzi, è l’amore stesso a trasformarsi e diventare impossibile.

            Ci sono, a dividerci, decenni di rancore, un pantano di incomprensioni, compleanni dimenticati, tutta la mia vita dai venti ai trenta e un seno di meno, alla cui asportazione non ho assistito.

Gretel vive di rancore e ricordo:

            Mi eri sembrata così forte, infinita, immortale.

Sono le parole di ogni figlia, nonché il primo pensiero a cui si rinuncia quando il tempo passa e cresce la consapevolezza che niente sarà più come prima.

Gretel la cerca con intensità alterna e la ritrova dopo una telefonata rocambolesca, quando è ancora nel pieno dei suoi ricordi sbilenchi, un po’ frutto della sua fantasia di bimba, un po’ censurati volontariamente dalla mente perché dolorosi. Lei che ritorna nel “mondo civile”, quasi fosse una enfant sauvage, con in mente un vocabolario inesistente inventato dalla madre. È anche per questo che poi diventa lessicografa, per riscoprire una ad una quelle parole di cui la madre l’aveva privata. L’incontro dopo anni di silenzio mostra una Sarah fatta a pezzi dall’Alzheimer, cristallizzata in un tempo mentale in cui regredisce e ritorna in sé a seconda del momento. La madre che Gretel ricorda, selvaggia e strega, sia nel senso di magica che di anaffettiva, adesso è un corpo invecchiato e svuotato dalla malattia.

            Mi aveva messo in mano una grossa arancia, e mi aveva detto che quella era la parte di cervello che una persona perde quando ha l’Alzheimer. Provai a immaginarmelo. Il tuo cervello, con dentro un buco grosso come un’arancia.

Sarah rifiuta le parole, il presente e l’Alzheimer con la stessa veemenza con cui in gioventù ha rifiutato il suo ruolo di madre, di moglie e di compagna. Non era quello il momento e per Sarah la libertà ha un valore talmente grande da trasmetterlo anche alla figlia, che sarà incrinata, vero, ma sempre libera di scegliere tanto quanto lo è stata lei. È questa libertà a rendere Gretel quasi asociale nel suo cottage solitario che poi si rivela un inferno per la madre malata. Quello da cui non si libereranno mai, però, è il Bonak, l’elemento primordiale che la scrittrice inserisce per ricordare ai suoi personaggi, e ai lettori, quanto paura, dolore e perdita funestino la nostra esistenza, senza che ci sia stata data la possibilità di combatterli ad armi pari. E dopo aver dedicato la sua vita a cacciarlo, Sarah torna da sua figlia irrimediabilmente ferita e confusa:

            […] non ti ricordavi più il motivo per cui gli avevi dato la caccia.

Questo è il potere del Bonak che alberga nella mente umana: sa tenere sotto scacco una esistenza intera per poi disperdersi nella malattia e far perdere ogni traccia di sé.

Nel profondo è un melodramma moderno ricco di metafore, lo strumento stilistico preferito di Daisy Johnson, che abbonda di liricità per compensare il sangue, lo sporco, la paura. E con queste metafore che l’autrice trasfigura la realtà, i suoi protagonisti e la complessa sindrome dell’abbandono di cui soffrono tutti, nessuno escluso, uniti nella vita e nel dolore ineluttabile.

 

Alessia Ragno

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