La poesia del mercoledì: A mia madre di Giuliano Goroni

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giuliano goroni

Questa è la nostra rubrica dedicata alla poesia. Ogni settimana, il mercoledì, pubblichiamo una poesia italiana del ‘900 o contemporanea scelta dall’editore.

A mia madre di Giuliano Goroni.

Hai lasciato, per poco, l’acuto angolo
del tuo riposo. Da sotto, allo spigolo
di casa che più gode d’Aurora,
la gronda perde le gocce

come noi le parole nel regno
della vita minuta. Ma oltre questa
visibile signoria del male
non pare più povertà la bellezza

invecchiata nella innocente trasparenza
della specchiera, al tocco d’oro
dei cieli multiformi che chiama
lontano con voce e lingua umani,

e nel paese di mura rugose e di pensieri
l’inverno fa il suo ultimo tentativo
incompiuto sullo scricchiolio dell’acciottolato
che il passo incide, sonoro,

sullo sfuggente candore del melo,
e pare un poco che morire non è tutto,
se alzare possiamo cieli nostri,
se l’inciampo del cuore rinasce in seno

quasi Primavera che guadagna
aurora ogni sera, ad ogni rondine,
a ogni stella, come un difficile
candore oltre la percossa umana.

Nel patema odoroso e paziente
ch’è la sera, viene la prima stella
così stupita d’essere sola, e null’altro
ancora trema e brilla sui colli.

Pure, il tuo capo chino, pare sazio
dell’avvenire e dell’oggi; non
di parole o volti nel sogno,
che il sonno ti reca, grati, nella

memoria che si scioglie in flutti
d’ombre vive, nella senile
altalena del dormiveglia
in cui nulla pare esistere

se non ciò che più non esiste.
Da un volo di comignoli, ti semina
in amore, dai tegoli ai vetri,
rosse impronte, il sole

che abdica alle stelle,
e un azzurro senza rimpianti
chiude la riga del tuo tramonto
in una preghiera di madreperla.

Biascicano di tanto vento i platani
e, al rientro, il buio ci stringe
addosso i muri e la teiera lampeggia
all’imbrunire; meglio spicca quel nido

d’umido all’intonaco corroso, una fedeltà,
penso, ai gesti, alle voci di un
antico respiro gaio, sepolto ma non defunto,
nell’ora riempita di questo tanto presente

in ogni suo attimo passato e quelle
tazzine vuote sullo stesso ripiano
da tanto, quasi tiepide le penso,
quasi tiepide.

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