Perché ho scritto «Ruggine»

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romanzo Ruggine

Anna Luisa Pignatelli racconta la genesi di  Ruggine e dei suoi personaggi.

 

In un villaggio toscano avevo sentito parlare di una vecchia che aveva avuto un rapporto insano con il figlio. Ciò che mi ha ispirato Ruggine non è stata però questa vicenda, ma la voglia che avevo di scrivere di una vecchia, ignorante, diversa, indifesa, ma che ama la vita. Mi sono spesso chiesta cosa si provi a essere vicino alla fine della propria esistenza senza futuro possibile.

Il personaggio di Gina aveva bussato più volte alla mia mente, con la richiesta che parlassi di lui. Le vecchie mi hanno sempre attratto, in particolare quelle antiche, con la gobba, il bastone, a volte col fazzoletto in testa, a volte con lo scialle sulle spalle. Ce ne sono ancora. Sembrano streghe, e le streghe mi hanno sempre attratto: sono in contatto con i misteri del mondo, credono di penetrarli, di avere a disposizione le forze della natura.

Così ho cominciato a scrivere Ruggine.

Le vecchie sono lasciate in disparte perché non c’è niente di più inutile di una donna anziana, se povera e senza famiglia.

Ma Gina è forte e ha voglia di vivere, è lucida, volta verso il futuro e le piacciono i giovani. Non è amara nonostante tutto quanto le è successo.

È incorrosibile anche se è detta Ruggine. Ed è soprattutto per questo che viene odiata e guardata con sospetto.

Una vecchia sola è l’emblema dell’inutilità, della marginalità.

Le persone di cui nessuno s’accorge: se uno s’avvicina, scopre che il loro mondo è vasto, coraggioso, complesso, che si fanno molte domande e che in tre stanze si possono svolgere epiche battaglie, per la sopravvivenza quotidiana, per la difesa dei propri diritti e della libertà di pensiero.

Per questo Ruggine è una storia di speranza, perché non c’è niente di più notevole, di più affascinante, della lotta quotidiana di chi non ha forza negli arti, né armi e strumenti per combattere.

Inoltre io mi identifico con Ruggine come mi sono identificata con Buio, il protagonista di Nero Toscano: quello di essere solo contro tutti, e solo di fronte alla morte, è il destino di ogni essere umano, e mi piace chi accetta questa incontestabile realtà: riconoscerla aiuta a evitare di annullarsi nei compromessi, di appiattirsi nell’ipocrisia. La vita è questo: conflittualità, spossatezza, curiosità, a volte generosità. Gina lo sa e lo sa anche Ferro.

Ferro. I gatti mi affascinano quanto le vecchie: misteriosi, con la pupilla che si dilata o si restringe a seconda dello stato d’animo, agili, indipendenti dall’uomo che utilizzano e lasciano quando lo ritengono opportuno.

Gina mi ha dato modo di parlare della Toscana, dove sento di avere le mie radici, una terra aspra di gente poco aperta a causa di conflitti secolari e lotte fra fazioni che perdurano fino ad oggi.

Per quanto riguarda i personaggi di Ruggine, George detto don Felicano, mi è stato ispirato da un prete di colore che incontrai in un borgo toscano: m’ero chiesta come potesse sopravvivere in quella comunità chiusa e ostile, che lo definiva ‘uno senza iniziativa’.

Tamara non mi è stata suggerita da alcuna ragazza reale, rappresenta i giovani sognatori che vogliono andarsene e che il paese risucchia come un buco nero.

Descrivendo la professoressa e il marito professore non ho pensato a figure conosciute: impersonificano la classe istruita del borgo, pretenziosa perché erudita e certa dei suoi diritti, senza empatía per chi non conta.

Il Sestini e il Cioni incorporano i vizi, le sordidezze, l’avidità, l’egoismo della gente danarosa.

La Bonifazi è la classica pettegola di paese, laida, cattiva e autorevole nella sua perversione.

Il Neri, che si chiama Neri di nome, non di cognome, è il personaggio che, dopo Gina, ho amato di più: uno che non ha mai contato niente e su cui gli altri hanno sempre potuto contare, uno che non si è mai permesso di avere dei sogni, una quercia alla cui ombra trovare ristoro.

Loriano è un ragazzone emblematico che, difeso dall’asprezza della vita da Gina, finisce per dedicarsi con compiacimento all’oziosità e al male.

Il borgo è in collina, da lì si vede il Monte Amiata. Non ho pensato a un paese toscano in particolare ma alle caratteristiche che li accomunano tutti: i vicoli ombrosi e bui, i vecchi, le comari, le chiacchiere, la chiesa, le funzioni, l’orologio che batte le ore, la noia. E poi i tetti, le tegole, i comignoli, i piccioni, le taccole, i corvi, le cornacchie, i cani al guinzaglio e i gatti sciolti e la fontanella nella piazza, ombelico del mondo.

Anna Luisa Pignatelli

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