Avvertenza del traduttore: Clemente Rebora su «La felicità domestica» di Tolstoj

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Avvertenza del traduttore

A Lidusa,
lucciola della luce

La felicità domestica (scritta a Iàsnaia Poliàna nel 1859) uscì in Russia nel mentre, dopo il fulgore delle speranze suscitate dai suoi primi racconti di giovinezza, si era fatto intorno al Tolstoj un improvviso buio di silenzio.
Eppure, questo “romanzo”, è forse la sua più candida rivelazione, di quando il mondo aveva in lui trentadue anni, e la sorgente gemeva ancora melodiosa sul capelvenere della poesia dentro l’anima raccolta. Più tardi, confusa in mille affluenti, per le valli degli uomini, proruppe a fiottar tumultuosa, a volte limacciosa (e si chiamerà anche Sonata a Kreutzer) verso immense pianure coronate in solitudine di vette e di cielo (e avrà anche nome di Anna Karenina).
Ma quest’opera è e rimane sopra tutte cara, come una creatura che le si può volere soltanto bene.
Quest’imagine dell’amore che si cerca – e vien rimandata dallo specchio della vita – ha riverberi d’esperienza attuale, e balena insieme di anticipazioni perenni. I sentimenti, i luoghi, le persone – tutto fu verità dello scrittore, ed è realtà per noi. Essenza per tutti i freschi cuori – esalata nell’intimità della donna, e al fiuto dell’uomo: il quale dilaterebbe le nari e cercherebbe il fiore per amarlo davvero, se potesse riconoscere il dono di vita che gli è offerto a sua beatitudine, quando fosse dato accoglierlo e nutrirlo con grazia, senza sciuparne il polline, per avidità o distrazione.

I lettori italiani non la conoscono troppo.
Fra le versioni francesi, la più meritamente diffusa è quella curata dal Bienstock (nell’edizione delle opere complete di L.T., riveduta dalla contessa Tolstoj); ma già nel titolo diminutore, e un po’ furbetto (Le bonheur conjugal), rivela quella sufficienza disinvolta e graziosa, la quale lustra amabilmente la superficie, ma seppellisce le papille dei sensi profondi.
Delle versioni italiane non dico: credo ce ne siano un paio, di cui la più famosa o infame è quella che, con civetteria da edicole, fa l’occhiolino alle esistenze malmaritate da questo titolo di richiamo: Il romanzo di un matrimonio.

Clemente Rebora

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