Introduzione di Wilkie Collins a «Basil»

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basil

Lettera di dedica

All’illustrissimo Charles James Ward

A lungo ho pregustato con piacere il momento in cui avrei potuto offrirti, mio caro e vecchio amico, una testimonianza del valore che attribuisco al tuo affetto per me e della mia gratitudine per le molte gentilezze con cui lo hai dimostrato, come quella che ora sono lieto di offrirti qui. Dedicando a te quest’opera, realizzo pertanto uno scopo che da tempo desidero sinceramente conseguire, e soprattutto mi guadagno la soddisfazione di sapere che c’è almeno una pagina, nel mio libro, cui guarderò sempre con autentico piacere: la pagina che porta il tuo nome.
Ho basato l’evento principale che dà origine a questa storia su un fatto di cui ho conoscenza diretta. In seguito, nel dare forma alla narrazione che ha preso spunto in questo modo, ho guidato i suoi sviluppi il più possibile dove sapevo – per esperienza mia o raccontatami da altri – che avrebbe toccato qualcosa di vero e reale. La mia idea era che quanto più avessi raccolto del Reale come testo da cui attingere, tanto più sarei stato sicuro della genuinità e del valore del­l’Ideale che ne sarebbe scaturito. Fantasia e immaginazione, grazia e bellezza, tutte queste qualità che stan­no al­l’opera d’arte come profumo e colore stanno al fiore, possono crescere verso il cielo solamente se affondano le loro radici nella terra. La poesia della narrativa, nella sua espressione più alta, non è forse poesia della verità di ogni giorno?
Guidando quindi i miei personaggi e la mia storia verso la luce della Realtà ovunque potevo trovarla, non ho esitato a violare alcune convenzioni del romanzo sentimentale. Ad esempio, il primo incontro d’amore di due personaggi di questo libro ha luogo (dove ha avuto luogo l’incontro reale da cui è tratto) nell’ultimo posto e nelle ultime circostanze che le convenzioni della narrativa sentimentale accetterebbero. I miei innamorati susciteranno allora il ridicolo anziché l’interesse, perché li ho fatti incontrare là dove centinaia di altri innamorati si sono visti per la prima volta, come centinaia di persone ammetteranno quando leggeranno il passo a cui mi riferisco? Sono abbastanza ottimista da pensare di no.
E ancora, in certe parti del libro dove volevo tenere in sospeso il lettore o suscitare la sua pietà, ho introdotto come accessori perfettamente adatti alla scena i suoni della strada e gli eventi più comuni, nel momento e nel luogo rappresentati, nella convinzione che nel rendere più verosimile la realtà accrescano la tragedia, con tutta la forza di un giusto contrasto e come nessun artificio meramente narrativo potrebbe fare, per quanto ingegnosamente introdotto da una mano scaltra.
Permettimi di soffermarmi ancora un momento sulla storia contenuta in queste pagine.
Nella convinzione che il Romanzo e il Teatro siano fratelli gemelli nella famiglia della Finzione, che l’uno è dramma narrato come l’altro è dramma rappresentato, e che tutte le emozioni forti e profonde che il drammaturgo ha il privilegio di suscitare siano le stesse del romanziere, non ho ritenuto né opportuno né necessario, nell’aderire alla real­tà, aderire esclusivamente a quella quotidiana. In altre parole, non mi sono abbassato tanto da non domandare mai al lettore un esercizio di fede per essere certo che accettasse l’attendibilità della mia storia. Quelle vicende straordinarie che accadono a pochi uomini mi sono parse materiale legittimo su cui lavorare (laddove esisteva un buon motivo per usarle) quanto gli eventi ordinari che accadono a tutti noi. Facendo appello a genuine fonti di interesse all’interno dell’esperienza del lettore potevo certamente assicurarmi la sua attenzione per cominciare, ma solo ricorrendo ad altre fonti (altrettanto genuine a loro modo) al di là della sua esperienza potevo sperare di tenere desto il suo interesse e la sua curiosità, di coinvolgere i suoi sentimenti più profondi o di spronarne i pensieri più nobili.
Scrivendo tutto questo (brevemente e in modo molto generico, giacché non posso trattenerti oltre dal leggere la storia), posso solo ripetere, anche se spero non ce ne sia bisogno, che sto parlando solamente di ciò che ho cercato di fare. Tra lo scopo qui menzionato e il modo in cui ho cercato di realizzarlo nelle prossime pagine sta la grande linea di demarcazione che separa l’intenzione dal risultato. Quan­to il risultato sia inferiore ai parametri di un altro uomo resta ancora da scoprire. Quanto sia inferiore ai miei, lo so purtroppo molto bene.
Ancora una parola sul modo in cui ho perseguito lo scopo delle pagine che seguono, e ho finito.
Se si ammette che compito della finzione narrativa è di mostrare la vita umana, nessuno può negare che scene di abiezione e di peccato debbano di necessità, finché la natura umana rimane ciò che è, far parte di questo quadro. Nessuno può affermare che queste scene non producano risultati utili, quando sono evidentemente volte a uno scopo puramente morale. Se mi si domanda perché ho inserito certe scene in questo libro, la mia risposta è nella verità universalmente accettata che ho appena espresso. Ho il diritto di appellarmi a quella verità, perché essa è stata la mia guida in ogni momento. Nel trarre la lezione racchiusa in queste pagine da quegli esempi di errore e peccato che la insegnano nel modo più eclatante e naturale, ho voluto rendere giustizia all’onestà del mio intento esplicitandolo con chiarezza. Nel tratteggiare i due personaggi dalle cui azioni scaturiscono le scene più fosche della storia, non ho dimenticato che il mio dovere era non solo di ritrarli in modo naturale, ma di farne un buon uso morale. Sacrificando, a volte, l’effetto drammatico (ma non la fedeltà alla Natura), ho mostrato il comportamento dei vili legato, come sempre e con sfumature diverse, a motivazioni egoistiche, spregevoli o crudeli. Se qualcuno dei miei personaggi migliori riuscirà ad accattivarsi il lettore è una cosa che non so; so invece che in nessun caso lo defrauderò delle sue simpatie in favore dei malvagi.
A coloro che dissentono dai principi generali cui ho fatto riferimento; che negano che la vocazione del romanziere sia qualcosa di più che non semplicemente divertirli; coloro che nei libri rifuggono da ogni onesto e serio riferimento ad argomenti che sono nei loro pensieri in privato e nei loro discorsi in pubblico; che vedono insinuazioni nascoste dove nulla è sottinteso e allusioni disdicevoli dove non si allude a niente di sconveniente; la cui innocenza è nella parola, non nel pensiero; la cui moralità si ferma alle labbra e non arriva mai al cuore: è per me tempo perso, o peggio, fornire a queste persone ulteriori spiegazioni delle mie ragioni oltre a quelle che ho già dato a sufficienza. Non mi rivolgo a loro in questo libro, né mi sognerò mai di farlo in altri.

***

Queste parole erano parte dell’introduzione originale di questo romanzo. Le scrissi quasi dieci anni fa, e ciò che dissi allora lo ripeto adesso.
Basil è il mio secondo romanzo. Alla sua apparizione fu frettolosamente condannato, da parte di una certa classe di lettori, come un oltraggio al loro senso del decoro. Consapevole di aver ideato e scritto la mia storia con il massimo riguardo verso la vera discrezione (ben distinta dalla falsa), ho permesso alle più lubriche interpretazioni di certi passi assolutamente innocenti di manifestarsi anche in modo offensivo, senza darmi la pena di protestare contro un’opinione che in me non suscitava altro che disprezzo. Sapevo che Basil non aveva niente da temere dai lettori più puri, e ho lasciato che queste pagine si reggessero sui loro soli meriti. Lentamente, ma con sicurezza, la mia storia si è fatta strada tra le critiche avverse fino a occupare un posto nel favore del pubblico che, da allora, non ha più perso. Alcuni degli amici che più stimo li devo a Basil. Alcuni degli apprezzamenti più gratificanti che ho ricevuto per le mie opere, da lettori che non conoscevo, sono stati per la purezza di questa storia, dalla prima all’ultima pagina. La sola indulgenza che sento di dover domandare per Basil riguarda i difetti stilistici dovuti all’inesperienza, che nessuna correzione può eliminare del tutto e che nessuno vede più chiaramente, dopo dieci anni, dell’autore stesso.
Devo solo aggiungere che la presente edizione è la prima ad aver avuto il beneficio della mia attenta revisione. Mentre gli eventi della storia rimangono esattamente com’erano, il linguaggio in cui sono raccontati in molti casi è stato, spero, ampiamente cambiato in meglio.

Wilkie Collins

Harley Street, Londra
Luglio 1862

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