La corsa e la metafora della vita ne «Il guardiano della collina dei ciliegi» di Franco Faggiani

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ciliegi faggiani

Aspettando l’uscita, il 2 maggio, del nuovo romanzo di Franco Faggiani, Il guardiano della collina dei ciliegi, Alessia Ragno racconta le sue impressioni sul romanzo.

 

Shizo Kanakuri è un corridore, spinge le sue gambe leggere una dopo l’altra nella rigogliosa e suggestiva natura giapponese, leggero come un giunco e talentuoso come pochi.

“Già dall’adolescenza la cosa che mi rendeva più felice era correre”

dice di sé Kanakuri-san, e poi

“La solitudine era una compagna fedele, il silenzio uno scudo per la mente. La foresta era il mio tempio, la corsa la mia preghiera”

Una infanzia avara di sentimenti e trasporto quella con i genitori, ma la corsa insegna e lo educa al rigore, al silenzio, al bello, fino a quando diventa motore del primo grande viaggio di Shizo fuori dai confini nazionali del suo Giappone, verso la Svezia e Stoccolma. È la sede dei Giochi Olimpici del 1912 e Shizo è stato scelto, come atleta, dall’Imperatore in persona.

Franco Faggiani torna dopo la bellezza de La manutenzione dei sensi costruendo, su una storia vera, un romanzo placido che appaga col suo incedere ritmato e pacato, come quello dei grandi maratoneti. Un’opera di fantasia, come dichiara lo stesso autore, che però trae spunto dalle notizie certe su Shizo Kanakuri, maratoneta realmente esistito, nato nel 1891 e protagonista di uno degli episodi più curiosi e misteriosi delle Olimpiadi moderne: corse la maratona e tagliò il traguardo dopo 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi. Al suo fianco i kami, le divinità del culto shintoista in cui riporrà sempre la sua fede, e un amore sconfinato per la natura:

“[…] nella mia isola la natura era il mondo perfetto”

Faggiani aggiunge di suo pugno tutti gli elementi oscuri della storia di Shizo Kanakuri, persi nella storia, ma anche volutamente taciuti dal suo protagonista che non chiuderà la sua gara olimpica fermato da un contrattempo alquanto curioso e che passerà buona parte della sua vita ad espiare questa colpa. Lui, la speranza del Giappone, che aveva viaggiato per mesi per arrivare a Stoccolma e che non aveva concluso la gara per cui era stato il favorito. Si prende un lungo tempo per elaborare la delusione, ma tornerà in Giappone 3 anni dopo la sua débâcle, dopo viaggi lenti e fantastici, per riappropriarsi del suo legame con la natura, con la terra, con la bellezza. Kanakuri-san diventerà per decenni il guardiano di una foresta di yamazakura, il ciliegio selvatico delle montagne. Si nasconde ancora dal suo passato, ma non c’è nulla di violento in questa decisione, ma una placida accettazione del suo status di “delusione nazionale”, uomo disonorato che lo porterà a nascondersi da tutto e tutti per riconquistare l’integrità morale che gli spetta di diritto. Cura i suoi ciliegi come fossero “i suoi avi più cari”, li rispetta e li racconta agli altri in piena sintonia con l’altissimo senso della sacralità tipico della cultura giapponese, sacralità che Faggiani sa ritrarre con cura e rispetto, con pazienza e dedizione, quasi come il “suo” Shizo. Si avvicendano personaggi, amori, cani compagni di vita e incontri cruciali pur nei tempi dilatati e lievi della sua vita ai confini della foresta. Riprende a correre con naturalezza, senza imposizioni, in età matura, per riconquistare quella parte di sé che aveva abbandonato, ma la competizione non c’è più, la corsa è una sfida con sé stesso, con i suoi pensieri, una prolungata forma di meditazione che lo vede come protagonista unico e assoluto. E quando la vita gli serve il suo riscatto, oramai sazia dell’espiazione lunga 50 anni, Shizo ne approfitta timidamente, con rispetto e compostezza.

Il guardiano della collina dei ciliegi è un romanzo delicato sul senso dell’onore, nell’accezione più giapponese del termine, la giustizia, il rispetto di sé e della natura e sul potere magico del silenzio; una perla leggera e luminosa, una lezione di “meditazione letteraria”. Niente corse muscolari, sudate e folli, ma tecnica, leggerezza e dedizione che celebrano la sacralità assoluta della maratona. E in questa occasione Faggiani ripropone quello che è un suo marchio di fabbrica: protagonisti che sono uomini miti e giusti, non perfetti, ma sinceri nei loro difetti, nei loro fallimenti ed estremamente concentrati sul migliorarsi giorno per giorno, ad ogni costo. E la redenzione finale, seppure mai completa, rimane sempre una fulgida occasione di riscatto contro il destino cinico e inclemente e le battaglie interiori che scatena.

“Ero stato io a prendermi cura degli yamazakura, o forse erano stati loro a prendersi cura di me”

si dice Shizo Kanakuri nel suo bilancio personale di una vita straordinaria, ma poco importa, e quando affronta un nuovo viaggio di ritorno totalmente inaspettato, dimostra che sì, si può essere straordinari anche nella delusione più grande, anche nell’incompiutezza e negli errori.

 

Alessia Ragno

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