La lettera di Cervev alla principessa Varvara Nikanorovna

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La principessa Varvara Nikanorovna, alla ricerca di un uomo che da solo fosse in grado di educare i figli e insegnar loro tutto ciò che devono sapere le persone istruite, riceve da Dmitrij Petrovic Zuravskij la risposta di Cervev alla sua richiesta di prendersi cura dei figli della principessa.

 

«Stimatissimo amico, ho ricevuto la vostra lettera che mi propone di provvedere all’educazione dei figli della vostra conoscente, la principessa. Ho riflettuto a lungo su questa offerta, esaminandola alla luce di varie considerazioni, e per tale motivo ho tardato a rispondervi. Nonostante ciò, ancora adesso non so quale sarà la mia risposta. Vi sono paesi nei quali l’istruzione più completa viene impartita proprio a coloro che meno ne necessitano, privandone chi invece dovrebbe disporre di una vasta sapienza da mettere al servizio del popolo dall’alto della propria posizione. Malaccortamente si presuppone che già dalla nascita costoro posseggano ogni sapere e si consegnano loro le chiavi dell’intelletto, che tuttavia essi non utilizzano per entrare nel tempio della scienza, impedendone l’accesso anche a chi lo desidererebbe. Non è appunto ciò che avviene nel nostro paese? In Russia non studiano forse meno di tutti proprio coloro i quali più ne abbisognano e non si escogitano per loro metodi di insegnamento che nulla hanno in comune con la vera scienza? Non è per caso un simile maestro quello che cerca per i suoi figli la principessa di cui mi parlate? Se così fosse, non è di me che ha bisogno, e voi potreste consigliarle qualche persona colta della capitale, ove è possibile scegliere fra molti abili precettori di tal fatta. Ma se, come voi sostenete, d’altro genere è la sua intenzione, sarà allora necessario illustrarle i fini e il metodo di un insegnamento responsabile. Checché se ne dica, è amara la radice del sapere, e in Russia non sono dolci i suoi frutti. Lo stesso dicasi per la fede. Ricordate alla vostra amica che Mosè, accingendosi a guidare il suo popolo fuori dalla schiavitù, ordinò di portar via i vasi preziosi agli egiziani; noi potremo educare l’uomo nuovo solo quando egli si sarà impossessato della saggezza degli antichi, portandola con sé attraverso l’arsura del deserto e sopportando grazie a essa la fame, la sete e l’amarezza della mirra. La mia fede procede dalla testimonianza della mia mente, e non da ciò che è scritto in caratteri onciali o semionciali. Da tutto ciò dunque, amico mio, potete arguire se io sia idoneo a educare dei principi chiamati a inseguire la gloria propria invece di quella del Padre che ci ha creato. In loro viene instillata la convinzione di essere importanti e indispensabili al governo degli altri, mentre io giudico primo dovere di ciascuno non credere a simili baggianate e non aspirare a governare gli altri, bensì se stessi col massimo discernimento. Ciò che più di ogni altra cosa è necessario insegnare ai giovani discendenti di nobili e grandi famiglie è che essi non sono affatto necessari. Quanto al mio consenso, come potrei rifiutare di educare a modo mio almeno due fanciulli in tutta la mia vita? Istruire chi per nascita non ha bisogno di apprendere come al più presto guadagnarsi il pane deve essere per il maestro una gioia e una consolazione che, lo confesso, ho augurato a me stesso nei momenti migliori della mia vita. Ricorderete quanto vi ho detto di recente sull’esoterismo e l’essoterismo nella scienza: io vedevo allora il mio esotoris come in uno specchio divinatorio. Solo in sogno osavo immaginarmi quei felici cui è concesso il dolce fardello di governare per molti anni lo spirito di giovani nel fiore dell’età destinati ad alte imprese, e guidarli alla vera comprensione della vita… ed ecco che il sogno si avvera… Quel felice sono io! Oh, amico mio carissimo! È proprio vero che potrò guardarli negli occhi? Che potrò stringere le loro mani di fanciulli tra le mie, vedere la loro giovane mente schiudersi davanti a me come si schiude un magnifico fiore prima dell’alba, e morire con la gioia di sapere che quel fiore a suo tempo darà un frutto cento volte più bello? Oh, amico mio! Siete sicuro di ciò che mi avete scritto, non sarà uno scherzo, non avrete depositato un sasso nella mano tesa di un mendicante? Un simile scherzo sarebbe troppo crudele… Pensate: il grande Keplero diceva che se avesse potuto abbracciare con lo sguardo l’universo intero senza scorgervi neppure un uomo assetato di sapere, la sua meraviglia gli sarebbe parsa del tutto sterile; e io, verme infinitamente più insignificante di lui, ho vissuto finora senza trovare a chi narrare ciò che ho potuto vedere col mio sguardo… Ma no, voi non state scherzando… non è vero? Affidatemeli, questi fanciulli, affidateli a Cervev: egli insegnerà loro con amore a comprendere ciò che è degno di esser saputo e, forse, gli rivelerà come essere felici finanche nelle avversità. Delle condizioni non me ne parlate: chi lavora deve avere il suo compenso, il bue che gira la macina il suo cibo. A me non occorre altro. Mefodij Cervev».

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