La nota di cuore degli Aubrey: Rosamund

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Aubrey

Aspettando l’uscita di Rosamund, terzo e ultimo volume della saga della famiglia Aubrey di Rebecca West, Giulia Pretta ci parla in anteprima del romanzo.

 

La saga degli Aubrey ha schierato in campo molte tematiche. La musica, ovviamente, perché non si può fare il nome di questa famiglia senza pensare al piano e alle note; l’affetto per la famiglia pur senza il rispetto delle convenzioni nei legami di parentela; il sovrannaturale, mal visto e spesso rifiutato, ma presente in maniera ingombrante nelle loro vite; il senso di solitudine sempre crescente. Anche se questi temi hanno avuto il loro spazio e sono stati trattati in maniera approfondita in momenti diversi della trilogia, hanno un elemento comune che li lega e che, pur non sembrando mai predominante, rappresenta la nota di cuore della saga: la cugina Rosamund.

Rosamund è figlia di Costance, cugina e amica di lunga data di Clare, e Jock: entra nella vita degli Aubrey nel primo volume della saga e già al primo incontro con Rose pone le basi per un affetto solido e duraturo: Rose capisce che Rosamund sarà sempre dalla sua parte e che le vorrà bene incondizionatamente così come fanno Mary e Richard Quin. Ma oltre a ciò, Rosamund porta una prova concreta del sovrannaturale che giace al di là dell’occhio dei profani: casa sua è infatti infestata da un Poltergeist.

«C’è una cosa», disse Rosamund fermandosi. «Non fanno mai del male a noi. Spaccano semplicemente le cose e le rovinano, così dobbiamo passare la vita a ripararle e lavarle». In questo modo riuscì a dire: «Non avere paura», senza dare a vedere che aveva capito che ero spaventata, come in effetti lo ero stata per pochi istanti alla scoperta che c’era un’orda di mostri spettrali tra la mamma e me.
(La famiglia Aubrey, pp. 143-144)

La situazione difficile della sua famiglia, soprattutto a causa dello scialacquatore e diabolico padre suonatore di violino, porta lei e la madre a vivere con la famiglia Aubrey e si guadagna l’immediato e incondizionato amore di Rose e Mary. Un amore che appare peculiare visto che le due sorelle sanno valutare le persone intorno a loro solo tramite la musica: chi non ha talento musicale o non capisce le note, non è degno di affetto.

Piacque pure a Mary e improvvisamente le chiese: «Dico, non è che Rose si è sbagliata? Tu suoni qualcosa, vero?»
«No», sorrise Rosamund. «Io non sono capace di fare niente»
«Sono sicura che saresti capace, sono sicura che saresti in grado di suonare qualsiasi cosa»
(La famiglia Aubrey, p. 174)

Nonostante questa mancanza, compensata dalla sua abilità con gli scacchi che le conferisce un accesso privilegiato al mondo di Piers, Rose e Mary non ci mettono molto a sostituire nel loro cuore Cordelia con Rosamund, rendendola loro sorella in tutto. La frattura che ne deriva e che porta Cordelia ad allontanarsi sempre di più esplode in un’unica frase piena di dolore in questo volume finale.

«Non vi vergognate? Non vi vergognate di averla sempre anteposta a me?»

Rosamund sviluppa poi un rapporto molto stretto con Richard Quin: appartengono alla stessa razza, quella delle persone eccezionali. Il loro è un amore che parrebbe essere destinato a qualcosa di più se la parentela troppo stretta e poi la guerra non si mettessero in mezzo a impedirlo. Loro due hanno lo stesso dono di Clare, ideale sommo delle ragazze: sanno vedere al di là, non nel mistico e malvagio modo sovrannaturale, ma sanno comprendere le persone, le motivazioni che li guidano, i loro intenti profondi. È Richard Quin che, nel romanzo Nel cuore della notte, racconta alle sorelle la storia di zio Len; è Rosamund che in questo volume si fa ambasciatrice per spiegare le ragioni che hanno spinto Nancy al fidanzamento.

«Mamma, Rosamund e Richard Quin erano i genitori per natura. Ora se ne sono andati. Non importa quanti di noi siano rimasti indietro, siamo comunque tutti come bambini abbandonati»

pronuncia Mary che, come Rose, sente di non essere eccezionale come loro e di non aver ereditato altro che il talento per la musica: questo talento è la sola cosa che le rende degne di considerazione.

Rosamund persegue un altro obiettivo con la stessa pervicacia con cui le ragazze perseguono il loro: fare l’infermiera. Un lavoro pragmatico, lontano dalle occupazioni e dal mondo degli Aubrey, ma proprio per questo fondamentale. Infatti, sarà proprio questo suo lavoro a renderla indispensabile negli ultimi momenti di vita di Clare lasciandole il compito, una volta morta la madre, di essere appoggio e puntello per la famiglia.

[…] rimasi sveglia a sufficienza per sentire Mary girarsi nel sonno e dire: «Fa’ che accada qualcosa per cui Rosamund possa vivere con noi per sempre, per favore, per favore, mamma, pensaci tu», per poi rimettersi a dormire.

Eppure, proprio perché è puntello così importante, è lei che dà il colpo di grazia nella progressiva solitudine e “disgregazione” della famiglia. Una volta perso il legame dato da Richard Quin, persa la madre, loro punto di riferimento, Rosamund compie un’azione che le sorelle non si sarebbero mai aspettate: cede all’aborrita e criticata istituzione matrimoniale. Non solo le abbandona, ma lo fa per sposare un uomo non alla sua altezza: volgare, ricco, inadeguato e che lavora in tutto il mondo per gestire i suoi affari. La porta lontano non solo fisicamente, impedendole di partecipare ad eventi importanti della vita delle Aubrey, ma la sposta anche in un altro piano mentale. Nessuno riesce a comprendere il perché di questo matrimonio visto che la stessa Rosamund pare provare imbarazzo e ribrezzo per questo marito: per non intaccare l’aura di perfezione che da sempre la accompagna, lo si attribuisce a un suo “piano superiore”, qualcosa fatto per la sua innata bontà d’animo. L’idea che il matrimonio possa essere mosso anche da interesse viene lasciata agli occhi smaliziati del lettore. Questa disgregazione, questa morte del gruppo familiare originale, però, non è solo negativa: perché qualcosa di nuovo sorga, bisogna rassegnarsi al sacrificio e alla distruzione di ciò che di vecchio intralciava. E Rosamund, anche se compare in un numero di fatto esiguo delle pagine che compongono questa immensa trilogia ora giunta a conclusione, è comburente di tutte le tematiche che hanno mosso la vita delle Aubrey. Discreta, persistente e sempre presente anche quando non in scena. E che, come nota di cuore di questa saga, merita con diritto il titolo dell’ultimo volume.

 

Giulia Pretta

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