La mitologia di Daisy Johnson

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In occasione dell’uscita di Nel profondo di Daisy Johnson, vi proponiamo una riflessione sul romanzo di Federica Privitera. 

 

Il primo libro con cui Daisy Johnson si è affacciata al mondo letterario, Fen, è una raccolta di racconti ambientata in una città paludosa dove gli esseri umani si trasformano in animali e donne/cannibali tentatrici attirano i loro amanti verso una tragica morte. Lo stile magico-realista ha permesso alla Johnson di affrontare temi come l’anoressia e la violenza domestica da angolazioni sorprendenti, dando al contempo la sensazione che l’impresa di generare brividi fosse, da sola, l’obiettivo della sua opera.

Se Fen ha lasciato la critica un po’ perplessa e in attesa di scoprire i titoli successivi, tutt’altro discorso merita Nel profondo (Everything under), una bestia letteraria molto complicata che reinventa il mito edipico per ritrarlo dal punto di vista di una ragazza nell’odierno Oxfordshire. La narratrice, Gretel, è una lessicografa che ha trascorso la sua adolescenza in affidamento dopo essere stata abbandonata dalla madre, Sarah, che l’ha cresciuta alla bell’e meglio su una casa galleggiante per poi, improvvisamente e misteriosamente, lasciare la figlia tredicenne da sola. Riunitesi dopo sedici anni, Gretel convince Sarah a raccontarle la vera storia della sua vita e le motivazioni dietro al gesto che l’ha segnata indelebilmente: l’impresa raggiunge però i limiti dell’impossibile a causa dell’incedere inesorabile della demenza senile dell’anziana, oramai solo l’ombra dell’energica donna che la figlia ricorda. Eppure il viaggio nel passato ha inizio grazie e soprattutto alla lingua segreta che mamma e figlia ricordano, un idioma inventato dai lessemi strampalati e incentrato sul terrore del Bonak – un mostro fluviale che ancora tormenta il loro sonno. Tra una scena d’avventura fluviale e un ricordo di punizioni e infelicità, Gretel interrompe spesso la conversazione con Sarah per descrivere al lettore la sua ricerca della madre, tra ospedali, obitori e centrali di polizia, negli anni trascorsi lontane. Proprio questa “caccia” l’ha spinta a rintracciare un vecchio conoscente, Marcus, che ha trascorso parte della sua giovinezza insieme a loro sulla barca, dopo aver commesso un omicidio in uno stato di incoscienza e che potrebbe essere la chiave per decodificare il racconto lacunoso del suo passato.

Nel profondo può sembrare difficile da seguire, e l’impressione è vera perché Daisy Johnson eccelle nel rendere viscerali le sensazioni psichiche dei protagonisti. Ad esempio, quando la femminilità viene colta nella sua inesorabile essenza tragica dato che «non c’è fuga… il modo in cui moriremo è codificato in noi dal momento in cui nasciamo» perché «ogni decisione che prendiamo è solo un miraggio, un fantasma per convincerci del libero arbitrio», la dimensione cupa in cui agisce il dramma dell’abbandono vissuto da Gretel non rimane relegato a sfondo narrativo, ma diventa una presa di coscienza sociale contemporanea. Inoltre, ciò che di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm o del mito greco di Sofocle (che l’autrice comunque omaggia nel testo in maniera evidente) rimane in Nel profondo, si legge più come un’allusione o un’impalcatura, qualcosa di utile al narratore: il romanzo della Johnson forma una mitologia unica che emana la verità sui personaggi e sui luoghi (sia interni – dell’anima – che esterni) che essi abitano. Sembra essere questo l’unico modo per superare la natura disordinata e complessa della lettura, essere cioè consapevoli che ogni elemento del testo non è unitario ma possiede un suo altro metaforico (o mitologico).

La Johnson sceglie una mossa stilistica rischiosa e ambiziosa, ma alla fine riuscita. I grovigli linguistici, le scene interrotte bruscamente dagli acciacchi della memoria, le evocazioni irrazionali di un mostro che non può esistere veramente fanno enormi giri nel tempo e nello spazio e incidono, con il loro movimento, segni nella coscienza del lettore. Poi, improvvisamente, tornano lì da dove la storia aveva preso il suo avvio, ma noi oramai siamo diversi, cambiati per sempre dal viaggio che abbiamo compiuto.

 

Federica Privitera

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