Il rabdomante (estratto di «A passeggio con John Keats» di Julio Cortázar)

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In occasione del centenario della nascita di Julio Cortázar pubblichiamo, in anteprima per il nostro blog, un estratto da A passeggio con John Keats, fino ad oggi inedito in Italia: un’opera fondamentale su Keats ma anche un libro-rivelazione su Cortázar. Il volume sarà disponibile in libreria dal 28 agosto. Il titolo del brano riportato è Il rabdomante.

 

Psiche significa anima, ma anche falena. John Keats lo aveva ben presente quando scrisse l’ode che precede o segue imme­diatamente Su un’urna greca, così come l’ode dedicata alla malinconia (forse dello stesso periodo). Se l’urna è la celebrazione della bellezza immortale incarnata nell’arte greca, l’Ode a Psiche è la nostalgia del grande dio Pan morto, della «svanita gerarchia dell’Olimpo»; uno sforzo poetico per incendiare di nuovo il cielo apollineo,

quando sacri erano i rami stregati della foresta,
santi l’aria, l’acqua e il fuoco.
(vv. 38-39)

Con incantevole ingenuità – che non è, tuttavia, candida, ma nasce dalla più estrema purezza –, John scopre una dea cui rendere omaggio, cui destinare un culto. Al momento di copiare il poema per George e Georgina, fornisce loro delle delucidazioni: «Dovete ricordarvi che Psiche non è stata investita dell’attributo di dea se non dopo Apuleio il platonico che visse alla fine dell’età augustea, di conseguenza la dea non è mai stata venerata con il fervore degli antichi… io sono più ortodosso e non ho voluto che una dea pagana fosse così maltrattata…» (14, 2, 3 aprile 1819). Dietro questo delicato prologo si nasconde una risonanza malinconica, perché questa Psiche che John si appresta a divinizzare nell’ode, con tutto il preziosismo aggraziato dei migliori momenti di Endimione, è anche la «Psiche messa a lutto» che si affaccerà nell’Ode alla malinconia; l’amante che si china curiosa su Eros addormentato, nell’immagine di Apuleio, e che soffrirà per il suo sacrilegio; ed è la Psiche che ancora risuona in Edgar Poe, con «la lampada di agata nella mano» (A Elena) e la cupa invocazione di Ulalume:

E là tra i cipressi di un viale titanico
erravo coll’anima mia,
con Psiche, coll’anima mia.

Dorme molto e si agita dietro la candida immagine evocata e invocata nel poema di Keats. Anche lì è presente Fanny Brawne? Come dimenticare l’immagine della falena; nell’Ode alla malinconia la farfalla notturna si trasformerà nella death-moth, la ‘falena della morte’. «Fa’ sì che non siano la tua Psiche messa a lutto […] le funebri falene», dirà John. Ma adesso pensa solo alla giovane dea e il canto è per lei.
Riassumo il tema: «Ai miei soli occhi credendo», Keats vede Psiche ed Eros abbracciati in uno scenario che ci riporta a Endimione. Lei è l’«ultima nata visione, più dolce […] di tutta la sva­nita gerarchia dell’Olimpo», ma anche la povera dea che non ha né templi né altari ricolmi di fiori, né voci, né flauti, né incenso; la dea a cui manca «l’ardore di profeta sognante dalla pallida bocca». Allora, sebbene già lontano dai tempi impetuosi, il poeta si erge:

Io vedo e canto, dai miei propri occhi ispirato,
e così lascia che sia io il tuo coro e che io mi lamenti
quando s’avvicina mezzanotte.
(vv. 43-45)

Ma il culto sarà – come l’azione ultima in Mallarmé – esclusi­vamente spirituale, una costruzione della mente, un rituale della meditazione:

Sì, sarò io il tuo sacerdote, e costruirò un tempio
in qualche incalpestata regione della mia mente,
dove i rami dei miei pensieri, sbocciati con piacevole dolore,
al posto dei pini mormoreranno al vento…
(vv. 50-53)

Quanti versi annunciatori c’erano già in questa vegetale architettura del pensiero! E che eco di pura analogia vi è nell’Aurora di Valéry:

Dalle sabbie
uscito appena, mirabili passi
muovo nei passi della mia ragione.

In questo santuario
(l’idea del santuario, del piccolo tempio, del rifugio sacro, aleggia nella poesia di Keats)
Psiche otterrà la luce che il suo culto esige, e tale luce le sarà data dall’oscuro, ombroso pensiero:

E lì ci sarà per te tutto il tenero piacere
che l’oscuro pensiero può ottenere,
una torcia splendente, una finestra aperta di notte
affinché entri il caldo Amore!
(vv. 64-67)

Chi entrerà, l’amore o la falena? La torcia è l’immagine del desiderio di Psiche, l’anima farfalla? Presto un’altra ode ci parlerà del lato notturno, contrapposto a questa poesia diurna; una poesia piena delle vecchie e care forme che Keats, ancora una volta, aveva avvicinato alla sua voce nel torpore del sonno, prima di dir loro addio per l’ultima volta.

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