Un’estate fa (estratto)

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In occasione dell’uscita del romanzo Un’estate fa, pubblichiamo un estratto dal romanzo di Stefano Tummolini, scrittore e regista, oltre che traduttore di capolavori come Stoner e House of Cards, che in quest’ultimo lavoro riesce a mescolare gelosie, intrighi, giochi di potere, intrecciandoli in un mistero capace di rivelare il lato oscuro dei personaggi nelle languide giornate di agosto. Il libro è il sequel del film L’estate sta finendo, dalla regia dello stesso Tummolini, a luglio nelle sale.

Testimonianza di Domenico Costa

Mio cugino mi aveva chiamato la settimana scorsa, perché doveva venire a Roma per un concorso. Era una vita che non lo sentivo, a parte gli auguri di Natale e qualche like su Facebook. All’inizio eravamo d’accordo che avrebbe dormito in camera di mio fratello – che adesso sta a New York –, ma poi visto che il tempo era bello ho organizzato questa gita al mare.
Giovedì gli ho mandato un messaggio per chiedergli se era d’accordo e lui ha risposto di sì. Anzi gli faceva molto piacere, perché erano più di dieci anni che non tornava a Sabaudia. Solo che stavolta dovevamo andarci di nascosto, perché l’estate scorsa a una festa i miei amici avevano fatto un po’ di casino e mia madre si era incazzata. Per questo ho detto a Guido di non dirlo a nessuno, neanche a mio zio Gianpietro.
Ci siamo dati appuntamento venerdì mattina all’Eur, davanti all’obelisco di piazzale Nervi. Io ero insieme a Fabrizio Cestari, a Giulia e Flavia Di Franco, due nostre amiche, e a Katia De Angelis, una ragazza con cui Fabrizio ha avuto una storia. Giulia a sua volta aveva invitato Manuel, un ballerino che ha vinto un talent show – che però è venuto direttamente al mare. E poi un tizio di Torino, Davide. Un deficiente che spero di non rivedere mai più.
Mio cugino è arrivato per ultimo e, appena mi ha visto, mi è corso incontro e mi ha abbracciato. Poi mi ha consegnato un pacchetto, che io non ho… che ho aperto solo al mio rientro a Roma. Dentro c’era il mio diario, quello che scrivevo da piccolo. In realtà lo usavo soprattutto per disegnare, perché scrivere non è mai stato il mio forte. Preferivo farci scrivere Guido, che invece era più bravo di me. Lui si inventava delle storie e mi dava le idee per i disegni, tipo un’invasione aliena o cose del genere. Così, alla fine, era diventato il diario di tutti e due.
Credevo di averlo perso, invece era rimasto a casa dei nonni, dentro a una cassapanca.
È stato molto… impressionante… rileggerlo. Mi sono ritornate in mente tante cose legate a Sabaudia. Quando eravamo piccoli, io e mio cugino ci andavamo tutti gli anni, partivamo appena finiva la scuola e ci restavamo fino a settembre. E lì il tempo si fermava – e sembrava che l’estate non finisse mai. La mattina andavamo in spiaggia con nonna Bruna e verso mezzogiorno tornavamo a casa. Mangiavamo – tutte cose buonissime – e facevamo il riposino fino alle tre e mezza. Dopo di che andavamo a giocare. Se scendevamo agli scogli, giocavamo a principi e pirati. Altrimenti ci sdraiavamo sotto al gelso. Mi è sempre piaciuto spiare il sole in mezzo alle foglie. Se prendi un punto di riferimento preciso – come un rametto, o un grappolo di more – puoi percepire lo spostamento della terra. Se invece osservi le ombre, scopri che formano mille figure strane…
Il massimo, però, era se vedevamo un bruco che faceva il bozzolo. Non c’è niente di più incredibile dei bachi da seta. Sembrano i vermi della sabbia di Dune, con la testa piccolissima e il corpo gigantesco. E quando iniziano a fare il bozzolo, vedi questa bava sottilissima che si solidifica a contatto con l’aria e il baco che piano piano ci sparisce dentro…
È uno spettacolo incredibile, meglio di un viaggio psichedelico. Mettere i bachi da seta sul gelso è stato il vero colpo di genio di zio Gianpietro.
Venerdì mattina siamo arrivati verso le undici.
Era una bellissima giornata, la bouganville al lato del cancello era ancora in fiore. Quando ho cercato di aprire il cancello, però, la chiave non girava. Guido allora ha scavalcato per aprire da dentro, come facevamo da bambini. Solo che, imbranato com’è, è caduto e si è sbucciato un ginocchio.
Per fortuna la ferita non era grave. Una volta dentro, Katia gliel’ha disinfettata. Poi abbiamo posato le sacche e siamo andati in spiaggia.
Ah, no.
Prima abbiamo visto Vittorio, il giardiniere della villa. Gli ho detto che la mia chiave non funzionava e me ne ha fatta avere una copia. Era stato lui a cambiare la serratura, perché l’avevano forzata i ladri.
Sono venuti l’inverno scorso, ma non sono riusciti a entrare.
Verso mezzogiorno siamo andati in spiaggia, allo stabilimento dove vanno i miei. E lì mi sono messo a chiacchierare con Flavia.
Che è l’unico, vero motivo per cui avevo organizzato questa maledetta gita a Sabaudia.
C’eravamo visti solo due volte, ai tempi in cui sua sorella e Fabrizio avevano una storia – ma ero rimasto folgorato. Certe volte, di notte, pensavo a tutte le cose che avrei voluto fare con lei. Portarla in giro in motorino e sentire che mi si stringeva addosso. Uscire in quattro con Giulia e Fabrizio. Fare l’amore e poi dormire abbracciati.
A un primo sguardo ti colpisce meno di Giulia – ma se la guardi bene è più bella. E a parte l’attrazione fisica – perché è davvero bellissima, con gli occhi verdi e i capelli color miele – ha qualcosa di veramente speciale. Anche se è più piccola di sua sorella, è molto più matura. È intelligente, sensibile e ti ascolta. O almeno, ti fa credere che sia così.
Ci sono stati dei momenti, mentre eravamo a Sabaudia, in cui ho pensato che fosse la ragazza ideale.
Il problema è che Flavia è bugiarda. All’inizio sembra carina e gentile, ma appena cominci ad aprirti, e a mostrargli le tue debolezze, si tira indietro. Perché, anche se non lo ammetterebbe mai, non le interessano i ragazzi timidi, persino un po’ imbranati, come me. Lei vuole solo il meglio. Lo strafigo, l’uomo che non deve chiedere mai. Quello che, qualsiasi cosa succeda, sembra sempre che abbia tutto sotto controllo.
Come Fabrizio.
Fabrizio lo conosco da molto tempo, siamo compagni di università. Per cinque anni è stato il mio migliore amico, ora non lo è più. Ero convinto che avessimo molte cose in comune, ma poi ho capito che è solo un grande egoista. E che dietro alla sua eterna voglia di cazzeggiare, c’è il nulla.
Dopo pranzo siamo usciti in barca. Cioè, col gommone di mio padre. Appena siamo arrivati al largo, però, Guido ha cominciato a dire che aveva la nausea e che voleva tornare indietro. All’inizio ho pensato che facesse la scena, perché già in spiaggia mi aveva chiesto di tornare a casa. Non capivo se diceva sul serio o se voleva attirare la mia attenzione.
La verità è che non riusciva a inserirsi, perché io e gli altri eravamo molto in confidenza e lui non c’entrava niente con noi. Cioè, con me sì… ma non in quella situazione. Forse si aspettava di sentirmi più complice, come quand’eravamo ragazzini. Ma parliamo di quindici anni fa!
Questo mi faceva incazzare di lui. Non si rendeva… non si rende conto che le cose sono cambiate. Che la vita nel frattempo va avanti e niente può essere più come prima.
Così, quando mi ha chiesto di tornare indietro, gli ho risposto di no – perché volevo restare al mare con gli altri. Lui però ha continuato a lamentarsi e a un certo punto ha anche dato di stomaco.
Quindi alla fine siamo rientrati.
Appena arrivati a casa, l’ho fatto mettere a letto. Katia, che ha studiato farmacia, ha detto che forse aveva un principio di insolazione e ci ha consigliato di dargli la tachipirina. Si è data molto da fare per Guido. Gli ha misurato la temperatura, gli ha preparato il tè… Un po’ perché mio cugino le stava simpatico, un po’ perché voleva farsi accettare. Fabrizio la trattava da stupida, e lei si sentiva a disagio.
Ecco un altro aspetto che non sopporto più di Fabrizio. Che usa le persone. E anche con Guido, a volte, ha proprio esagerato. Se mio cugino non è riuscito a inserirsi, è anche per colpa sua. Perché lui stava sempre a sfotterlo e a fargli le sue battutine.
Comunque, verso sera, Guido stava un po’ meglio e ha cenato con noi. La febbre gli era passata, ma come al solito se ne stava in disparte.
Anche perché l’atmosfera era abbastanza squallida. Davide ha voluto cantare la sua canzone per forza e Giulia l’ha mandato a quel paese. Fabrizio continuava a trattare male Katia, Manuel era preso dal suo trip egocentrico e Flavia non si capiva che cazzo volesse fare.
Insomma tutta una serie di dinamiche, che probabilmente Guido ha intuito. Perché anche se è un po’ fuori dal mondo, le persone le sa inquadrare molto bene.
Dopo cena è andato a letto presto, e il giorno dopo ha detto che tornava a Roma a studiare.
Io a quel punto non ho insistito, perché stava bene e non c’era più motivo di preoccuparsi. E sinceramente mi ero già sacrificato abbastanza. Nel senso che, con lui nel gruppo, non mi potevo rilassare come avrei voluto.
Così l’ho accompagnato alla stazione dei pullman e lì ci siamo salutati.
Sabato non l’ho sentito per tutto il giorno.
Sono rimasto alla villa con gli altri, e la sera sono venuti a cena degli amici di Manuel. Altra serata allucinante.
Domenica mattina ci siamo svegliati col brutto tempo. Avevamo già deciso di ripartire quando mi ha chiamato mio padre, per dirmi che zio Gianpietro non riusciva a mettersi in contatto con Guido. A quel punto mi sembrava assurdo continuare a mentire. Sapevo che si sarebbe incavolato, ma gli ho spiegato la situazione.
Poi, mentre preparavo la sacca, ho trovato il telefonino di Guido.
Era sul comodino in camera da letto, spento.
Non so cosa può essere successo.
Non so nemmeno se mio cugino ha preso il pull­man, perché quando ce ne siamo andati doveva ancora fare il biglietto.
Comunque mi sembrava tranquillo.
Era solo nervoso per il colloquio, nient’altro.

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