Vi proponiamo un’ampia e interessante panoramica dei racconti di Angela Carter contenuti nel volume Nell’antro dell’alchimista, firmata da Alessia Ragno.
L’8 marzo 1992, poco dopo la morte di Angela Carter, Salman Rushdie scrive sul New York Times un ricordo commosso dell’autrice, sua amica di lunga data. La malattia, improvvisa e ingiusta, la coglie di sorpresa e Rushdie scavalca la sua retorica della lotta salvifica contro la diagnosi, che pure auspicava qualche riga prima, e scrive:
Alla fine perse. Ma vinse, anche, perché nel suo furioso ridere, nella sua infuocata satira sulla propria morte, nel suo sgonfiare ciò che Henry James aveva pomposamente definito la «cosa distinta», ridimensionò la morte: nessuna cosa distinta, piuttosto un piccolo, sporco clown assassino.
Angela Carter lascia il suo dialogo con la letteratura nel pieno della ascesa perdendo contro il “clown assassino” che pure irride con fare canzonatorio. La sua vittoria, però, è racchiusa in una produzione letteraria che, di fatto, la posiziona tra i grandi della letteratura inglese. Uno “spirito letterario” indipendente, come sottolinea ancora l’amico Rushdie nell’introduzione della raccolta di racconti Nell’antro dell’alchimista. In questa eccezionale analisi che Rushdie fa dell’opera della scrittrice, sono elencati i “motivi carteriani” per eccellenza: tutto e il suo contrario compaiono in fila, virgola dopo virgola. Carter è squisitamente gotica, amante del linguaggio aulico e forbito che tanto bene conosce, ma anche delle “battute triviali”, nelle parole di Rushdie, e di personaggi volutamente gretti, ma per questo estremamente vitali. In ‘Una signora molto per bene e suo figlio in casa’, racconto della prima fase compositiva di Carter, una donna “splendente di bellezza” racconta la sua crescita, il rapporto viscerale con i libri, elargendo perle di saggezza al figlio che la accudisce. Per lei le grandi verità del mondo passano attraverso l’intestino.
“L’INTESTINO È LA GRANDE LIVELLA”.
«Era una donna rude, mia madre. Si puliva continuamente i denti con la forchetta e di sera si sfilava le pantofole di feltro e si toglieva la pelle indurita e squamata fra le dita dei piedi con un gesto sensuale e inquisitore. Ma possedeva una grande saggezza – la saggezza brutale, ma vitale, della contadina».
Ma già col racconto successivo, ‘Favola Vittoriana’, la doppia anima di Carter si fa sentire e il linguaggio si espande. Solo il Glossario che lo segue può aiutare la comprensione e la traduzione.
Il registro si ispessisce e eleva ancora di più con ‘Fuochi d’artificio: Nove pezzi profani’ del 1974, in cui Carter riversa la sua percezione del Giappone, terra che vive in prima persona dal 1969 al 1971. La fascinazione per il mondo orientale passa anche per le perplessità sulla cultura giapponese, lei che proprio in quegli anni comincia a manifestare più insistentemente i semi di quel piglio dichiaratamente femminista che troverà massima espressione nel ciclo di racconti de ‘La camera di sangue’. In ‘Nothing Sacred, Selected Writings’ del 1969 Carter dice:
In Giappone ho imparato cosa vuol dire essere una donna e radicalizzarsi.
In ‘Fuochi d’artificio’ Carter descrive sognante paesaggi tenui e regolari, feste di quartiere “ordinate”, attraversa, alta e facilmente riconoscibile, quartieri commoventemente ricchi di vecchiette impegnate nei lavori quotidiani con religiosa pacatezza.
Il Giappone è il paese degli uomini. […] «In una società dominata dagli uomini, le donne sono apprezzate solo in quanto oggetto delle passioni degli uomini».
E la protagonista di ‘Souvenir del Giappone’, riflesso della stessa autrice, in questo scenario completamente diverso dall’Occidente che l’ha cresciuta, si sente esotica e in qualche modo rigettata:
Le guance rosa, gli occhi azzurri e i capelli sfacciatamente biondi facevano di me, nell’orchestrazione visiva di questa città dove tutte le teste erano scure, gli occhi marroni e la pelle monocroma, uno strumento che suonava in una scala aliena. Nella sobria armonia di pizzicati e di flauti malinconici, ero uno squillo di tromba.
La scrittura aulica e corposa trionfa nel racconto successivo, ‘Il sorriso dell’inverno’, ma il dettaglio importante è che comincia a fare capolino quello strano mix di magia e realismo che percorrerà tutta la scrittura di Angela Carter, nonché la componente gotica squisitamente sovrana nel racconto crudele ‘La bella figlia del boia’. Il male che permea ‘Gli amori di Lady Porpora’, poi, è di fatto una anticipazione del capolavoro di Carter, ‘La camera di sangue’, raccolta e omonimo racconto del 1979. L’obiettivo è quello di andare a fondo delle verità delle favole classiche di Perrault, che traduce a suo modo nel 1977, e capovolgerne la trama dando alle donne protagoniste un potere inedito e assoluto. Nella raccolta, ultima parte di ‘Nell’antro dell’alchimista’, le donne non sono vittime e basta, ma in qualche modo si salvano da sole o con l’aiuto di madri furenti, diventano torbide e vendicative, e controllano, finalmente, la loro narrativa. La componente sovversiva di queste fiabe nello stile di Angela Carter fa capolino, si diceva, già in ‘Gli amori di Lady Porpora’, favola di una marionetta,
una dea mostruosa, al tempo stesso assurda e magnifica, che trascendeva la nozione di dipendenza dalle mani del burattinaio e appariva completamente reale e interamente altra.
Lady Porpora è proprietà di un anziano burattinaio asiatico, un outsider che gira per luna park della vecchia Europa parlando una lingua sconosciuta e ostica. Il burattinaio è morbosamente attaccato alla sua marionetta, un tema che già Carter aveva affrontato nel grottesco primo racconto di ‘Nell’antro dell’alchimista’, ‘L’uomo che amava un contrabbasso’; entrambe i protagonisti identificano il femminile con l’oggetto e ne subiscono una magica fascinazione. Lady Porpora, però, è una “famosa prostituta” trasformata in marionetta, con un ghigno inquietante di madreperla e un passato a irretire uomini pure essendo completamente “frigida”. Si insinua presto il dubbio: Lady Porpora è oggetto o padrona? Un dualismo che vale quando narra il suo passato rapace, ma soprattutto vale nel rapporto col vecchio burattinaio, di lei indubbiamente schiavo. Il rapporto simbiotico si conclude con una Lady Porpora che torna in vita ad un prezzo altissimo, ma mai libera perché vincolata al suo essere una demoniaca prostituta dall’aspetto esangue. Nel rapporto burattinaio – Lady Porpora i critici leggono una analogia di quello tra scrittore e suoi personaggi, ma il tema più forte lo individua Greg Buzwell, che scrive di questo racconto e di ‘La camera di sangue’ dicendo:
Qualsiasi donna che rimanga passiva sotto lo sguardo maschile si trova inevitabilmente in pericolo.
Lady Porpora per prima, e le giovani donne in pericolo de ‘La camera di sangue’ poi, sono testimoni di questa verità, ma Carter dà loro il potere di liberarsene, anche a costo di perdere la propria umanità. Lady Porpora, in particolare, insegue il suo destino, consapevole e dannata, senza particolari rimorsi, se non un cruciale dubbio esistenziale in cui realizza che:
non poteva sfuggire al paradosso tautologico nel quale era intrappolata.
Si incammina, così, verso l’unico bordello vicino per riprendere la sua danza maligna dell’amore.
Quando Angela Carter si dedicherà alla traduzione delle fiabe di Perrault, gettando i semi di quello che diventerà poi ‘La camera di sangue’, prosegue idealmente il percorso di Lady Porpora e regala alle sue protagoniste il racconto in prima persona. Le libera in un gioco paradossale di prigionie, sevizie e sensualità oscura. La morale di Barbablù diventa giustizia e fierezza. Come suggeriscono gli approfondimenti della British Library quelle della scrittrice inglese sono “nuove favole fieramente sovversive”.
Proprio nelle sale della British Library, del resto, troneggiano i manoscritti di Angela Carter, fulgida testimone della Letteratura inglese del Novecento: gli appunti per Figlie Sagge e quelli, più nascosti, de ‘La camera di sangue’, il manoscritto di Notti al circo. I manoscritti sono la giusta celebrazione di colei che ha saputo dare nuova forma al genere gotico, alla favola, al surreale, alla violenza e al femminismo. Una magia letteraria, quella di Carter, che non smette di stupire e anticipare i tempi.
Alessia Ragno