Tradurre «Ora che eravamo libere» di Henriette Roosenburg

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Roosenburg

In occasione dell’uscita di Ora che eravamo libere, la traduttrice Arianna Pelagalli racconta la sua esperienza con la traduzione del romanzo di Henriette Roosenburg.

 

La Storia, specie quella meno recente, e in particolare quella di guerra, spesso ci arriva filtrata da uno sguardo maschile, quello degli uomini che vi hanno preso parte e hanno deciso di raccontare la propria esperienza a beneficio dei posteri o al fine di elaborare una pagina particolarmente buia e dolorosa della loro esistenza. Henriette Roosenburg, invece, ci offre un punto di vista molto “femminile”, se così si può dire, sulla vita all’interno di un campo di prigionia tedesco, sulla liberazione e sul lungo ed estenuante viaggio di ritorno verso l’Olanda, sua madrepatria. L’ottica “femminile” della narrazione sta nella capacità di Roosenburg di lasciar trapelare i timori intrinsecamente “di genere” che inevitabilmente, per una donna, si aggiungono a quelli condivisi da tutti gli ex detenuti politici alla fine della Seconda guerra mondiale. La gioia per la libertà appena ritrovata non può, per una donna, non essere accompagnata dalla consapevolezza che anche gli eserciti vittoriosi possono nascondere dei pericoli, come quello delle violenze e degli stupri. Henriette sa che il rischio di subire delle violenze è molto concreto, e infatti ne parla subito, appena i militari russi entrano nel carcere per aprire le celle e fare uscire le detenute: “Altri russi gironzolavano con dei sorrisetti eccitati stampati in faccia, sicuri di poter presto soddisfare le proprie voglie. Quella prima notte non ci furono stupri, o perlomeno io non assistei a nessuna aggressione né udii richieste di aiuto. I soldati sembravano trovare tutte le partner disponibili di cui avessero bisogno, soprattutto tra le pasciute detenute tedesche”. Tuttavia Roosenburg possiede l’apprezzabile qualità di non cadere mai nel vittimismo o nell’autocompatimento. La narrazione dei fatti è estremamente lucida, in alcuni punti quasi giornalistica, e permeata da una “leggerezza” di tono che non si trova spesso nei testi che affrontano temi come il nazismo, la reclusione nei campi di concentramento e le razzie perpetrate dagli eserciti vincitori alla fine del conflitto. Le sue parole sono permeate di positività. Leggendo Ora che eravamo libere si avverte tutta la gioia dell’autrice, che sa bene di averla scampata bella.

Il memoir si concentra soprattutto sul viaggio e sulle peripezie che Zip (il soprannome di Roosenburg) e i suoi compagni d’avventura devono affrontare per tornare in Olanda. Insieme a lei ci sono altri tre ex prigionieri nederlandesi, due ragazze e un ragazzo. La quota azzurra rappresentata da Dries, però, non inficia la “femminilità” del punto di vista a cui si accennava prima. Dries si unisce al gruppo, vi si fonde, e benché nutra il desiderio di proteggere le tre amiche – «Come fareste a cavarvela in mezzo a tutti questi russi, senza un uomo?» domanda infatti a un certo punto e, se la sua cavalleria non la commovesse, Zip avrebbe quasi voglia di prenderlo in giro: Quel tizio allampanato con i muscoli rinsecchiti da un anno di reclusione, i vestiti che gli cadevano addosso e la faccia scavata dalla fame, quel tizio si era messo in testa di farci da difensore! – in realtà sono le donne a prendersi cura di lui, contagiandolo con la loro forza d’animo e il loro ottimismo. Ho avuto spesso la tentazione, mentre traducevo, di usare il femminile inclusivo, anziché il maschile, perché è Dries a essere accolto, anzi, “incluso”, in quel gruppo di donne forti, che nemmeno la prigionia nazista è riuscita a scalfire.

La lingua di Roosenburg, come si diceva, è lucida, essenziale e accurata, estremamente moderna, direi, eppure ogni tanto, proprio quando affronta il tema della libertà, si scorgono degli sprazzi di lirismo che ben esprimono lo stato d’animo della narratrice: “E fu allora che ci sentimmo travolgere da un poderoso senso di libertà. Waldheim era una cittadina di piccole dimensioni al centro di una vallata; finché eravamo rimasti rinchiusi lì, con la prigione che incombeva minacciosa nelle nostre menti, eravamo stati liberi solo a metà. Adesso invece, al cospetto della vastità di quel panorama luminoso e quieto, l’immensità della libertà ci investì come un’onda sulla spiaggia, inghiottendoci, togliendoci il respiro, facendoci barcollare sulle gambe stanche”.

Ora che eravamo libere è una storia di coraggio e lealtà, di amicizia e ingegnosità alla quale il tempo non ha sottratto la potenza narrativa e che merita di essere riscoperta anche a distanza di più di sessant’anni dalla sua pubblicazione.

 

Arianna Pelagalli

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