Tradurre «Sotto la pioggia» di Pitchaya Sudbanthad

•   Il blog di Fazi Editore - Parola ai traduttori
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Sotto la pioggia

In occasione dell’uscita di Sotto la pioggia, Silvia Castoldi racconta la sua esperienza con la traduzione del romanzo di Pitchaya Sudbanthad.

 

Quello che sorprende di più in questo romanzo è l’ampiezza del respiro, la pluralità delle voci, che si fondono armoniosamente in un coro capace di abbracciare i secoli, il passato, il presente e il futuro. È come se la città di Bangkok, che non è solo un’ambientazione o uno sfondo ma un personaggio a tutti gli effetti, forse addirittura la vera protagonista dell’opera, prendesse vita davanti ai nostri occhi e alla nostra mente, e anche nelle nostre orecchie, in un continuo alternarsi di registri grazie al quale l’autore riesce a calarsi e a calarci nei panni dei personaggi più diversi, in una molteplicità di sguardi in cui trova posto perfino il mondo animale.

Dal periodare ottocentesco di un medico missionario nella Bangkok dei primi anni del diciannovesimo secolo, all’eloquio scanzonato di un jazzista statunitense trapiantato nella Bangkok degli anni settanta del secolo scorso; dalle note dolenti di una donna che porta dentro di sé il lutto di un passato di violenza e repressione che tutti gli altri chiedono solo di dimenticare, alla prosa straniante, sottilmente aliena, di un gruppo di adolescenti, quasi trasformate in creature anfibie, che si aggirano per le nuove vie d’acqua di una città inondata: i volti innumerevoli di Bangkok si aprono davanti a noi come le stecche di un ventaglio, in un viaggio avanti e indietro nel tempo e nella memoria in cui finiamo per scoprire che perfino i luoghi che definiremmo inanimati, perfino le intelligenze disincarnate sono capaci di ricordare.

Ho scritto di recente che ogni romanzo crea un proprio mondo narrativo e linguistico, ma questo ne crea molteplici; mondi che a volte scorrono in parallelo senza toccarsi, a volte si sfiorano soltanto, e a volte si incrociano, si intersecano e si sovrappongono; tanti mondi compresenti in un singolo istante come se ogni istante racchiudesse in sé tutti gli altri, e bastasse solo una lieve torsione – forse frutto di un atto di volontà – dello spazio-tempo per ritrovarsi, con un movimento fluido e senza soluzione di continuità, in un mondo diverso. È quello che immagina Nee, la nuotatrice dell’ultimo capitolo: “forse le sue dita la fermeranno contro uno scoglio di cui non ha mai sospettato l’esistenza: una grossa sporgenza grigia che si leva dall’acqua come una luna sorgente. Quando succederà, lei capirà di aver raggiunto le coste di una Bangkok diversa da quella che ha conosciuto”.

Per me affrontare questa continua fluttuazione stilistica e linguistica ha significato approcciare ogni nuovo capitolo come se fosse l’incipit di un nuovo romanzo, saggiare la musicalità delle parole e delle frasi, leggere e rileggere mentalmente e ad alta voce sia l’originale sia la mia versione, fino a trovare il passo, il ritmo giusto.

La sfida era quella di riuscire a riprodurre tutti questi mondi, e il loro impasto, nella mia traduzione, di scivolare da un universo linguistico parallelo all’altro con la stessa fluidità e (solo apparente) facilità con cui Nee attraversa a nuoto l’oceano delle infinite possibilità, con i suoi leviatani carichi di incognite; perché è solo nell’apparente miracolo con cui si valica lo scarto di senso che il lettore può, come Nee, non sentirsi perso, ma sentirsi a casa.

 

Silvia Castoldi

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