«Chiodi», una favola oscura

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Chiodi

– Fino a che punto una storia può segnare la tua intera esistenza?

– Fino a che punto credi di poterti spingere pur di far parte di un gruppo che sembra volerti solo deridere?

– Fino a che punto puoi fingere che i sentimenti che provi siano sani?

Chiodi è nato provando a rispondere a queste domande. Credo. Dico “credo” perché la storia è emersa lentamente nel corso di diversi anni e si è strutturata su suggestioni che in questo tempo si sono incontrate, mescolate, unite.

– Fino a che punto una storia può segnare la tua intera esistenza?

Il romanzo si apre con una leggenda, la leggenda dell’Avvinto, che ha attecchito così profondamente in paese da aver influenzato l’infanzia dei ragazzi che lì sono nati e cresciuti. È una leggenda che ho scritto ispirandomi alle tante che ho letto nel corso della mia adolescenza e che hanno origini lontane, spesso molto, sia nel tempo che nello spazio. La verità è che le storie che radicano nella mente di chi le legge o le ascolta hanno sempre esercitato un profondo richiamo su di me. In Chiodi, per esempio, oltre la leggenda dell’Avvinto, ha un ruolo fondamentale anche Pinocchio – e grazie, direte, è in copertina! –, ma aleggiano anche altri romanzi, come L’isola del tesoro o Il libro della giungla. Ah, il libro si apre con alcuni versi di Roberto Vecchioni e della sua canzone Robinson. Non una coincidenza.

– Fino a che punto credi di poterti spingere pur di far parte di un gruppo che sembra volerti solo deridere?

È nel rispondere a questa domanda che è affiorato il tema del bullismo, legato a quella necessità di sentirsi accettati dai compagni che da bambini sembra irrinunciabile. A quell’età Marco Torre, il protagonista di Chiodi, è convinto che il mondo intero sia quello che ha intorno più spesso, quindi la madre, quindi i compagni di classe. È giovane per sapere che con il tempo sarà più facile scegliere le persone da avere accanto, che non c’è niente di buono nel provare a entrare in un gruppo di cui non si vuole far parte.

– Fino a che punto puoi fingere che i sentimenti che provi siano sani?

Su questa domanda non scrivo nulla, seppure sia quella che più di tutte ha guidato l’intera storia di Chiodi, del bambino incompreso, del custode del cimitero dal passato sporco di sangue.

Chiodi è un mio tentativo di studiare, attraverso quella che è una sorta di favola oscura, le tonalità più cupe di quegli anni in cui tutto sembra più grande di quanto è realmente. Sono cupe le scene nel cimitero, dove è quasi sempre notte, ma sono cupe anche le scene in classe, dove il nero non ha niente a che fare con il buio.

La luce c’è, è quella nascosta nelle piccole crepe che prima o poi si apriranno permettendole di brillare ma, come scrivo anche in Chiodi, a volte «prima che capiti qualcosa di bello, tutto deve cadere a pezzi».

 

Antonio Schiena

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