Di abissi e di altitudini: «Vertigine» di Franck Thilliez

•   Il blog di Fazi Editore - Parola ai traduttori
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Daniela De Lorenzo racconta le insidie e le sfide che ha affrontato durante la traduzione di Vertigine di Franck Thilliez.

 

Quando, diversi mesi fa, mi è stato proposto di tradurre un romanzo di Franck Thilliez, la mia risposta è stata immediatamente, entusiasticamente: sì. Thilliez, figura di riferimento nella scena thriller, non ha infatti bisogno di presentazioni. Sapevo già che mi sarei ritrovata tra le mani una storia coinvolgente, contorta, machiavellica, di quelle che solo la mente di un autentico maestro di illusioni come lui può partorire.

E Vertigine soddisfa appieno le aspettative. Si tratta di un romanzo stand alone con un’impalcatura diversa rispetto ad altri suoi romanzi che conoscevo solo in veste di lettrice. Ad esempio, i personaggi sono pochi, come pochi sono gli elementi su cui concentrarsi. Inoltre, sebbene il romanzo si intitoli Vertigine – il paradosso è anche la cifra di quest’autore – la storia è ambientata nel sottosuolo. Jonathan Touvier è un ex alpinista che ha scalato le vette più alte del mondo e un bel giorno – si fa per dire – si risveglia in fondo a un abisso. Insieme a lui ci sono Michel, Farid, il cane Pok e pochi oggetti di dubbia utilità. Alcune frasi scritte sui loro indumenti insinuano che tra di loro ci siano un ladro, un bugiardo e un omicida. Ma, oltre a scoprire chi è chi, il grande punto di domanda di tutta la storia è: perché sono lì? Non c’è molto tempo per rispondere all’interrogativo, dovendo far fronte a una lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile, senza cibo, senza luce, senza calore. Un luogo primordiale in cui i personaggi, tra sospetti, paure, speranze, provano a sbrogliare la matassa raccontandosi le proprie vite, per capire se esiste un punto di contatto tra loro. Si iniziano così a profilare alcune verità, mentre gli istinti primari si fanno sentire sempre più prepotentemente.

Per tradurre Vertigine, il Nord della mia bussola è stato il ritmo, la volontà di ricreare lo stesso andamento spezzato dell’originale che, sulla falsariga di un respiro umano, si fa più corto o più disteso a seconda della situazione, contribuendo ad accrescere quella tensione che incatena il lettore alla pagina. Ho inoltre provato a caratterizzare le parlate diverse dei protagonisti senza cadere nel tranello dell’antilingua e, più in generale, sono stata molto, molto attenta ai dettagli. Il traduttore, come si dice, è anche il primo lettore di un’opera e per capire le opere di Thilliez bisogna innanzitutto imparare a porsi le domande giuste, a cogliere le sottigliezze, perché anche sotto un’apparente semplicità si nascondono, spesso, alcune insidie.

Di questo si potrebbe parlare ben più a lungo a lettura ultimata, mentre ora ogni parola rischia di dire troppo. E le sue, di parole, Thilliez le pesa molto bene. Poiché il rischio di fraintendimento è sempre in agguato, bisogna tenere gli occhi bene aperti. Del resto lui stesso avverte il lettore che «questo romanzo ha una sola soluzione. E non è necessariamente quella che si crede». Come sempre, il diavolo è nei dettagli.

 

Daniela De Lorenzo

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