«La vita contro» è la forza che ci investe con una luce non richiesta ma necessaria

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Che significato ha l’incontro tra Angela e Umberto? Non sono amanti, né amici, né tantomeno padre e figlia, ma ognuno, inconsapevolmente, interverrà nel lato oscuro della vita dell’altro innescando quei cambiamenti sottili sempre necessari alle grandi trasformazioni. Sempreché si voglia, la trasformazione.

Quando pensiamo di conoscere le persone, anche quelle vicine, in realtà sappiamo molto poco di loro. Conosciamo solo la parte che si manifesta verso di noi, che ci viene contro. Molto spesso nemmeno le persone stesse sanno di avere un ulteriore spazio di vita interiore dove risiedono le infinite possibilità. Così brancolano nel buio, nella rassegnazione o magari intraprendono inutili battaglie contro nemici fisici quando invece la soluzione sta altrove.

È questo che mi suggestiona: lo spazio insondabile. E non mi resta quindi che immaginarlo.

Umberto vive da padre colpevole e perdendosi nell’alcol cerca di rendere meno aggressiva la propria sofferenza: possiamo toccarla entrando con lui nel buio della solitudine e nel fluire dei suoi pensieri sciolti e rabbiosi. Un giorno la sua strada incrocia quella di Angela: un altro tortuoso percorso di vita abitato dai fantasmi della mente e da potenzialità ancora sconosciute anche a lei stessa. La vita contro segue dunque le vicende personali di Angela e Umberto, una ragazzina sprovveduta e un malinconico uomo prossimo alla pensione, e la sincronicità del loro incontro carico di ragioni profonde ancora sconosciute.

Uno dei temi che ricorrono è quello del rapporto con l’autorità, a partire da quella massima del Tribunale per passare a quella della famiglia e a ogni altra fonte di dominio reale o percepita. Nei tanti anni di lavoro come assistente sociale ho vissuto con franchezza, e spesso con struggimento ben celato, il rapporto con la parte conscia delle persone che si sforzavano per offrire la parte di sé più adeguata al contesto istituzionale che rappresentavo. Intuivo la loro contrattazione interiore – cosa dire e cosa non dire –, le loro aspettative, l’imbarazzo e anche, alle volte, la rabbia controllata, l’impulso represso di offendermi, di alzarsi e sbattere la porta. Poiché per me scrittura è viaggio, esplorazione, conoscenza, con questo romanzo sono partita e sono andata a prendere quelle voci soffocate e le ho portate fuori. Attraverso Angela e Umberto ho liberato la rabbia, la colpa e soprattutto la sensazione di inadeguatezza: raccontandone le ho conosciute.

Con questo obiettivo ho scelto per la narrazione di usare la terza persona con il focus interno ai protagonisti, in modo da poter esplorare in ciascuno gli stati psichici profondi e gli sviluppi del loro pensiero in risposta alle sollecitazioni urticanti provenienti dagli altri personaggi. Anche il lessico usato è il loro, spontaneo, nudo. È una scelta tecnica che deriva da una scelta affettiva.

Ma per la nascita de La vita contro, non è stato sufficiente attingere al microcosmo dei conflitti personali: è stato in realtà necessaria l’unione con un altro gamete che riposava nella mia memoria da moltissimo tempo, quello che ha portato i caratteri del macrocosmo.

Più precisamente, quest’ultimo contributo è arrivato da un luogo e da un tempo precisi: Venezia e terraferma veneziana, anni Ottanta del secolo scorso. La mia prima esperienza lavorativa postlaurea come assistente sociale mi aveva portata là, al cep (Centro di Edilizia Popolare) di Campalto, a causa dell’emergenza sociale causata dal dilagare dell’eroina. Mentre mi occupavo di casi disperati, al seguito di colleghe navigate, pensavo, io che fin da ragazzina sono stata appassionata della musica rock progressiva, che a pochissima distanza da lì, esattamente in un garage della periferia industriale di Marghera, erano nate Le Orme. Ci si poteva salvare, dunque, dalle avversità urbane; si poteva addirittura creare bellezza e spargerla per il mondo. Nelle periferie si può vivere bene oltre che morire male.

Questo è il pensiero che si è unito al desiderio di immaginare l’insondabile. E questo è il pensiero che si insinua prima in Umberto, che dal cep proviene, e poi in Angela: la bellezza non è per tutti, è solo per chi riesce a vederla.

Il paesaggio urbano diventa così un altro protagonista del romanzo e motivo di scuotimenti emotivi sia per il senso di appartenenza vissuto dai vari personaggi, nel bene e nel male, che per affermare quel dualismo necessario all’identità delle parti: Venezia e Mestre si fronteggiano nella loro diversità ma sempre in continuo, stretto e vitale collegamento. Il paesaggio entra in scena offrendo punti di vista diversi, direi rivoluzionari rispetto al pensiero statico, e contribuisce a trasformare gli ostacoli in trampolini di lancio sia per Angela che per Umberto.

Rita Ragonese

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