Elisa Ronchi, traduttrice dei romanzi di Sebastian Fitzek, parla delle sfide della traduzione di Mimica.
Se nel precedente romanzo di Fitzek, Portami a Casa, le interazioni tra i protagonisti erano principalmente telefoniche, e dunque soggette a una distanza fisica che ben si prestava, nel meccanismo narrativo, all’ordire di una tela d’inganno e d’ambiguità, in Mimica è la capacità (o l’incapacità) della protagonista di leggere le reazioni emotive proprie e altrui, nella loro sottigliezza, a rappresentare la via allo svelamento della verità, una verità che nell’autore tedesco è sempre tutt’altro che edificante.
In questo senso, Mimica è un romanzo sull’identità, sulla dimenticanza, e su ciò che non può rimanere nascosto: la verità appunto, l’aletheia dei greci, intesa come lo svelamento di qualcosa che non è più coperto dall’oblio. Pagina dopo pagina le “nebbie dell’oblio” che avvolgono la protagonista Hannah Herbst sembrano infittirsi o sollevarsi secondo un gioco di continue rifrazioni e di inattendibilità del punto di vista – come gli specchi nei quali Hannah, traumatizzata, non riesce a vedersi riflessa.
La traduzione di un simile romanzo è un terreno minato: ogni scelta rischia di sfaldare l’architettura dell’intreccio spostando l’equilibrio della percezione del lettore, chiamato a dubitare costantemente di ciò che legge, ma comunque meritevole di ricevere, alla fine, una chiosa attendibile e coerente, per quanto terribile (è pur sempre Fitzek!). Compito del traduttore sarà dunque, qui come altrove, mantenere la fedeltà alla coreografia autoriale, senza perdere la fluidità nella lingua di arrivo.
In Mimica, oltretutto, Fitzek ha voluto sperimentare la tecnica dello “split-screen” narrativo, adottando simultaneamente il punto di vista di diversi personaggi durante una stessa azione, e sfidando così il traduttore a riprodurre efficacemente sincronia e polifonia narrativa, con la difficoltà di mantenere la coerenza delle diverse angolazioni senza scarti stilistici, temporali o di ritmo: questo anche graficamente, dovendo adeguare la lunghezza della traduzione all’originale, ed evitare di rendere noiosa o incoerente la scena in presenza di elementi speculari.
In Mimica, il linguaggio narrativo è frastagliato e ambiguo come uno specchio distorto – per l’autore, lo specchio della verità. E, come Edipo, la protagonista del romanzo, esperta nella lettura e interpretazione delle microespressioni facciali, è incapace di vedere ciò che più di ogni altra cosa dovrebbe vedere, e che forse non vuole accettare. Il lettore, invece, sarà pronto?
Elisa Ronchi