Joel Dyer
Raccolti di rabbia
La minaccia neonazista nell'America rurale
Traduzione di Pietro Meneghelli
Un’analisi sulle origini del movimento integralista americano dei Patriots; responsabile di attacchi terroristici quali quello di Oklahoma City del 1995 e ritenuto come il più probabile mandante delle lettere all’antrace. Alla radice della crescita dell’odierno movimento cristiano dei Patriots, fondamentalista e antisemita, separatista e antigovernativo, ci sono le condizioni disperate di un’America rurale che si sente privata dei propri diritti e senza alcun potere. Mentre le piccole e medie aziende agricole, non più competitive in un sistema di produzione dominato da un pugno di società globali, continuano a fallire, la rabbia che un tempo provocava tra gli agricoltori un gran numero di suicidi e di violenze familiari trova oggi espressione nelle azioni estreme del movimento che combatte il governo federale. Il movimento dei Patriots è composto da centinaia di migliaia di persone armate, che si organizzano pubblicamente e tengono convegni aperti a tutti, dispone di una rete di propaganda capillare ed efficacissima ed è responsabile di numerosi attentati dinamitardi e quasi certamente anche delle lettere all’antrace. È contro di loro che le ultime amministrazioni USA, e Bush con particolare forza, hanno predisposto – fatto senza precedenti nella politica interna americana – l’uso dell’esercito, pronto a scatenare in ogni momento un’altra guerra al terrorismo: stavolta una vera e propria guerra civile.
«Dyer ha smascherato un vero complotto, che ha ripercussioni su tutti i cittadini degli Stati Uniti… Dimostra che McVeigh e Terry Nichols non potevano aver agito da soli nell’attentato di Oklahoma City. Ma queste sono solo alcune delle sue sconcertanti scoperte».
Gore Vidal, La fine della libertà
«Un’analisi raffinata, che mostra come la cultura dell’America rurale stia cadendo in pezzi e predice l’avvento di altri Timothy McVeigh».
«Booklist»
– 15/11/2008
Suprematisti, ecco chi odia dal profondo il neopresidente
– 06/03/2004
Raccolti di rabbia
Una storia alternativa del Nord America, che parte dalla preistoria per arrivare a parlare, attraverso le voci dei nativi, dei problemi d’identità e d’integrazione di oggi. Una narrazione fluida e appassionante che, però, non dà nulla per scontato: tanto meno il mito del “buon selvaggio”, sfatando persino la convinzione della saggezza ecologica degli indiani d’America.
James Wilson (Usa 1952), storico e giornalista, da oltre 25 anni si occupa della vita degli indiani d’America.
– 12/09/2002
Raccolti di rabbia
Se possiamo leggere questo libro in italiano dobbiamo ringraziare Gore Vidal che se ne é innamorato e ha spinto per la traduzione.
Un reportage lungo otto anni nell’america profonda della crisi rurale e dell’espansione dei movimenti fondamentalisti cristiani e neonazisti che ruotano intorno alla strage di Oklahoma city del 1995.
Joel Dyer non si ferma allo scandalo e cerca le radici. A partire dalla grande rabbia dei piccoli proprietari espropriati per debiti dalle banche e strangolati dalle multinazionali agricole negli anni 80. In questo universo prende piede una lettura del reale come prende complotto tra illuminati, ebrei e quant’altro per “rubare ai bianchi” la loro terra.
Sembra una fiction, ma per i neonazisti è tutto vero.In questo senso la lettura è consigliata anche a chi tende a dimenticare la possibile dark sidedi una visione del mondo alla x files. Raccolti di rabbiaoffre anche una visione della crisi della democrazia americana, soffocata dallo strapotere del denaro. Certe pagine ricordano molto una definizione di Gore e Bush di Eddie Vedder dei Pearl Jam, intervistato da Giuseppe Videtti: “alberghi umani che affittano i cervelli a chi finanzia le loro costosissime campagne elettorali”.
Un libro ben scritto che fa pensare. Da non perdere
– 11/07/2002
Raccolti di rabbia
Sono una grande risorsa per tutti noi gli scrittori che riescono a ripercorrere le tappe violente, drammatiche o anche belle della storia recente e restituirle alla memoria di tutti, patrimonio del genere umano e diritto inalienabile. Lo fa Dyer con questa ricostruzione dell’attentato dell’aprile ’95 a Oklahoma City nel quale persero al vita quasi duecento persone e che è al centro del libro di Gore Vidal “La fine della libertà”. Alla ricerca delle radici che hanno dato vita al movimento fondamentalista e antisemita Patriots e che disegnano una realtà rurale degli Stati Uniti che si sente privata dei propri diritti e senza alcun potere.
– 15/07/2002
La rivolta sotterranea dell’America rurale
L’America che tutti conosciamo è quella sfavillante dei grattaceli delle metropoli solcate da highways e dominate dalle big corporations globali che dettano legge nell’economia e nella finanza mondiali. Questi sono gli Stati Uniti vincenti nel Ventunesimo secolo, il cuore dell’impero capitalista e del potere economico, tecnologico e militare che i terroristi islamici hanno individuato come il demonio da abbattere in ogni modo, e che infatti è stato tragicamente colpito l’11 settembre. La sostanza e l’immagine della civiltà occidentale e della civiltà americana in gran parte coincidono: l’individualismo, il capitalismo e il liberalismo ne sono i caratteri distintivi universalmente riconoscibili. Dietro questa facciata ben nota, però, l’America nasconde un’altra realtà, l’America rurale, che è ben più modesta ma che purtuttavia fa sentire la sua voce di tanto in tanto riesumando dal profondo passato spettri che si pensava fossero per sempre archiviati.
Nell’aprile 1995 un attentato ad Oklahoma City (in uno stato del profondo Ovest) provocò la morte di quasi duecento persone seminando in tutto il paese la paura di un terrorismo interno che non era la prima volta che si manifestava in terra americana. Da dove veniva? Cosa significava? Come era possibile che nella civile America vi fossero cittadini che mettessero in atto progetti così efferati? All’episodio e al suo significato è dedicata una ricerca del giornalista investigativo Joel Dyer ora pubblicata in Italia con il titolo Raccolti di rabbia. La minaccia neonazista nell’America rurale (Fazi editore, pp.264, € 19,00). All’origine di quell’atto terroristico vi era il movimento cristiano dei Patriots, con caratteristiche neonaziste, fondamentaliste e antisemite e con spiccati atteggiamenti antigovernativi ed antifederali.
Gruppi e movimenti di questo genere, se pure in maniera diversa, non sono per nulla nuovi nella bicenteneria storia americana. Il tratto caratterizzante la vicenda nazionale americana è stata la frontiera, cioè la conquista di nuovi territori nel continente dalle originarie coste atlantiche agli stati della costa pacifica che sono progressivamente entrati a far parte dello stato federale. In questa lunga vicenda che ha segnato profondamente la vita americana, le forze innovative del capitalismo, dell’industrializzazione e del mescolamento delle razze hanno sempre avuto la meglio. L’americanizzazione come modernizzazione ha prevalso ed ha sconfitto nel tempo l’americanismo tradizionalista fondato sulla piccola dimensione, sul ruralismo come riserva dei buoni sentimenti e sulla purezza religiosa originaria, per lo più protestante, senza cambiamenti modernizzatori.
Questa vecchia America ha resistito a lungo ma è stata inesorabilmente sconfitta. Spesso si è organizzata politicamente e perfino militarmente contro il progresso come con la Guerra Civile del 1860. Alla fine dell’Ottocento il movimento populista espresse un vasto movimento di protesta agraria che si sviluppò negli stati dell’Ovest e del Sud dando voce al disagio economico dovuto ai monopoli finanziari che stavano dietro le ferrovie, all’aggressività degli interessi finanziari in mano soprattutto, sostenevano i populisti, a finanzieri ebrei, e alla politica protezionista sui prodotti industriali che riducevano sul lastrico gli agricoltori.
I nemici dei populisti rurali, allora ma anche in seguito, per esempio con il candidato presidenziale George Wallace dell’Alabama nel 1968, erano il Big Businness, il Big Labor ed il Big Government. Il governo federale di Washington è stato sempre l’odiato bersaglio di questa America rurale. E con l’odio anticentralistico si sono spesso mischiati sentimenti razzisti, innanzitutto contro i neri e gli ebrei, ritenuti i maggiori veicoli dell’inquinamento dei costumi tradizionali e delle abitudine della buona America rurale.
Oggi. a fronte della grande omologazione americana, i movimenti populisti reazionari e quelli ruralisti tradizionalisti hanno perso qualsiasi presa, anche perché quella piccola America povera, marginale e derelitta della Depressione degli anni Trenta fino agli anni Sessanta, non esiste più. La povertà e marginalità sono ormai tutte metropolitane. Nella profonda America rurale sopravvivono tuttavia le schegge di quel passato in gruppi relativamente piccoli ma notevolmente pericolosi che si organizzano pubblicamente e si armano drogandosi con ideologie di tipo nazista e integraliste religiose come appunto quello di Oklahoma City.
– 22/07/2002
Quando è l’America a farsi fondamentalista
Il volto dei terroristi americani in un’inchiesta puntuale e imponente che approfondisce le radici dell’estrema destra. Il giornalista Joel Dyer percorre la palude di gruppuscoli, sette, fazioni, milizie armate che formano il vasto movimento antigovernativo statunitense, in cima alle preoccupazioni del Fbi prima dell’11 settembre. Dal famoso Ku Klux Klan ai separatisti bianchi, i fanatici religiosi, gli apocalittici, i davidiani a cui si ricollega la strage di Oklahoma City del 1995 in cui morirono 170 persone. L’inchiesta di Dyer, già citata in alcune analisi di Gore Vidal, ci racconta che il terrorista Timothy McVeigh non agì da solo ma interpretò la “bibbia dell’odio”, ormai così popolare in America. Perché? Secondo Dyer, nelle aree rurali si coltiva da tempo l’ideale sovversivo. La stagione dell’economia globale ha rafforzato i monopoli e abbassato drasticamente i profitti. I piccoli proprietari terrieri sono andati falliti, il suicidio è diventato la prima causa di morte tra gli agricoltori. L’attacco alle Torri gemelle ha distolto l’attenzione dai nemici interni ma, avverte Dyer, il movimento “anti” continua a reclutare adepti ed è probabile che abbia firmato le lettere all’antrace dell’autunno scorso. “Il modo di pensare degli americani antigovernativi – nota Dyer – assomiglia molto a quello dei militanti della Jihad”.
– 21/07/2002
Raccolti di rabbia
Un interessante saggio di Joel Dyer, giornalista e scrittore americano, affronta un tema centrale nella politica interna e nell’equilibrio sociale statunitense: la destra neonazista e fanatica che, attraverso organizzazioni capillari sempre più efficienti, sta creando una pericolosa rete nazionale. Non sottovalutare il problema è essenziale per poterne trovare una soluzione, anche se dal testo risulta difficile immaginare quale sarà. È indispensabile innanzitutto studiarne le radici, le motivazioni profonde, capire perché una parte della società americana, bianca e integrata, si senta così minacciata da doversi organizzare per la difesa e addirittura per realizzare attacchi di stampo terroristico, come quello di Oklahoma City del 1995 o come le lettere all’antrace di questi mesi, che ormai quasi con certezza sono state attribuite proprio a movimenti estremisti interni.
I Patriots, membri di un gruppo consistente di matrice cristiana che trova alimento nell’insoddisfazione e nella frustrazione dei contadini che reputano di essere stati estromessi da ogni posizione di potere e controllo nazionale, fomentano antisemitismo e fondamentalismo, suggerendo soluzioni antigovernative e separatiste. Angoscianti le parti del saggio che riguardano l’organizzazione militare di questo movimento, i “tribunali del popolo” che operano in collaborazione con le milizie volontarie e che emettono sentenze che possono dare il via a stragi, incendi, omicidi, e gli ancor più pericolosi “tribunali militari”: “forse la cellula di estremisti che ha fatto esplodere il Murrah Building di Oklahoma City aveva precedentemente tenuto un processo in stile militare? Sospetto che la risposta sia sì”. Un tempo le cellule erano in contatto prevalentemente attraverso le radio ricetrasmittenti, con l’avvento di internet, ovviamente, i rapporti si sono velocizzati e ampliati anche per loro. E la strategia di controllo e prevenzione ha dovuto cambiare rotta, evolversi.
Così come ha dovuto pensare più “in grande” l’amministrazione Bush, arrivando a ipotizzare l’utilizzo dell’esercito in caso estremo. Americani contro americani, in una prospettiva da guerra civile impensabile sino a pochi decenni orsono. L’ottica è quella pionieristica, chiusa e sostenitrice della tradizione e del nucleo sociale “di frontiera”, ma ormai degenerata in follia fondamentalista che costituisce un cancro interno della democrazia e della nazione americana.
– 01/06/2002
Usa. I patrioti impazziti
“Il 19 aprile 1995 un autocarro Ryder carico di fertilizzante e benzina per auto da corsa esplose all’esterno dell’Alfred P. Murray Building di Oklahoma City. La devastante esplosione uccise centosessantotto persone e cambiò per sempre il paesaggio emotivo e politico americano”. Così inizia il documentato e insieme stringente libro di Joel Dyer Raccolti di rabba (Fazi Editore, pp. XVI + 272, Euro 19) che prende lo spunto dal terrificante attentato di Oklahoma City per studiare a fondo le organizzazioni razziste, eversive, antigovernative di estrema destra negli Stati uniti. Facciamo prima il punto sugli sviluppi mondiali della vicenda del 95, rischia ormai di essere dimenticata, specie in considerazione del trauma dell’11 settembre. Se in un primo tempo si avanzò il dubbio, in parte interessato, che l’impresa nefasta di Oklahoma City fosse opera di gruppi stranieri, verosimilmente islamici, l’Fbi provvide a mettere le cose a posto. Da tempo venivano tenuti d’occhio gruppi eversivi di estrema destra, e quindi, non ci volle molto per identificare e arrestare i due responsabili, Timothy (Tim) McVeigh e Terry Nichols. Vale la pena di conoscere meglio questi due personaggi, diversi ma complementari.
Timothy McVeigh aveva posseduto il suo primo fucile a tredici anni; a sedici, un altro a canne mozze. Nell’ 88 entrò nell’esercito e da sergente partecipò alla Guerra del Golfo, ricevendo elogi sul campo. Tentò poi invano di entrare nei berretti verdi, e tornò a casa, nella campagna dell’Oklahoma. Nel frattempo, si stava indrottinando
Leggeva Spotlight un bollettino antigovernativo e, tra l’altro, antisemita, pubblicato da un’organizzazione di estrema destra, la Liberty Lobby. Leggeva Patriot Report , organo di un’altra organizzazione estremista fondamentalista, la Christian Identity. “Patriota” – si noti – è parola chiave che si applica a tutti i militanti di queste organizzazioni. Ma ecco il libro preferito, un classico della filosofia dell’eversione, The Turner Diaries di William Pierce, un testo narrativo aspramente razzista caro a tutti i “patrioti”.
Terry Nichols, con il fratello James, era un agricoltore, cresciuto nella fattoria paterna nel Michigan, e va considerato un vero simbolo della crisi del mondo rurale americano. Le banche avevano tentato di impadronirsi della fattoria a causa dei debiti della famiglia. Terry si sobbarcò a tutta una serie di umili lavori, e alla fine subì un processo per debiti dovuti all’uso di carte di credito scoperte. Condannato poi a trenta giorni di prigione per il mancato pagamento degli alimenti destinati al mantenimento del figlio della prima moglie, sostenne di non considerarsi più cittadino degli Stati Uniti ma “straniero residente”. Aveva fatto proprie le dottrine di gruppi eversiivi, in primo luogo del potente Posse Comitatus.
Dunque, in una fascia che comprendeva l’Ovest e il Sud-Ovest, le organizzazioni antigovernative e razziste si erano ormai radicate in un’area contadina in crisi, e proprio questo si presentava, e in qualche misura ancora si presenta, il loro terreno di cultura. Lo “scenario rurale”, osserva Dyer, ospitava “il mondo del radicalismo governativo”. Le piccole ma influenti organizzazioni pullulavano: “Aryan Nation”, con evidenti connotazioni razziste e una terminologia di matrice nazista o post-nazista; ciò che rimaneva del Klu Klux Klan; i “freemen”, uomini liberi, un gruppo dei quali, in armi, nel Montana, nel 96 resistette ben ottantuno giorni alle forze dell’Fbi.
Per quanto aberrante sembri, non deve stupire che questi gruppi abbiano, in misura maggiore o minore, approvato l’impresa folle, ai limiti della paranoia, di Oklahoma City. Se restavano nella loro perversa ideologia tracce del populismo ottocentesco, lo zoccolo duro va indubbiamente trovato nel fondamentalismo religioso protestante. Sotto questo profilo, il testo canonico dei fondamentalisti era e rimane quello che il volenteroso traduttore Pietro Meneghelli rende alla lettera, Libro della Rivelazione, ma che in italiano si chiama semplicemente Apocalisse.
Naturalmente, si tratta di una lettura abnorme, che nulla deve, tanto per fare due casi significativi, a quella di D. H. Lawrence o alla seria indagine di Eugenio Corsini, che proprio in questi giorni sta uscendo in una nuova edizione. Il mondo incarnato dal governo “cattivo”, dai gruppi economici e finanziari, spesso in mano agli odiati ebrei, e tutto sommato la globalizzazione, stanno preparando il terreno a una catastrofe a una catastrofe che va combattuta, se necessario, con la forza. Il nemico, il diavolo, si riconosce soprattutto nel danaro. Tutto questo, scopertamente, si riallaccia a una vecchia tradizione peculiare del puritanesimo americano. Già nei racconri di Nathaniel Hawthorne il denaro è Mammona, e le banche sono i templi di una religione sconsacrata.
Mettiamo allora nel conto, come giustamente fa Dyer, una figura di prorompente influenza negli Stati Uniti, il predicatore fondamentalista Pat Buchanan, con un seguito larghissimo in tutto il paese, grazie anche ala televisione. E’ lui l’autentico terminale di un puritanesimo radicale e popolarizzato, anche se non si compromette mai di persona con le organizzazioni eversive.
Il processo per l’attentato di Oklahoma City fu celebrato con una sollecitudine cha a qualcuno è parsa sospetta, nel 1997-1998, in quanto escluse complicità o – fatto deplorato da non poche famiglie delle vittime – alcun mandante. McVeigh fu condannato a morte, ma per via di appelli e di petizioni rimase in carcere fino a quando venne giustiziato, con un’iniezione letale, l’11 giugno 2001 a Terre Haute, Indiana. Nichols, il cui collegio di difesa sostenne che l’attentato era stato compiuto da McVeigh e “altri”, grazie alle incertezze e ai dubbi della giuria, fu condannato all’ergastolo. Non è detto però, che quest’anno, se lo Stato dell’Oklahoma insisterà nel perseguirlo, egli possa sottrarsi a una condanna a morte.
Come si sono comportate le organizzazioni durante e dopo il processo? Facendo di McVeigh e di Nichols dei martiri. Nel 2000, ben prima dell’esecuzione capitale di McVeigh, ebbi la fortuna, se così si può chiamare, di procurarmi via fax in Oklahoma, dove mi trovavo, un comunicato stampa della “hot-line dial -aracist”, controllata dal gruppo dei “White Aryans” gli ariani bianchi, con l’aggiuta Resistence (War), resistenza, guerra. Non è certo casuale che il comunicato rechi, in calce a sinistra, una croce ulcinata, insieme alla scritta “nazionalisti bianchi politicamente scorretti” e per “gli orgogliosi bianchi americani”. Di più, in calce a destra, un “Hail Tim McVeigh”, salve T. M.
Dyer riconosce obiettivamente che l’ira degli abitanti americani della grande fascia di stati agricoltori abbia un serio fondamento. Dopo l’uscita del suo libro, peraltro, il governo degli Stati Uniti ha promosso iniziative di lege che tendono a favorire l’agricoltura con aspetti protezionistici assai criticati a livello internazionale, e con la piena autorizzazione alle colture transgeniche.
Ma il problema di fondo rimane e Dyer si riferisce nell’epilogo all’assemblea dei Christian Patriots nel ’95, due gorni dopo l’attentato, durante la quale uno dei “patrioti” approvò a voce alta la strage. Insomma, l’attentato non si giustifica, ma bisogna fare i conti con un disagio profondo degli agricoltori che può spingerli all’ira e al rifiuto e al rifiuto indiscriminato dell’autorità federale, spesso incapace o riluttante a gestire il fenomeno terroristico.
Dyer si domanda preoccupato “che cosa riserva il futuro dell’America” alla luce di simili fenomeni, che la tragedia delle torri gemelle potrebbe cancellare. Sono più ottimista di lui e penso che negli Stati Uniti esistano sufficienti anticorpi. Non Praevalebunt.
– 29/06/2002
“Raccolti di rabbia”, Inchiesta Horror
Partendo dall’attentato neonazista a Oklahoma City, Joel Dyer è entrato nel tunnel psicotico del ceto rurale americano, messo al cappio dalla Federal Reserve e pronto a tutto.
Probabilmente, il lugubre itinerario umano di Timothy McVeigh è talmente ripugnante da resistere a qualunque tentativo di empatia. E’ difficile, insomma, che qualcuno faccia per questo “ragazzo comune”, proveniente da “una tipica famiglia di operai”, uno sforzo di immaginazione simile a quello che, nel 1988, ha permesso a Don DeLillo di raccontare la vita di Lee Harvey Oswald, dall’infanzia nel Bronx all’assassinio di Kennedy alla morte per mano di Jack Ruby. In Libra , DeLillo traccia lo stupefacente ritratto di una solitudine inesorabilmente destinata a finire irretita nelle maglie di un complotto. Oswald non è una persona intelligente, ma questa solitudine, come quella di alcuni suoi mandanti rimasti per sempre nell’ombra, è dotata di uno spessore psicologico che rende, di fatto, possibile un’invenzione romanzesca che ha il carattere necessario dell’invenzione della verità. McVeigh e il suo complice Terry Nichols, che il 20 aprile del 1996 parcheggiarono un camion imbottito di fertilizzante e benzina per macchine da corsa sotto il Murrah Building di Oklahoma City, causando la morte di centossessantotto innocenti (tra i quali moltissimi bambini), potrebbero semmai figurare in qualche segmento della saga “storica” che James Ellroy ha iniziato a comporre con American Tabloid e Sei pezzi da mille . Ma appunto: viene in mente Ellroy, proprio in virtù della sua totale assenza di un retroterra psicologico, delle sue interminabili e strazianti catene di azioni e reazioni, che fanno della “realtà” un incubo abitato da inquieti e pericolosi alienati.
Intitolato La strada che porta a Oklahoma City , il capitolo 10 dell’inchiesta di Joel Dyer sulla “minaccia neonazista nell’America rurale” (Raccolti di rabbia , Fazi, pp.265, euro 19,00) ne rappresenta il culmine narrativo, il terribile nodo che prima o poi arriva al pettine. E non solo per la gravità in sé dell’attentato al Murrah Building, che è indubbiamente la catastrofe terroristica più grave della storia americana prima dell’11 settembre. Dyer punta il suo dito accusatore sulle indagini troppo frettolose, e su un processo che di fatto ha separato i due esecutori materiali dell’attentato, McVeigh e Terry Nichols, sia dall’intricato contesto ideologico di provenienza che dalla rete di aiuti e protezioni di cui gli attentatori hanno inevitabilmente goduto nei giorni immediatamente precedenti alla tragedia. Come in tutto il mondo è stato osservato al momento dell’esecuzione della condanna a morte comminata a McVeigh, quella decisione rappresenta una vera e propria pietra tombale piazzata sulla ricerca della verità. Magistrale sia nell’inchiesta sul campo che nell’analisi razionale dei dati, Dyer conosce a menadito l’incredibile e poliedrica realtà di un “movimento antigovernativo” che ha diffuso in tutta la realtà rurale americana, da nord a sud, i virus tenaci e prolifici del razzismo e della violenza armata. Un ruolo chiave, nella strada di morte che porta McVeigh fin sotto il Murrah Building, lo svolgono i fratelli Nichols, che accolgono lui, di provenienza operaia e reduce decorato della guerra del Golfo, nel circuito del disagio contadino e delle sue formazioni politiche più radicali. Appassionato di armi da fuoco fin da bambino, McVeigh, durante la sua carriera di soldato e dopo l’abbandono dell’esercito, si nutre tanto dei bollettini della National Rifle Association che dei periodici di organizzazioni ultrarazziste come la Liberty Lobby e la Christian Identity. Il suo libro preferito è un romanzo a tesi di ispirazione neonazista, The Turner Diaries di William Pierce, dove tra l’altro è descritto un ordigno a base di fertilizzante e benzina molto simile a quello che provocherà la strage di Oklahoma City. C’è un’agghiacciante simmetria tra certi tratti del carattere di McVeigh e i più diffusi dogmi di pensiero del movimento antigovernativo rurale. Questo aspetto del ragionamento di Dyer è probabilmente decisivo: come le tessere di un puzzle, un sistema ideologico dai tratti psicotici finisce per combaciare perfettamente con i tratti psicotici della personalità del futuro attentatore. E questo innesco è il primo della serie che culminerà nell’esplosione del Murrah Building. In questa forma di militanza, si direbbe che il terrreno di scambio tra l’ideologia e l’individuo sia proprio quello del disturbo mentale. Così, se i bollettini della Christian Identity svolgono l’ennesima versione della paranoia del complotto finanziario-giudaico, McVeigh, per parte sua, vede ovunque sicari della CIA e delle nazioni Unite, ed è convinto di avere un microchip nel culo attraverso il quale il governo spia i suoi movimenti. Dyer mette in gioco, accanto alla paranoia, anche il concetto molto verosimile di una “depressione comunitaria” all’interno della quale la depressione del singolo si fortifica, e assume un pericolosissimo simulacro di senso. Sono idee importanti, che non valgono solo per le comunità neonaziste dell’America rurale. In tutto il mondo, eserciti di kamikaze ed individui “pronti a tutto” stanno a dimostrare che non c’è legame più forte tra soggetti e comunità di questa forma di appartenenza su base patologica.
“Che tristezza”, esclama Dyer a un certo punto del suo periplo di questo inferno umano. La tristezza non è un sentimento generico, ma la coscienza precisa di ciò che poteva essere fatto per evitare il peggio, e non è stato fatto. Dyer ha il coraggio di mettere in moto un meccanismo cognitivo che oggi è sommamente impopolare, e che esprime con una semplice metafora, anche lei agricola: c’è in questa storia un terreno fertile di disagio ed emarginazione, c’è la semina dell’ingiustizia, e infine il raccolto di rabbia e di sangue. Fuori di metafora, c’è un intero ceto di lavoratori americani, fatto di piccoli e medi agricoltori, spazzato via da un processo implacabile di ristrutturazione. C’è da un lato un modello di vita fatto di consuetudini secolari, e dall’altro un organismo come la Federal Reserve, che nel giro di un’ora può gettare nella miseria e nella disperazione milioni di individui modificando arbitrariamente tassi d’interesse che da vantaggiosi diventano insostenibili. E ancora: una catena interminabile di suicidi, forme multiple di alienazione collettiva, il sentimento di aver subìto un’ingiustizia e il cemento del rancore che ne deriva. Dyer, come dicevo, è ben consapevole dell’impopolarità di questo metodo di conoscenza, oggi che ogni discorso che mette in relazione l’ingiustizia economica alla violenza è tacciato di complicità con il terrorismo. Ne sappiamo qualcosa anche noi che scriviamo e leggiamo questo giornale, ogni volta che cerchiamo di capire e di raccontare da che razza di vita di merda provenga un kamikaze palestinese, e ci accusano di complicità con il più schifoso e imperdonabile dei delitti, ci accusano di sentire meno l’orrore di una strage di innocenti. Pensa a queste cose anche Joel Dyer, aggirandosi attorno al Murrah Building sventrato, guardando i biglietti, i mazzi di fiori, gli orsacchiotti appesi alle recinzioni di sicurezza. Non c’è, in lui, un’oncia di quella complicità di cui, per il solo fatto di provare a pensare, già si sente accusato. E non è l’ultimo aspetto, questo, della “tristezza” del nostro mondo e della malafede dei suoi padroni.