Manlio Cancogni è una pietra miliare della letteratura e del giornalismo italiano del XX secolo. Nasce a Bologna nel 1916; fra i suoi amici di gioventù ci sono Carlo Cassola, incontrato a Roma da ragazzo e poi sempre presente, Carlo Levi, Giorgio Bassani. Tanto per capirci: stiamo parlando di un intellettuale che chiacchiera di letteratura con Segre, Vittorini, Luzi, Pratolini, Montale. Prima della seconda guerra mondiale, Cancogni insegna storia e filosofia in un liceo come supplente, poi dopo la guerra, che ha fatto sul fronte greco-albanese, si dedica al giornalismo. Lo fa con rigore, con ironia, come quando sfida la scuola italiana in un articolo che appare su «La Nazione del Popolo» nel 1945 intitolato La modesta proposta, perorando la causa di un apprendimento basato sulla memoria e il nozionismo (l'eco è tale che Firenze si riempie di scritte sui muri per contestare le affermazioni del giovane redattore). Ma lo fa soprattutto con un grande senso dell'andare controcorrente, come quando conduce un'inchiesta contro la corruzione apparsa su «L'Espresso» il 22 gennaio del 1956 con il titolo Capitale corrotta = Nazione infetta, una miccia che infiammò gli anni cinquanta facendo esplodere lo scandalo dell'"Immobiliare", e da cui partì quello che può definirsi il primo processo della Tangentopoli italiana. Eppure Manlio Cancogni non riesce a pensarsi come un vero giornalista di inchieste, pur pubblicando su «La Nazione del Popolo», «L'Italia Libera», «Frontespizio», «Letteratura», «L'Europeo», «Botteghe Oscure», «L'Espresso» e ancora «Risorgimento Liberale», «Il Popolo», «Mondo», «Il Corriere della Sera», «Il Giornale Nuovo», «L'Osservatore Romano». Ma Cancogni non è soltanto un giornalista: il suo esordio narrativo avviene nel 1942 con Delitto sullo scoglio, anche se è soprattutto dalla seconda metà degli anni cinquanta che la sua penna si dedica alla letteratura trovando maggiori attenzioni e aggiudicandosi ambitissimi premi letterari come lo Strega (il Grinzane arriverà nel 1987 con Il genio e il niente). Per un paio d'anni, alla fine degli anni Sessanta, Cancogni dirige la prestigiosa rivista «Fiera Letteraria». Fra i suoi numerosi romanzi e racconti del periodo ricordiamo La linea del Tomori e Azorin e Mirò. Verso l'inizio degli anni Ottanta Cancogni si tira un po' indietro, preferisce la riservatezza. Intanto sulla sua produzione intervengono in molti, da Baldacci, a Pampaloni, Montale, De Robertis; da Bo a Siciliano, Garboli e Citati; Walter Mauro gli dedica ampio spazio nella Letteratura Italiana Marzorati e Iole Fiorillo compie uno studio di riferimento sull'opera di Cancogni. Infine, Cancogni accetta l'invito di un'università americana e inizia il pendolarismo fra la Versilia e gli States. Sembra la fine della sua carriera letteraria. Invece alla fine degli anni novanta con Lettere a Manhattan, il romanzo a lungo rimasto inedito, Fazi Editore riesce a strapparlo dal suo isolamento. Cancogni per fortuna si lascia convincere e riprende a scrivere.