Philippe Beaussant
Anche il Re Sole sorge al mattino
Una giornata di Luigi XIV
Traduzione di Laura Pugno
Prefazione di Giuliano Ferrara
Come è velatamente suggerito dal titolo, giocato sull’intraducibile ambiguità del verbo se lèver, alzarsi dal letto e sorgere, Le Roi-Soleil se lève aussi segue Luigi XIV nel corso di una sua giornata-tipo, dal Petit Lèver appunto, fino al suo Grand Coucher a mezzanotte, e dalla ripartizione della vita d’ogni giorno a Corte (al Louvre, a Versailles come nei numerosi castelli reali dell’Ile de France). L’autore giunge a tracciare un quadro completo della società dell’Ancien Règime nelle sue articolazioni per noi così stupefacenti. Ma il libro non è solo una mera opera narrativa. L’autore apre infatti brillanti finestre di taglio antropologico sulle curiose abitudini del galateo di corte e cerca di dare una risposta a domande sul rapporto, in un uomo del XVII secolo, tra una persona e la sua funzione e quindi, in questo caso, alle domande “che cos’è un re?” e “com’è un re?”. Scritto in una lingua di stampo “classico” e con un buon ritmo, Le Roi-Soleil se lève aussi è un’opera sulla natura della regalità nell’“età classica” corredata, tra l’altro, da ampi brani tratti dalle Relazioni degli ambasciatori Veneti, una delle fonti più produttive per la storia politica e delle corti europee dal XV al XVIII secolo.
– 29/11/2007
Beaussant spiega perché nelle vene della République c’è sangue monarchico
Intervista
– 07/05/2003
Anche il re sole sorge al mattino
Non c’è gestione del potere che non si ammanti di un protocollo, e i cerimoniali di Luigi XIV furono tali da restare nella memoria dei posteri. Della sua giornata ci racconta Philippe Beaumont, del suo “apparire”(sovrabbondante la dimensione dell’”essere” e cesellato nei dettagli). “Un re di teatro”, dunque; ma un ragazzo dapprima timido sotto l’ala ferma di Mazzarino, fino all’appercezione della propria regalità (Re nato per esserlo), fino al risorgere del suo amor proprio dalle ceneri verso una rinnovata e mai placata proiezione di sé: da quel momento, ogni sua sfida, ogni vaghezza,ogni dilazione, ogni gesto imprevedibile, per svigorirequell’ala, per cancellare quel cono di ombra. Per riappropriarsi, inoltre, nelle fattezze delle sue amanti, di una madre unica, insieme di latte e di sangue; nutrice e signora della scena. Lo seguiamo con il pubblico cortigiano dal Lever al Coucher, dalle discussioni d’affari condotte condotte senza pudori sulla “seggetta”, alla vestizione, alla colazione, alla posa della parrucca, al balletto, alla cena, alla caccia, alla messa, dove si attesta di volta in volta la sua unzione. Gli fanno corona le arguzie di Molière funzionali esse pure al ruolo regale, così come la farsa del giullare che, mimando la voracità del re, non ne infirma la sacralità del rito prandiale, anzi la ribadisce, in quanto è compito del buffone sconsacrare sul momento proprio ciò che è sacro nell’opinione collettiva. Un servo, invece, ladro di un biscotto, sottratto per fame alla mensa del sovrano, ne subisce la collera incontenibile, perché ne ha denunciato l’appartenenza al comune genere umano, perché ha reso possibile pensare che il cibo, non già momento liturgico, soddisfi piuttosto un impulso istintivo del re; che anche il re divori per fame: la dicotomia tra maschera e volto non va rivelate neppure a sé stessi.
Solo una volta, solo una donna, amandolo per il bambino che è stato e per il sovrano che , gli dà sentore di un eden smarrito, e non perduto. Ma, si sa, il sentore di paradiso è per i mortali cosa di troppo breve durata.
– 23/02/2003
Una giornata con il Re Sole
Beaussant, romanziere e musicologo, racconta la giornata di un re. Il sovrano è Luigi XIV, il Re Sole, re di Francia per la bellezza di 72 anni. Seguiamo allora la sua giornata, scandita da un cerimoniale implacabile. Il risveglio con il casto bacio della fedele nutrice, la visita del medico, la vestizione e via fino a sera attraverso udienze, messe, pasti (tutte da leggere le pagine su come beve un re), balli. Una vita che, alla fine, ci appare poco invidiabile. Beaussant ricostruisce atmosfere, ambienti e gesti grazie anche a testimoni dell’epoca come Molière e Saint-Simon. Da segnalare l’arguta presentazione di Giuliano Ferrara.
– 31/01/2003
Versailles ore sette, sorge il Re Sole
Come un timido principino si trasformò nel sovrano che inventò l’assolutismo e impersonò lo Stato: un affascinante saggio di Philippe Beaussant
Luigi XIV, il Re Sole, padrone del XVII secolo, inventore dello Stato moderno e costruttore del magnifico sogno di Versailles, è passato alla storia per due frasi che vengono immancabilmente ripetute quando si vogliono rievocare il tempo e l’atmosfera dell’assolutismo: Lo Stato sono io e Dopo di me il diluvio . In realtà Luigi XIV non le ha mai pronunciate, però ha fatto molto di più: ha fissato per sempre il decalogo del potere, la gestione dei suoi fasti e la rappresentazione barocca delle gerarchie nel grande teatro dell’alta società. E tutto a partire dal celebre Consiglio del 9 marzo 1661, quando il ventitreenne Luigi (1638-1715) si sbarazzò con un sol colpo dell’eredità dell’eminenza grigia per eccellenza, il cardinale Mazzarino, morto poche ore prima: ai ministri fece sapere che ora avrebbe comandato «lui stesso il suo Stato – come ricorda Henri Loménie de Brienne, attonito testimone – senza fare affidamento che sulle sue proprie cure». Fu allora che il Re perse, come ammise egli stesso nei suoi Mémoires, un aspetto del suo carattere che non ci saremmo mai aspettati: la timidezza. «Mi sembrò solo allora di essere re, e nato per esserlo», si legge nelle Memorie. Da quel momento in poi ogni atto della sua vita fu più che mai pubblico, ogni suo minimo gesto fu codificato in un rituale abbagliante, che stabilì per secoli il metro per la comprensione del grande mistero del potere. Nell’impresa di svelare questo mistero si è cimentato Philippe Beussant con un saggio – Anche il Re Sole sorge al mattino – che in Francia è stato un grande caso editoriale e ora è stato tradotto in Italia (Fazi). È possibile, si domanda Beussant, penetrare il senso dello stupefacente apparato di cui questo sovrano si circondò, per cui anche bere un bicchiere di vino, calzare le pantofole, indossare i calzoni e persino espletare i propri bisogni corporali divennero altrettanti atti pubblici? E come districare la matassa in cui si confondevano la persona fisica di Luigi – il Dieudonné, donato da Dio, così chiamato dai genitori che avevano aspettato 23 anni l’arrivo del Delfino, – la funzione regale, definita da un numero, XIV, e un’istituzione, ossia il Regno di Francia? È un’impresa affascinante e ardua, ci avverte l’autore, perché il bambino Dieudonné ha già nel nome il marchio di quella dualità che ne farà un uomo destinato a non essere uguale agli altri, neanche dopo la morte. Del resto, già la salma di suo nonno, Enrico IV, morto nel 1610, era stata oggetto di un culto quasi divino: le sue viscere erano state deposte in un vaso e portate nella chiesa di Saint-Denis, mentre il corpo imbalsamato era stato esposto nella sala delle Cariatidi al Louvre, sotto un grande letto da parata, sopra il quale giaceva un fantoccio di cera assai somigliante al re che per il potere aveva abiurato il protestantesimo pronunciando la famosa frase : «Parigi val bene una Messa». Ogni giorno gli Ufficiali della Camera e della Bocca (il Gran panettiere e il Gran sommelier) presentavano alla statua di cera il pasto regale : grand potage, primo, secondo, arrosto e così via. Una ritualità degna di una dinastia di faraoni, e invece si era nella Francia di Cartesio; e le cose continuarono così fino al 1791, quando, tagliando la testa all’ultimo dei Capetingi, la Rivoluzione operò una cesura epocale, non solo storica, ma anche antropologica. Lì infatti inizierà il declino di quella civiltà in cui ci si tramandava di padre in figlio non solo uno Stato, ma – fra i cittadini comuni – tutto: beni immobili, professione, titolo; dove tutto ciò che si era lo si ereditava, per cui oggi ci è difficile capire come ci si potesse costruire una coscienza di sé. Beussant, infatti, ci avverte che l’estremo paradosso di Luigi XIV e della sua epoca era che gli onori resi a un monarca non erano diretti alla sua persona, ma al figlio di suo padre e all’erede di una stirpe. La divisione tra natura e funzione sociale era netta come non lo sarebbe mai più stata nella storia. Beussant, per darci l’idea di come questo sovrano influì sulla sua epoca, si dilunga in molti particolari anche ameni. Fu il Re Sole, per esempio, a cambiare il valore della parrucca: prima la si usava per nascondere la mancanza di capelli, ma con Luigi – già calvo verso i 35 anni – da oggetto utile si trasformò in un ornamento incredibilmente vistoso e ingombrante, distintivo di una casta. Egli si distinse in particolare nell’incredibile complessità della sua giornata, che iniziava col Petit lever (il «Piccolo alzarsi») e terminava col Grand coucher (il «Grande coricarsi»). La regale rappresentazione – non a caso alla corte di Luigi spicca Molière, che si fregia del titolo di Cameriere-tappezziere, colui che in sostanza rifà il letto del Re, privilegio non da poco – comincia alle sette di mattina e finisce spesso a notte fonda. Tra questi due estremi il re non è mai solo, neanche un minuto, perché tutto nella sua vita è pubblico. Anche la notte : la chiave della sua camera è custodita dal Primo Gentiluomo di servizio, che dorme nella stanza accanto; se, dopo aver visitato la regina, Luigi vuole condividere altri letti, cosa che fa spesso e volentieri, deve svegliare con il cordone il Primo Cameriere, questi la guardia, che a sua volta chiama il Primo Gentiluomo, che scorterà poi il Re. È assoluta la mancanza di privacy. Alle otto di mattina, nella camera dove il monarca prende le decisioni cruciali, a volte anche mentre si trova nel gabinetto – un sostantivo che abbiamo ereditato in ambito politico, – è il momento delle Grandes Entrées : mentre il Re è ancora in camicia e berretto da notte entrano il Gran Ciambelliere, il Gran Scudiero, i maestri del Guardaroba… Ha così inizio il lunghissimo rito della vestizione, che comprende, verso le otto e mezzo, le Secondes Entrées : Camerieri-barbieri, Camerieri-tappezzieri, Medici, Segretari, addetti al guardaroba, principi del sangue e gentiluomini : una folla, che assisterà al pasto regale. Perché Luigi mangia di fronte al pubblico, come a teatro ; ed è un pranzo spettacolare, che egli divora usando le mani e senza masticare : capponi, pernici, piccioncini da voliera, piccioni in torta, tacchini, bue, pollame, vitello, tordi, marmellate, frutta… L’Antico Regime del re taumaturgo (certi giorni dell’anno Luigi toccava gli scrofolosi), in cui Luigi poteva dire di se stesso: «Lui solo riceve ogni rispetto ; lui solo è oggetto di tutte le speranze».
– 23/12/2002
Vita quotidiana di un sovrano
Il saggio su Luigi XIV di Philippe Beaussant
Vita quotidiana di un sovrano
Carlo Carlino
«L a vita di un re è di una simmetria perfetta», annota il romanziere e musicologo Philippe Beaussant alla fine del suo affascinante saggio «Anche il re sorte al mattino. Una giornata di Luigi XIV», appena edito da Fazi nella puntuale traduzione di Laura Pugno (pp. 206, euro 16,50). Un saggio che, come scrive Giuliano Ferrara nella prefazione, implica «almeno un doppio registro di lettura». Perché il Re Sole incarna fondamentalmente una concezione dello Stato «in cui pubblico e privato sono indistinguibili». Il Re è attore e regista di se stesso. Allora è facile trovare analogie con l’attuale capo del governo che oggi in Italia incarna il nuovo potere. Un registro allegorico che sarebbe davvero «dilettevole», come dice Ferrara, «se però non presentasse ben altre e più sottili e perverse implicazioni e tentazioni oltre la mera indistinguibilità tra privato e pubblico». Ma il libro di Beaussant è soprattutto un saggio storico, di sociologia, di antropologia, un saggio sul potere suscettibile più facilmente di un pettegolezzo che di rigore storico. Invece non è così, perché l’autore nel suo racconto di una giornata tipo di Luigi XIV, dal «Petit Lever» al «Grand Cocher», riportando ogni movimento, fatto, gesto, personaggio, rituale, amore, divertimento, e analizzando le fonti del tempo ricostruisce il profondo e indissolubile legame tra la persona e il potere che essa incarna. Per tutto il corso della giornata, Luigi, Dieudonné, ha recitato Luigi XIV, il Re Sole. «Ha l’atteggiamento di un re di teatro», commentò irriverente l’ambasciatore veneziano Primo Visconti, sottolineando inconsciamente la «solitudine» del sovrano di cui ogni gesto, ogni movimento, è esposto a tutti, alla folla, dal mattino, quando il sipario si apre, alla sera e persino durante la notte, quando il suo sonno non è mai solo: il cordone accanto al letto regale è legato al polso del Primo cameriere che dorme su una branda da campo in un angolo della stanza. Il racconto, di grande eleganza, inizia quando il Primo gentiluomo apre la cortina del letto regale a pochi privilegiati, membri della famiglia o ministri. Poi entrano gli alti cortigiani, e il Primo cameriere asperge le mani del sovrano con qualche goccia d’alcool, mentre il Gran ciambellano gli offre l’acquasantiera con l’acqua benedetta in cui il re bagnerà le dita per farsi il segno della croce. Intanto, gli si porge la «seggetta» e il re, con le brache calate, chiama camerieri, medici, barbieri, fa i propri bisogni, in pubblico, naturalmente, e poi indossa la prima parrucca, consuma la prima colazione, si prepara alla vestizione, riceve dignitari, organizza la battuta di caccia, in una scansione rituale dove ogni gesto assume un valore simbolico, e ogni movimento è seguito, spiato da occhi attenti ma anche indiscreti, in atmosfere tra Marivaux e Molière, quel Molière già famoso drammaturgo, che attinge a piene mani ai vizi della fastosa Corte, e che ha il compito di rifare ogni mattina il letto regale. Con la stessa particolare cura, Beaussant ripercorre il resto della giornata, scandito sempre da precisi rituali, dalla colazione consumata da solo davanti a tutti, agli amori, ai giochi, agli intrattenimenti, agli impegni di Corte, al disbrigo degli affari, fino alla cena, pantagruelica, che il re consuma con la regina e la famiglia in uno straordinario meccanismo perfettamente oleato in cui la solitudine regale scompare sacrificata al simulacro del potere, proprio perché quel potere terreno di origine divina si basa sull’indistinguibilità tra privato e pubblico. E come un trattato di antropologia si può leggere anche il volume di Honoré de Balzac, che comprende due testi ricchi di fascino pur se profondamente diversi tra loro, il «Viaggio da Parigi a Giava» e il «Trattato degli eccitanti moderni» pubblicato dalla Ibis (pp 122, euro 8) curato da Graziella Martina. Il primo è un racconto di un Oriente immaginario, di un’isola, Giava, che Balzac non visitò mai, che ricrea «di sogno in sogno» il fascino di una terra lontana immersa nella sua suggestione esotica in cui lo scrittore appare come «prigioniero di una specie di nostalgia» sulla scorta di quell’esotismo che tra Sette e Ottocento conquistò l’Europa. Una proiezione di sé in un orizzonte lontano, un tentativo di straneamento, narrato con tono favolistico, tra immagini ricche di fascino e di suggestioni, tra paesaggi incantati e vergini e animali straordinari, quasi dal comportamento umano. Un «paese della voluttà» contrapposto alle rigide regole dell’inferno della nostra civilizzazione, «dove si ha vergogna di un piacere, di una passione», a cui il libertino Balzac si abbandona alla ricerca della libertà e di quei sogni proibiti che la Francia borghese gli nega. Del resto il provinciale e un po’ dandy Balzac era solito concedersi a queste «provocazioni», come fece nelle diverse «meditazioni» delle Physiologies, come le chiamava, quasi a dare a esse una parvenza di pagine filosofiche alla Cartesio, e nelle «Pathologies». E il «Trattato degli eccitanti moderni» è proprio un trattato che si occupa di una degenerazione patologica della società, vale a dire dell’attacco sferrato dall’alcool e dal tabacco alle forze vitali dei popoli. Una degenerazione che è conseguenza inevitabile della società, raccontata da uno scrittore che morì a soli 51 anni per ipertrofia cardiaca provocata da eccesso di consumo di caffè, il «nettare mortale» che ha infiammato la sua fantasia, e dove chiari sono i diversi riferimenti autobiografici.
– 08/12/2002
Il Re Sole sorge per tutti
Per sopportare le cerimonie del natale, non c’è niente di meglio che perdersi in quelle fantasmagoriche della corte di Francia nel XVII secolo. Le racconta Philippe Beaussant in un affascinante saggio, Anche il re Sole sorge al mattino. Una giornata di Lugi XIV (Fazi Editore, pagg. 206, Euro 16,50). Lo straordinario meccanismo mutuato dal cerimoniale di Bisanzio, che regola le giornate di Versailles, ha il suo motore segreto, spiega Beaussant, nel conflitto interiore tra la timidezza e l’orgoglio del monarca. Anche nel sonno Luigi XIV non è mai solo. Il cordone che pende vicino al letto di sua maestà è legato al polso del primo cameriere sempre pronto a scattare dalla branda in un angolo della stanza. Dopo il bacio della balia, con cui inizia la giornata, il sipario si leva su una rappresentazione ininterrotta. “Ha l’atteggiamento di un re da teatro” osserva irriverente l’ambasciatore di Venezia.
quando il primo gentiluomo ha aperto la cortina del letto regale, pochi privilegiati, membri della famiglia o ministri in carica, possono entrare. Poco dopo tocca a una schiera di cortigiani, dal gran maestro de guardaroba al grande Scudiero. Il primo cameriere asperge le mani del re con qualche goccia d’alcool, mentre il gran ciambellano gli presenta l’acquasantiera in cui il re bagnerà le dita per farsi il segno della croce, mentre nella camera attigua il gran cappellano – qui è tutto grande – recita a bassa voce la messa; Intanto il berretto da notte viene sostituito da una corta parrucca alla “brigadiera”. Non è ancora quella rutilante con cui sua Maestà comparirà alla corte: il re è appena in vestaglia. Ogni suo movimento, ogni cenno è seguito da una serie di occhi discreti e attenti. Eppure; come rileva Giuliano Ferrara nell’introduzione, Luigi XIV è solo, anche se la sua solitudine “è assolutamente speciale, perché esposta al pubblico, anzi alla follia, dal mattino alla sera e durante la notte.
– 23/11/2002
Ventiquattro ore da Re, fra le “petit lever” e il “grand coucher”
Ha ragione Giuliano Ferrara, nella presentazione a “Le Roi Soleil se lève aussi” del romanziere-musicologo Philippe Beaussant, in uscita da Fazi, a ricordarci che i “libri interessanti implicano almeno un doppio registro di lettura”. E questo è il caso. Un caso abbastanza raro quando l’argomento sia, come nel lavoro dello scrittore francese, la descrizione della giornata-tipo di un grande quale fu il sovrano francese: un tema suscettibile più facilmente di pettegolezzo che di rigore storico; costellato di abitudini, umori, contaminazioni per lo meno desueti; evocazione di un mondo all’apparenza lontano, dove il peso di una potenza che incise profondamente sull’Europa preilluminista poteva facilmente scadere nella noia o nel folklore sia pure di classe. Fugando completamente sin dalle prime righe questi timori, Beaussant ci conduce a vivere le 24 ore che separano le “Petit Lever” dal “Grand Coucher” del Re riportando ogni movimento, fatto, personaggio, amori, ecc. al legame persona-funzione, ovvero sul potere come fascinazione e sortilegio.
Il racconto di grande eleganza è naturalmente molto piacevole proprio perché a partire dall’alba, quando la prima persona a vedere Sua Maestà che dorme unito al suo primo cameriere con un cordone legato al polso “è una donna, né regina, né regina madre, ma la nutrice… la quale va a dargli un bacio mentre è ancora a letto”, (parola di Saint Simon), la giornata che l’autore costruisce è uno spaccato di quel mondo nel quale il sovrano vive perennemente in pubblico la sua solitudine, tra vestizione, seggetta, Grand Lever, (quando “in vestaglia con le brache appena sollevate sulle cosce fa chiamare ‘camerieri-barbieri’, ‘camerieri del guardaroba’, medici, segretari di gabinetto”), sino a notte inoltrata. Una simmetria perfetta per questo “re a teatro”, come dicono di lui gli ambasciatori veneti, le cui ore si snodano in atmosfere tra Marivaux e Molière, quel Molière che, già famoso drammaturgo, ha il compito ufficiale di rifare il letto reale ogni mattina e che, come si sa, attinge ai vizi della corte di Luigi, per gli immortali protagonisti delle sue commedie. Un re che ha fatto propri due poli di comportamento: il segreto e il “colpo di scena”, cui l’origine divina del potere terreno concede l’indistinguibilità tra pubblico e privato. L’unto del Signore permette a Ferrara qualcosa che è di più di un’allusione al presente, feroce?, su quella che è la nostra “figura atipica di un nuovo potere, disprezzato e temuto e adulto in giro per l’Europa, che si specchia parodisticamente, e con autoironia, nel simulacro di ogni potere, nel Gran Siècle e nel suo Roi Soleil. Il governo non si separa dal patrimonio, lo stato dalla persona”.