Richard Heinberg

La festa è finita

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La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell'energia

Collana:
Numero collana:
83
Pagine:
320
Codice ISBN:
9788881125128
Prezzo cartaceo:
€ 19,00
Data pubblicazione:
25-06-2004

Traduzione di Nazzareno Mataldi
Prefazione dell’autore all’edizione italiana
Prefazione all’edizione italiana di Alfonso Pecoraro Scanio

Le dinamiche della produzione e del commercio del petrolio, le energie alternative, i possibili “panorami energetici” nei quali ci troveremo nei prossimi decenni. La produzione mondiale di petrolio raggiungerà un picco nei prossimi anni, poi a partire da non oltre il 2010-2014 (ma secondo alcuni studiosi già dal 2005-2006) decadrà inevitabilmente, con conseguenze epocali per l’economia dei paesi occidentali e del mondo intero. Su questo fatto, descritto dalle ultime revisioni della curva di Hubbert (lo stesso strumento matematico che previde con vent’anni d’anticipo il picco della produzione di petrolio statunitense per il 1970) e colpevolmente trascurato dall’informazione di massa, concordano oggi la gran parte degli studiosi. Non solo: anche il ricorso a energie alternative non potrà consentire alle società industriali di mantenere il loro attuale livello di produzione e di consumi. La festa è finita del californiano Richard Heinberg tratta del nostro futuro con realismo, dipingendo il ruolo che la corsa al petrolio ha avuto nella storia dell’industrializzazione occidentale, prefigurando scenari di guerra per le risorse in Medio Oriente, Asia Centrale e Sud America e tracciando una strategia globale da assumere di fronte alla crisi. Il mondo si troverà a dover gestire una transizione a una produzione meno frenetica, sostenibile e fondata soprattutto su risorse alternative: capitale sarà allora il ruolo degli Stati Uniti, il maggior consumatore di energia e la maggior potenza militare del mondo, che dovrà accettare di coordinare la propria azione con quella della comunità internazionale. In assenza di questa disponibilità, l’umanità rischia di vivere un regresso profondo verso nuovi secoli bui. Il libro di Heinberg non è solo, però, un grido d’allarme, ma è ricco di indicazioni positive a vari livelli. La comunità internazionale, le comunità locali, gli individui, ciascuno può e deve fin da oggi compiere passi concreti per affrontare al meglio la “fine della festa”: questo libro spiega quali, con ammirevole onestà e chiarezza.

LA FESTA È FINITA – RECENSIONI

 

Michele Marolla, LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
– 25/08/2004

 

Sgorga a fiumi? Il petrolio è agli sgoccioli

 

 

 

Francesco Mannoni, SECOLO D’ITALIA
– 07/11/2004

 

L’oro nero è agli sgoccioli?

 

 

 

Domenico Quirico, TTL – LA STAMPA
– 16/10/2004

 

Il petrolio è una benedizione ma ha un cuore di tenebra

 

 

 

Riccardo Staglianò, LA REPUBBLICA
– 16/11/2007

 

Dal petrolio all’acqua la vita è agli sgoccioli

 

 

 

Emilio Gerelli, IL SOLE 24 ORE
– 29/08/2004

 

Petrolio, siamo nelle curve, ma quali?

 

 

 

Riccardo Varvelli, LA STAMPA
– 04/01/2005

 

Il petrolio non è finito

 

 

 

Richard Heinberg, X
– 01/07/2004

 

Siamo tutti neoprimitivi

 

 

 

INTERNAZIONALE
– 28/01/2005

 

In libreria

 

 

 

Corrado Augias, IL VENERDÌ DI REPUBBLICA
– 27/08/2004

 

La festa è finita

 

 

 

ECONOMY
– 29/07/2004

 

L’impresa vista sotto la lente

 

 

 

LIBERAZIONE
– 13/07/2004

 

L’oro nero è finito

 

 

 

Cristina Spada, AAM TERRANUOVA
– 01/06/2008

 

Le prime città post-petrolio

 

 

 

Barbara Spinelli, LA STAMPA
– 16/12/2007

 

La festa è finita

 

 

 

Massimiliano Panarari, RESET
– 01/03/2005

 

UN LIBRO SULLA CRISI ENERGETICA DIETRO L’ANGOLO

 

La “questione energetica” sta diventando sempre più uno dei temi caldi del dibattito, ed è al centro di svariati libri usciti di recente che mostrano come la crisi finale sia in agguato dietro l’angolo. Uno degli ultimi volumi in materia si intitola La festa è finita. La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell’energia (Fazi editore, pp. 278, euro 18,50; con prefazione del leader verde Alfonso Pecoraro Scanio), è stato scritto dallo studioso Richard Heinberg, ed è dotato di una copertina alquanto azzeccata (realizzata dall’art director Maurizio Ceccato), che rende bene i contenuti del volume. In essa troviamo un individuo giovane ed elegante – quel tipo di uomini, si direbbe, che di professione fanno i broker di Borsa e che arricchiscono fortemente se stessi (e smisuratamente coloro per cui lavorano) maneggiando e gestendo, tra gli altri, proprio i future sul petrolio – che ha allentato il nodo della cravatta, come accade alla vigilia di un gesto tragico e fatale. L’uomo, infatti, è pronto a premere il grilletto – solo che alla tempia non si è puntato una Magnum o una Beretta, bensì… una “pistola” da pompa di benzina.
Tale copertina costituisce un’allegoria piuttosto esplicita di dove ci sta portando l’attuale, esasperato, modello di sviluppo, disperatamente a caccia di risorse ed energia per alimentare gli elevatissimi standard di consumo del mondo occidentale, e specialmente di una sua parte (gli Stati Uniti). Si tratta di un libro affascinante, a tratti sorprendente nella sua ricchezza di notizie, e decisamente di sinistra, come diremmo in termini europei, o radical nell’accezione americana, le cui previsioni e risultano drammaticamente d’attualità con il secondo mandato di George W. Bush. Una presidenza che si annuncia persino più conservatrice e reazionaria, e piena di intenzioni bellicose, dell’esecutivo precedente, dal momento che rappresenta, come il libro denuncia e testimonia a più riprese, quello che, per riprendere una terminologia marxiana, si potrebbe definire il “comitato d’affari” dell’Old economy e dell’industria petrolifera (basti pensare al caso Enron, l’impresa-“scatola vuota” di intermediazioni e ricerca di fonti energetiche, tra le principali finanziatrici del Partito repubblicano nella sua attuale versione neoconservatrice, e il cui boss Kenneth Lay era annoverato da Bush junior tra i propri amici personali).
Heinberg, esperto di questioni energetiche e docente presso il New College of California di Santa Rosa, ci presenta un ritratto allarmante della direzione di marcia del pianeta, non profetizzando, banalmente, un “Medioevo prossimo venturo”, ma mostrando, attraverso un’accurata messe di dati e documenti, che la situazione si rivela oggi davvero seria e preoccupante. Il tema dell’esaurimento delle scorte di petrolio e dell’esagerato consumo energetico costituisce, sin dagli albori del movimento ecologista, un terreno di acceso scontro tra catastrofisti e ottimisti, a loro volta suddivisi in varie famiglie al proprio interno. Ma la cosa che colpisce è come l’allarme lanciato dall’autore di questo volume risulti suffragato da una mole rara – e da un approccio riconducibile, per la serietà del lavoro, all’ambientalismo scientifico introdotto da Barry Commoner – di evidenze, ricerche e studi che smentiscono la filosofia del “tutto va bene” sparsa a piene mani e irresponsabilmente dalle compagnie petrolifere e da numerosi governi. Heinberg, dunque, con atteggiamento indiscutibilmente scientifico (ma non scientista, naturalmente, essendo egli un esponente intelligente di quella ricerca spirituale, tipicamente californiana, che assume i tratti della new age più seria), delinea e commenta la parabola evolutiva (o, per meglio dire, involutiva) della produzione mondiale di petrolio, destinata a raggiungere il picco negli anni a venire, per declinare poi vigorosamente a partire dal quinquennio 2010-2014 (secondo le voci maggiormente preoccupate, addirittura dall’assai prossimo biennio 2005-2006).
Il libro ripercorre la storia dell’energia, evidenziando la sua straordinaria centralità per l’economia e, partendo dalle società primitive e proto-antiche sino al neoliberismo odierno, descrive l’influenza determinante esercitata dalle esigenze di approvvigionamento e rifornimento energetico sulla nostra esistenza. Dal passaggio dalle società nomadi a quelle sedentarie fino alla crisi energetica della California, passando la “rivoluzione del carbone”, per il darwinismo sociale dell’età del capitalismo americano dei “baroni ladroni” (uno dei passaggi essenziali della contemporaneità) e per la stagione del “miracolo petrolifero”, la lettura energetica della storia si rivela di grande suggestione e, last but not least, realismo e verosimiglianza, regalandoci molti elementi in più per decifrare le dinamiche del mondo attuale e la geopolitica che lo domina.
La festa del “grande banchetto energetico”, come ci ricorda Heinberg, è alla vigilia della chiusura definitiva, e dopo non ve ne saranno altre. Malauguratamente, le forze che la dirigono (le stesse che egemonizzano i processi di mondializzazione) possiedono una mentalità meramente predatoria, non manifestano alcuna preoccupazione per il futuro e risultano soverchianti. Ma la speranza non deve mai morire; e, infatti, l’autore dopo aver passato in rassegna le fonti energetiche di natura non petrolifera o fossile (alcune delle quali potrebbero, se adeguatamente promosse e incentivate, costituire una seria alternativa), ci invita a modificare il nostro stile di vita, e domanda a tutti di tornare a fare politica, quella fondamentale modalità dell’agire umano che definisce, in modo molto nordamericano, “attivismo”. La dipendenza dal petrolio rappresenta l’ultima versione – e quella attualmente più eclatante – dello sfruttamento del più forte ai danni dei deboli; se non vogliamo che qualcuno spenga la luce (sul destino dell’umanità futura), dobbiamo rimboccarci le maniche e tornare a far sentire la nostra voce, dice in sostanza Heinberg, accettando e interiorizzando – una soluzione, al tempo stesso, così semplice e difficile… – una filosofia esistenziale finalmente più sobria. Siamo ancora in tempo? Speriamo di sì, per l’appunto…

 

 

Francesco Mannoni, LA PROVINCIA DI COMO
– 30/08/2004

 

PETROLIO, oggi oro domani un ricordo

 

Richard Heinberg ne prevede l’esaurimento nel suo «La festa è finita»

Fu un ministro francese durante la prima guerra mondiale, a sostenere che «Una goccia di petrolio vale una goccia di sangue». Una realtà che allora, quando l’industria petrolifera era appena agli inizi poteva sembrare esagerata, ma oggi che le tensioni internazionali spingono il prezzo del petrolio sempre più in alto, facendo prevedere un collasso economico di portate difficilmente valutabili, si rivela tristemente profetica e d’estrema attualità. Secondo diversi opinionisti, la stessa guerra all’Iraq è un conflitto per la protezione delle fonti energetiche; o meglio, come sostengono ambientalisti e nemici giurati dell’America e delle sue azioni militari, un impossessarsi delle ultime risorse della terra. Studi accreditati, infatti, hanno rivelato che l’oro nero non è una fonte d’energia inesauribile. Stime degne di credito ritengono che verso il 2020 potrebbe verificarsi l’esaurimento dei pozzi petroliferi e d’altri combustibili fossili che assicurano al mondo un benessere nato in modo impetuoso, e che richiede sempre maggiori quantità d’energia per mantenersi. Una specie di mostro che si mangia la coda perché, a meno che non siano scoperti nuovi pozzi di petrolio (cosa del tutto improbabile in una terra che a causa dei continui sondaggi ha più buchi di una forma di groviera), nel mondo che ha finito per dipendere dall’energia a basso costo basata sul petrolio, il motore fondamentale della prosperità e della crescita economica, dovremo prendere atto che La festa è finita. Così Richard Heinberg, docente al new College della California e studioso di problematiche energetiche, ha intitolato il suo saggio e, anche se non si abbandona a quadri apocalittici della situazione, ne lascia chiaramente intravedere gli enormi stravolgimenti. La scomparsa del petrolio, le nuove guerre per l’approvvigionamento d’energia, si traducono in un’analisi circostanziata della situazione, vista in tutti gli aspetti più deleteri e catastrofici di un sistema come quello del mondo attuale privo di combustibili. Il saggio, si avvale di una prefazione di Alfonso Pecoraio Scanio il quale evidenzia i segnali d’allarme sugli squilibri – sociali ambientali «determinati da un miope ed egoistico sfruttamento delle risorse naturali; miope perché incapace di vedere che le risorse non sono infinite», e perché solo una parte della popolazione mondiale può permettersi il lusso di un livello di consumi così elevato. Ciò ha creato quelle differenze socio politiche che sono alla base dello scontento universale e che stanno avviando il mondo, a detta di molti osservatori, verso un pericoloso baratro. Non dobbiamo dimenticare che il Giappone entrò nella seconda guerra mondiale per controllare il petrolio indonesiano, mentre Hitler doveva assolutamente raggiungere e conquistare Baku, sul Mar Caspio, per poter avere tutto il petrolio necessario alla sua macchina bellica. La storia, sotto questo profilo è ripetitiva, perché l’invasione del Kuwait, fu determinata dal fatto che lo stato arabico stava producendo petrolio oltre le quote stabilite dall’Opec e ciò abbassava il prezzo del greggio e riduceva di parecchio le entrate dell’Iraq. Da questi esempi è chiaro che al petrolio sono legati interessi vitali per tutte le nazioni, capaci di scatenare guerre, di schierare forze spionistiche in ogni angolo della terra, di dare vita ad un’incessante guerra di poteri forti. L’idea che la produzione petrolifera mondiale sia vicina al massimo storico, ha riacceso competizioni sempre più agguerrite. E così il prezzo del petrolio aumenta in modo spropositato anche perché la domanda è in crescita. Responsabili in parte dell’attuale situazione di mercato la Cina e l’India che hanno aumentato le importazioni petrolifere del trenta per cento l’anno. Da tempo la Cina ha superato il Giappone, diventando il secondo maggiore importatore di petrolio al mondo. E anche in Cina, nonostante sopravvivano alcune rigide concezioni anticapitaliste, si fa di tutto per incrementare i consumi. A Shanghai, ad esempio, hanno vietato le biciclette nelle maggior parte delle strade principali a favore delle automobili. Secondo Heinberg che compie accurate indagini anche su fonti di energie alternative, valutando se le stesse possono sostituire il petrolio senza troppi traumi, il mondo sta prendendo coscienza del pericolo che corre. Tutti ormai dovrebbero aver capito che la civiltà industriale si è basata finora sul consumo di risorse energetiche limitate. Sulle poche risorse disponibili, potrebbe scatenarsi una competizione sanguinaria con drammatici eventi economici e geopolitici: «Alla fine potrebbe essere impossibile anche solamente per un unico paese sostenere l’industrialismo per come lo abbiamo conosciuto durante il XX Secolo». In cinque punti che sono: la dipendenza assoluta delle moderne società dal petrolio; la vulnerabilità delle società industriali di fronte ad una crisi energetica; l’inevitabilità dell’esaurimento dei combustibili fossili; il ruolo del petrolio nella politica estera e la necessità di affrontare seriamente il picco della produzione petrolifera, Heinberg sintetizza l’attuale situazione mondiale con attente valutazioni che danno appieno la misura del problema. Il premio Nobel per l’economia Robert Solov ha detto che il mondo potrebbe anche cavarsela senza risorse naturali, e che la crisi attuale è provocata dalle ” imperfezioni del mercato “; ma un gruppo di geologi petroliferi ribatte che il petrolio finirà, che non ci sono al momento alternative disponibili di pronto impiego, e per le società industriali che ormai prosperano da più di centocinquanta anni con i combustibili fossili, la data critica in cui la domanda globale di petrolio supererà la produzione mondiale, cadrà presumibilmente attorno al 2010, in modo così improvviso anche a causa d’eventi politici imprevedibili. Una conclusione sconcertante, anche perché «il 2010 è una data che ricade entro l’esistenza della maggior parte delle persone oggi in vita. Questa prevedibile crisi energetica colpirà chiunque sulla Terra». La rivoluzione industriale, paragonabile alla rivoluzione agricola di diecimila anni fa, rischia di essere compromessa irrimediabilmente. Rimedi? Tanti, ma al momento tutti avvolti dall’imprecisione teorica che determina il vuoto effettivo delle cose. Gli occidentali che devono affrontare una crisi energetica difficilmente rinviabile, forse faranno meglio a meditare su questo semplice ma significativo detto saudita: «Mio padre cavalcava un cammello. Io guido un’auto. Mio figlio pilota un aereo a reazione. Suo figlio cavalcherà un cammello»

 

Elena Molinari, AVVENIRE
– 30/06/2004

 

Il futuro? Sarà buio e povero

 

La produzione di petrolio calerà drasticamente dal 2010 e occorre puntare sulle energie alternative: parla Richard Heinberg

Da New York Elena Molinari

Un mondo dilaniato dalle guerre, oscurato da frequenti blackout, con pochi aerei nei cieli e rare automobili sulla strade. Benvenuti sul pianeta Terra, 2020 d.C. La festa del benessere e della ricchezza illimitata è finita, e perché così pochi in Occidente abbiano avuto il coraggio di dirlo è una costante fonte di perplessità per Richard Heinberg, studioso di problemi energetici del New College of California di Santa Rosa. «La produzione mondiale di petrolio comincerà a ridursi drasticamente già verso il 2010 – spiega il professore californiano, il cui quinto libro La festa è finita. La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell’energia uscirà venerdì in Italia da Fazi (pagine 276, euro 18,50) -. Le società industrializzate allora si accorgeranno che le comodità che danno per scontate non hanno futuro».
Professor Heinberg, non c’è alternativa a questo scenario apocalittico?
«Il prosciugamento delle risorse petrolifere è inevitabile, e le conseguenze saranno radicali, perché dipendiamo dal petrolio per tutti i nostri bisogni fondamentali, dalla produzione e trasporto di cibo all’estrazione dell’acqua dal terreno. Ma il modo in cui ci prepariamo a questa realtà è nelle nostre mani. La scelta è fra ucciderci a vicenda per l’ultima goccia di greggio o vivere con le risorse che abbiamo».
Vale a dire fonti di energia alternative?
«Certo, ma senza dimenticarci che nessuna risorsa alternativa sarà in grado, non almeno nel giro di 20, 30 anni, di rimpiazzare interamente il petrolio. Dobbiamo imparare a vivere con metà dell’energia che usiamo oggi».
Faccia qualche esempio pratico…
«Automobili più piccole, più lente e più efficienti, meno trasporti internazionali, meno elettrodomestici e illuminazione notturna, una produzione industriale ridotta e più localizzata».
Sta descrivendo la fine della globalizzazione?
«Assolutamente sì. La globalizzazione è destinata a morire molto presto e non per cause politiche ma per motivi geologici».
Nel libro lei parla della necessità di abbandonare l’idea che un’economia sana deve necessariamente crescere. Ma questo è il presupposto dell’economia di mercato e del consumo…
«Un presupposto che va ripensato. I consumi devono ridursi e le comunità locali devono diventare più autosufficienti e meno dipendenti da importazioni ed esportazioni».
Auspica un’economia di sussistenza?
«Un’economia più lenta, meno concentrata sulla crescita e sui consumi. Da sempre ci sentiamo dire che comprare e poi buttare via produce ricchezza, ma non è vero, e lo sarà sempre meno».
Pensa che i governi occidentali siano consapevoli di questo futuro?
«Molti all’interno dell’amministrazione americana lo sono, ma la soluzione che hanno adottato è competere per le risorse rimaste: un piano miope, oltre che rischioso».
Ma quale capo di governo dirà mai ai suoi elettori di spegnere i condizionatori d’aria e di lasciare la macchina in garage?
«Eppure non avranno scelta non appena cominceranno i blackout e il prezzo della benzina andrà alle stelle, cosa che mi aspetto di vedere nel giro di due o tre anni. A quel punto tutto comincerà a succedere alla svelta: recessioni profonde e persino il collasso economico. Ma gli americani non sono stupidi. Se si spiega loro che la loro stessa sopravvivenza è in pericolo, si adatteranno gradualmente a un diverso stile di vita. Prima glielo si dice, meglio è. Quando i problemi cominceranno sarà troppo tardi. I politici a quel punto cercheranno dei capri espiatori, e probabilmente li troveranno in Medio Oriente. Abbiamo bisogno di leader coraggiosi che se necessario sappiano imporre il razionamento delle risorse e una ristrutturazione forzata del sistema economico».
Jeremy Rifkin vede una soluzione nella “economia dell’idrogeno”. Non ci crede?
«No, perché l’idrogeno non è una fonte, ma un contenitore di energia, che va poi estratta usando altra energ ia. Verrà usato per alcuni casi, ma non è la soluzione».
Nel futuro che descrive i Paesi ricchi probabilmente non saranno più ricchi: non crede sia utopico aspettarsi che Usa, Giappone ed Europa rinunciano alla loro posizione di potere?
«Eppure è inevitabile. Così come India e Cina devono pensare ora a forme di sviluppo alternativo che non replichino il modello di consumo occidentale».
Secondo lei se ci prepariamo a questo nuovo e spartano stile di vita potremmo persino trovarlo piacevole?
«Ne sono convinto. Guerre e povertà sono evitabili se non ci lasciamo piombare il futuro addosso. Se prendiamo adesso le misure necessarie avremo una società più equa, con comunità più piccole e in genere una vita più soddisfacente. Nulla di strutturale ci impedisce di arrivare a questo risultato. La mia paura è che non succederà per mancanza d’informazione o perché i leader mondiali non vorranno prendere decisioni impopolari».

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