Massimiliano Smeriglio
Per quieto vivere
4 giugno 1944. Una donna si getta dal decimo piano di un caseggiato popolare per sfuggire al linciaggio della folla. È la portiera del palazzo che, fedele al regime fascista, con le sue denunce ha provocato la condanna a morte di alcuni giovani partigiani. Settant’anni dopo, il nipote, un uomo superficiale e indolente che ha ereditato il ruolo di portiere nel medesimo stabile, è all’ossessiva ricerca dei responsabili del suicidio della nonna. Sotto il suo sguardo morboso si dipanano le vite dei condomini: un giornalista colpito da una malattia degenerativa accudito amorevolmente dal figlio; un’anziana donna, considerata matta, che cela nella sua follia un terribile passato; un uomo che è al contempo spacciatore pregiudicato e padre premuroso; una bambina enigmatica e solitaria; un padre in fin di vita e un ragazzo addolorato dall’indifferenza che sente per la sorte del genitore. Il portiere osserva e si nutre dei tormenti di questa umanità disgregata, ma quello che prova non è che sprezzante distacco: nel suo cuore c’è posto solo per il rancore.
L’autore, con grande abilità mimetica e introspettiva, tratteggia una galleria di personaggi tormentati dalla propria storia, la cui lotta per trovare requie sembra imprescindibilmente legata al distacco e al disincanto.
Un romanzo sulle trame del passato e i nodi del presente: Per quieto vivere, una storia in cui nessuno è in pace.
«Non so chi mi abbia insegnato a camminare, so per certo che a pedalare, a cadere, a ricominciare, ho imparato da solo. Come tutte le cose importanti della vita. Tranne il nodo alla cravatta che non ho mai voluto imparare. Un rito che spetterebbe ai padri. Così, quelle due o tre cravatte che non metto quasi mai le tengo con il nodo già fatto nell’armadio, impiccate a una stampella, tanto per ricordarmi ogni santo giorno che ci sono ferite che non si chiudono e nodi che non si sciolgono».