Andrea Zanzotto racconta la poesia di Beppe Salvia

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In occasione della giornata mondiale della poesia, vi presentiamo un documento inedito, tratto dalla “Pagina Culturale” della Radio Della Svizzera Italiana del 16 giugno 1988, in cui Andrea Zanzotto si sofferma sul volume postumo di Beppe Salvia, Cuore, che ha per sottotitolo Cieli celesti.

 

È di straordinario interesse la collezione che si è inaugurata a Roma con l’editore Rotundo, perché ci presenta i migliori poeti giovani – veramente giovani anche per il salto qualitativo che fanno verso nuove forme – che hanno trovato il loro primo punto di incontro nelle riviste semi-clandestine “Braci” e “Prato pagano”, che si pubblicano a Roma.
Si è parlato di “scuola romana” di poesia: direi che questi autori ne rappresentino una frazione abbastanza inquietante e lontana da quella che era la classificazione della scuola romana, gravitante, mettiamo, intorno a nomi come Dario Bellezza o simili. Certo la ricchezza e l’intensità dell’esperienza in questi autori è innegabile ed anche la straordinaria profondità dell’impegno poetico.
Di Beppe Salvia bisogna dire che purtroppo ha scelto, scelto è una parola sciocca, si è tolto la vita insomma, a 31 anni. È stato un grande dolore per tutti quando si è saputo che era scomparso. In questo libricino viene data la sintesi della poesia di Beppe Salvia che si è fatta subito notare per una straordinaria limpidezza dello spalancarsi di una potenza e di un’unità lirica. Tutto resta preso come in un abbraccio di una sconcertante luce che da una parte sorregge e dall’altra però crea un inquietante sfondo di allontanamento.
II titolo data a questa sua raccolta, “Cuore”, è volutamente provocatorio, in un certo senso. Non so se sia stato dato dai redattori che hanno curato questa pubblicazione postuma, o se Salvia avesse già ordinato queste carte con un titolo simile.
Il fatto è che la sua poesia, che ha una luce di giovinezza e di alba e nello stesso tempo qualcosa appunto di terribilmente teso verso lontananze imprendibili, lascia una parola lacerata fra gli uomini e la volontà di riprendere contatto con il “cuore” del mondo. Un tema che si potrebbe dire romantico in fondo, ma non è così perché si potrebbe avvicinare la poesia di Salvia persino alle tormentate e oltranzistiche indicazioni dell’ermetismo di Calogero, il grande poeta scomparso parecchi anni fa, anch’egli in modo tragico.
C’è comunque nella poesia di Salvia una ricchezza anche di momenti veramente liberatori come in questa poesia:

Viva le lunghe ore della scuola
il banco celeste come il cielo
serviva a non guardare la lavagna.
Viva le povere ore di malinconia
viva quel tuo mugugno
viva la veste bianca e le bugie
viva la deserta 
tutta di occhi bioccoli
lanugine di giugno

Ma la parte realmente preponderante, che è quella con una forte tensione tragica, viene data in componimenti più lunghi che spesso hanno la caratteristica di sonetti o pseudo-sonetti, e poi hanno delle variazioni numerose interno agli stessi temi: una specie di ribuii, una specie di tumulto di variazioni.

La mia cultura è poca e la mente fioca
non ho conosciuto regole e leggi e nessuno
dell’ordine dell’universo m’ha insegnato
ad amare la sua natura grande
e umile. Ho offeso con la mia stupidità
la legge della vita, l’infinita innocenza
della sua crudeltà. Adesso ho un cuore
nobile ma la mia carne è pietra

Così, con poesie tutte di livello molto alto, di una piena consapevolezza del valore della parola lirica e direi al di là della lirica stessa sullo sfondo della tragicità, si caratterizza l’opera del compianto Beppe Salvia, sui quale certamente ci si augura che si debba puntare l’attenzione dei critici.

Andrea Zanzotto

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