Cacciatori e prede: «In un chiaro gelido mattino di gennaio all’inizio del ventunesimo secolo» di Roland Schimmelpfennig

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Schimmelpfennig

In occasione dell’uscita in libreria di In un chiaro, gelido mattino di gennaio all’inizio del ventunesimo secolo di Roland Schimmelpfennig, abbiamo tradotto la recensione del quotidiano Der Spiegel.

 

La prima frase è sempre un problema per chi deve scriverla. Le prime frasi sono un tormento, una pena, dozzine di versioni vengono scritte e scartate, ma a volte nascono così piccoli gioielli. Ad esempio questo: «In un chiaro, gelido mattino di gennaio all’inizio del ventunesimo secolo un lupo solitario attraversò poco dopo il sorgere del sole il fiume ghiacciato che separa la Germania dalla Polonia».

Inizia così il primo romanzo del drammaturgo Roland Schimmelpfennig, e l’editore è rimasto tanto incantato da questa frase da usarla come titolo del libro – non necessariamente una buona idea. Perché una buona prima frase può essere un titolo ingombrante. Ma nessuno dovrebbe trattenersi dal prendere in mano questo volume. È un ottimo libro, un romanzo su Berlino, e sul ritorno di una grande figura degli ultimi anni: il lupo.

Da lungo tempo è un animale amato dai narratori: in veste di antagonista di Cappuccetto rosso, di lupo mannaro, di pericolo del bosco o, come in Jack London, di eroe del romanzo. Da quando dall’est è rientrato in Germania, non è solo al centro della narrativa romanzesca, ma anche della cronaca. Ultimamente nessun altro animale ha fatto altrettanto parlare di sé nei notiziari. È davvero così pericoloso?

Il mito del lupo persiste e ora si espande anche nell’immaginario degli artisti tedeschi. La regista Nicolette Krebitz ha da poco stupito pubblico e giuria del Sundance Festival con il suo Wild. Nel film una donna trova un lupo così dolce che si abbandona a un’avventura erotica con l’animale. Schimmelpfennig risparmia al suo lupo (e ai suoi lettori) una simile intimità. Il lupo deve solo sopportare ciò che la sua specie è abituata ad avere dall’umanità: la caccia.

Il lupo entra in città dal quartiere berlinese di Marzahn, si dirige verso Prenzlauer Berg e giunge infine a Wedding. Viene avvistato qui e là, non si sa cosa voglia né cosa cerchi. Col tempo diventa sempre più magro. Nel frattempo a Berlino gira anche un fucile, passa di mano in mano fino a che non arriva in quelle di un uomo piuttosto esaltato dalla notizia del lupo nella capitale.

Ma questo non è il classico romanzo di caccia, come The Hunter di Julia Leigh, non narra il duello tra l’uomo e l’animale nella natura selvaggia. Il lupo è solo uno dei molti protagonisti del libro che si aggirano bramosi per Berlino intrecciando le loro vite. Gli altri sono umani che, perlopiù in coppia, si rendono vicendevolmente la vita complicata: il muratore polacco Tomasz e la donna delle pulizie Agnieszka, il cui amore si è raffreddato; l’edicolante Charly e Jacky, che a malapena si sopportano ancora; i giovani Elisabeth e Micha, scappati di casa, così come i loro genitori che vogliono ritrovarli.

Ci sono pensionati impoveriti che si riscaldano con le loro stesse feci, un bevitore che presto potrà solo strisciare, un’artista fallita che non sa più cosa inventarsi, e l’attraente proprietario di un bar che Elisabeth trova sexy e sul quale finirà per mettere le mani.

È la nota popolazione berlinese con l’aggiunta del lupo, che lega tutte queste storie, perché l’animale o il fucile prima o poi entrano nelle vite degli altri. Ma è anche una metafora dello smarrimento metropolitano, dell’irrequietezza, della ricerca, dell’essere cacciatore e preda. Nella versione di Schimmelpfennig, la vita del lupo diventa la vita prototipica di Berlino. Già nella prima frase è isolato, il “lupo solitario”: il tipico nevrotico di città. Naturalmente nel libro si ulula.

L’editore definisce il quarantottenne Schimmelpfennig il «drammaturgo contemporaneo più rappresentato in Germania». Le sue opere, come Der goldene Drache o Peggy Pickit sieht das Gesicht Gottes, sono andate in scena nei maggiori teatri, a volte anche con la sua regia. Ora percorre una strada già battuta da altri suoi colleghi. Prima o poi tutti i drammaturghi vogliono lasciare il teatro, come se fossero stanchi di dipendere da registi e attori, della gabbia del dialogo e desiderosi di provare finalmente le delizie della scena scritta.

Compiendo il salto nella narrativa, in genere i drammaturghi non esagerano in lunghezza: non redigono opere colossali, ma optano per una scrittura stringata e condensata, come Yasmina Reza, Dea Loher, Lukas Bärfuss o Botho Strauß. Anche Schimmelpfennig si inserisce in questa tradizione.

Con tagli netti avvicenda gli episodi in rapida sequenza e riduce scene e periodi all’essenziale. Il risultato è questo: «Quel pomeriggio Jacky trovò il fucile dietro il bancone. Rimase davanti alla parete piena di sigarette tenendo il fucile tra le mani, la canna rivolta verso il soffitto. Charly le dava le spalle, stava mettendo in ordine le riviste sullo scaffale, riviste di fotografia, di sport, casa, giardino, cucina, arte, caccia, tatuaggi, tutto.
«Charly, dove l’hai preso?».
«Cosa, Jacky?».
«Questo, dove l’hai preso? Qui, il fucile».

Non serve sapere che negli ultimi anni Schimmelpfennig ha vissuto a Cuba per farsi venire in mente Hemingway, che era cacciatore e che ha scritto il miglior romanzo di caccia di tutti i tempi. Al centro di Il vecchio e il mare c’è un pescatore che va a caccia di un grande pesce, finché un altro grande pesce non gli porta via la preda. Nelle frasi di Schimmelpfennig riecheggiano l’essenziale disperazione e l’irriducibile solitudine di Hemingway, senza però alcun vano tentativo di emulazione. Il bello e il singolare di questo romanzo è che la caccia al lupo si rivela un convincente ritratto della metropoli, città e natura selvaggia appaiono avvinte l’una all’altra. Dopotutto, non sono mai state troppo diverse.

Von Dirk Kurbjuweit

 

Traduzione di Nicola Vincenzoni

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