Celebrando Beethoven a 250 anni dalla nascita

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Beethoven

In occasione del 250° anniversario della nascita, ricordiamo il celebre compositore attraverso le parole di Saverio Simonelli, autore di Cercando Beethoven, il ritratto intimo e commovente di un uomo che ha cambiato per sempre la storia della musica.

 

Non è facile raccontare una figura titanica, vibrante e intensa in ogni azione, volubile, spiazzante, contraddittoria e sfuggente a ogni tipizzazione caratteriale come Beethoven, un uomo che ha raccontato se stesso molto di più attraverso il linguaggio dei suoni che nella vita e ha lasciato più indizi per decodificare la propria personalità nelle sue composizioni che nelle biografie di contemporanei ed epigoni.

I romanzi, diceva Novalis, nascono dalle insufficienze della storia, e allora io, molto più modestamente non ho pensato a integrare quelle insufficienze ma ho provato a far agire Beethoven nello specchio dello sguardo di chi certamente lo amava ma, per pudore, riserbo o timidezza, gli si è avvicinato poco a poco, eppure proprio grazie a questo atteggiamento ne ha colto la fragrante e inaspettata umanità.

Cercando Beethoven, quindi, è disseminato di episodi, incontri occasionali, sprazzi di umore, gentilezze e irritazioni del maestro, ma anche e soprattutto confessioni a cuore aperto, trasporti emotivi che proprio per il loro mostrarsi tra continue contraddizioni recano impressi l’impronta della verità.

Così, ad esempio, possiamo vedere Beethoven nei panni inconsueti di aiutante cuoco durante una crociera sul Reno, quando, nonostante quello che possiamo pensare, se la cavò talmente bene da meritarsi un diploma che poi conservò gelosamente in una scatola, sul cui coperchio c’era un sigillo fissato con alcuni filamenti della fune della nave dove aveva “prestato servizio”.

Gli allievi lo raccontano poi mentre fa lezione: “un momento si commuoveva – dice quasi vergognandosi uno di loro – subito dopo ti prende a pugni sulla schiena”.

Un aneddoto gustoso riguarda l’esecuzione di un quartetto di un altro compositore in cui Beethoven si trova al pianoforte. Il violoncellista a un certo punto si ferma e allora il maestro continuando a suonare si mette a cantare la parte del basso a mente e senza un errore. A chi gli fa notare l’eccezionalità della cosa si limita a rispondere: “Sciocchezze. La parte doveva essere per forza così a meno che l’autore non capisse nulla di composizione”.

La storia più divertente riguarda Ries, uno dei suoi allievi più dotati tanto da diventare in seguito un illustre compositore. Dopo aver ascoltato privatamente il maestro eseguire una nuova sonata, si reca dal conte Lichnowsky e gliene accenna alcuni passaggi al pianoforte. Quello la mattina dopo si reca da Beethoven dicendogli che vuole fargli ascoltare una sua nuova composizione. Nonostante la riluttanza del maestro che è anche di cattivo umore si mette al piano e suona alcune battute proprio di quella sua sonata. Beethoven allora va su tutte le furie lo caccia di casa.

Eppure era un uomo capace di gesti di delicata dolcezza, come quando si recava da amiche cadute in depressione per “curare la loro anima” con la musica. Poteva rimanere anche ore al pianoforte e suonare senza interrompersi. Come fece con la contessa Antoine Brentano, che aveva da poco perso il padre e abitava dalle parti del Prater in una abitazione museo dove teneva in bella vista tutte le collezioni accumulate negli anni dal genitore.

Ma l’episodio più toccante viene svelato nel finale del romanzo quando la dolce Queenia fa leggere a Wilhelm, l’io narrante, una missiva di un amico che riporta la corrispondenza tra Beethoven e certe suore Orsoline. Il maestro aveva concesso alcune delle sue musiche per un concerto di beneficenza per sostenere il convento delle religiose in tempi difficili. L’amico raccontava che Beethoven inizialmente si era offeso perché loro avevano accennato a un compenso. Era davvero indignato, per cui le suore per sdebitarsi gli avevano fatto pervenire una scatola con dei buonissimi dolcetti. Ed ecco la risposta di Beethoven, che basta e avanza per lasciar trapelare la ricchezza umana del Maestro:

La ringrazio per le buone cose che le reverende suore mi mandarono da gustare e la prego di dire loro tante cose gentili da parte mia. Del resto non c’è bisogno di tanti ringraziamenti. Io ringrazio Colui che mi ha messo in grado di poter essere utile qualche volta con la mia arte. Tosto che ella vorrà far uso delle mie piccolissime forze a beneficio delle reverende suore mi scriva liberamente, ma non vorrei ch’ella potesse attribuire questa mia volenterosità nell’aiutare le reverende suore a una certa ambizione o a un desiderio di gloria; mi offenderebbe assai. Che se le reverende madri vogliono tuttavia dimostrarmi in qualche modo la loro gratitudine, mi ricordino nelle loro devote preghiere e in quelle delle loro bambine.

 

Saverio Simonelli

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