Collins e «La donna in bianco»: così è nato il legal thriller

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Pubblichiamo l’articolo di Gianluca Modolo apparso su la Repubblica Sera il 4 maggio sul grande capolavoro di Wilkie Collins La donna in bianco.

 

Quando comparve per la prima volta, più di 150 anni fa, i lettori del All The Year Round non ebbero il tempo di godersi l’ultima puntata del Racconto di due città di Charles Dickens che subito si imbatterono nel primo di una serie di episodi di una nuova storia: un racconto che li tenne con il fiato sospeso per quasi un anno e di cui, all’inizio, non si conosceva il nome dell’autore.

Quell’autore, allora trentacinquenne, era Wilkie Collins. Quella storia era The Woman In White (La donna in bianco), pubblicata come romanzo d’appendice dal 26 novembre 1859 al 25 agosto 1860 proprio sulla rivista letteraria fondata e diretta da Dickens. Un romanzo considerato da critici e studiosi come il testo fondatore della “sensation fiction”, come la chiamano Oltremanica, e che ha consacrato Collins come il padre del poliziesco moderno, l’inventore del mistery inglese.

Un romanzo che non ha mai smesso di appassionare i lettori, nemmeno quelli moderni, divenendo una vera e propria opera di culto per gli appassionati del genere e che oggi viene ripubblicato in Italia da Fazi (pagine 688, euro 18,50), editore che già da qualche anno sta proponendo tutta l’opera dell’autore.

Un’occasione che ci permette di conoscere meglio uno dei più popolari scrittori dell’Inghilterra vittoriana, ex studente di giurisprudenza, amante della buona cucina e del vino, che divenne dipendente dall’oppio, scrisse una trentina di libri, oltre un centinaio di articoli, storie e saggi e una dozzina di spettacoli teatrali. Che visse con le due donne che amava al fianco fino alla fine dei suoi giorni – senza sposare nessuna delle due – e che ha avuto Charles Dickens come maestro, direttore, editore e, soprattutto, amico. William Wilkie Collins nasce a Londra, nel quartiere di Marylebone, l’8 gennaio 1824. Suo padre William, famoso paesaggista, ha in mente per lui una carriera ben diversa da quella dell’artista. A 17 anni trova lavoro presso la Antrobus & Co., cimentandosi con il commercio del tè, ma ben presto si accorge che il mestiere non fa per lui. Si iscrive allora alla facoltà di giurisprudenza, ma sono la pittura e, soprattutto, la scrittura ad appassionarlo.

Il suo primo libro esce nel 1848, si intitola Memoirs of The Life of William Collins ed è dedicato al padre, morto l’anno prima. Presto arrivano altri due romanzi, Antonina (1850) e Basil (1852) ed è con i suoi racconti e con le collaborazioni giornalistiche che Collins si guadagna da vivere durante tutti gli anni ‘50 dell’800.

Nel 1851, terminati gli studi, ottiene l’abilitazione all’avvocatura, ma non eserciterà mai la professione. Proprio quell’anno grazie a un amico in comune, Augustus Egg, Collins fa l’incontro che cambierà per sempre la sua vita: quello con Charles Dickens. Inizia a scrivere per la sua rivista, Household Words, e da allora in poi i due diventano molto legati uno all’altro, così nel lavoro come nella vita, fino alla morte di Dickens nel 1870.

I due si frequentano spesso, fanno viaggi assieme, soprattutto in Francia e in Italia. Due paesi che Collins conosce bene per averci vissuto due anni quando era un ragazzino. Si dice che a Venezia i pasti per la sua famiglia venissero preparati dall’ex cuoco di Lord Byron.

Dalla Francia i due ritornano con un libro sottobraccio che si rivelerà importantissimo per la loro successiva produzione letteraria del genere mistery che da lì in poi inizierà a svilupparsi. Si tratta della Recueil des causes célèbres, di Maurice Mejean, una raccolta dei principali casi giudiziari dei primi quindici anni del XIX secolo.

Collins diventa un visitatore regolare di Tavistock House, la residenza londinese di Dickens, e di Gad’s Hill, la sua tenuta di campagna. Nel 1856 viene assunto dalla rivista: salario settimanale di cinque ghinee. Insieme collaborano a molti racconti, soprattutto per le edizioni natalizie del giornale, e quando Dickens deve decidere chi sarà il successore del suo Racconto di due città per il fogliettone della nuova rivista che nel frattempo ha fondato, All The Year Round, non ha dubbi.

La donna in bianco è la storia di una misteriosa figura femminile che si aggira tra le strade buie di Londra, una storia di segreti, misteri e colpi di scena, una trama sapientemente tessuta in modo magistrale, «il più bello dei romanzi polizieschi inglesi moderni», come lo ha definito T.S. Eliot. Una storia ispirata da un incontro che lo stesso Collins fece un anno prima, nel 1858, quando una sera d’estate stava passeggiando per Regent’s Park assieme al fratello Charles.

Ad un tratto sentirono delle grida e videro una ragazza correre disperata verso di loro. Quella giovane donna si chiamava Caroline Graves e diceva di essere riuscita a scappare da una villa lì vicina dove un uomo la teneva prigioniera sottoponendola ad esperimenti di magnetismo. Da quell’incontro Collins trasse la trama per il suo fortunato romanzo, ma soprattutto, trovò uno dei suoi due amori. Con Caroline, infatti, passò il resto della sua vita. Così come fece con Martha Rudd, di ventun anni più giovane di lui, che conobbe nel 1864. Il racconto che esce a puntate per quasi un anno – e che sarà pubblicato come libro nel 1860 – stravolgerà per sempre la letteratura inglese, diventando il simbolo di un nuovo genere letterario. I lettori si appassionano talmente che la rivista di Dickens balza dalle 38.500 copie alle quasi 300.000. Nei caffè e nei salotti della middle class non si parla d’altro che degli intrighi, i delitti, gli scambi di identità, le apparizioni e le sparizioni che caratterizzano questo nuovo romanzo. Così come dei personaggi che lo popolano: l’impavida e mascolina Marian Halcombe, la fedele e angelica Laura Fairlie, il sinistro e riservato Percival Glyde, l’attraente e furbo conte Fosco, il coraggioso Walter Hartright e la sventurata e misteriosa Anne Catherick.

Perfino il principe Alberto, marito della regina Vittoria, ne resta affascinato e ne regala copie ad amici e parenti. E leggenda vuole che anche l’allora Cancelliere dello Scacchiere e futuro primo ministro, Gladstone, talmente assorbito dalla lettura del romanzo, abbia cancellato alcuni suoi appuntamenti ufficiali. Si producono profumi con il nome The Woman In White, così come cappelli e mantelli per signore, lo scrittore Edward FitzGerald chiama la sua barca Marion Halcombe, Walter diventa un nome alla moda per i neonati e, come disse Kenneth Robinson, uno dei primi biografi di Collins, «nemmeno Dickens conobbe una così straordinaria pubblicità». Dopo l’uscita, il libro ha un successo enorme tanto da venire ristampato in continuazione. Negli anni più recenti si susseguono anche una ventina tra rappresentazioni teatrali, serie televisive, film e musical che si ispirano al romanzo (nel 2004 Andrew Lloyd Webber ne fa un musical che resterà in cartellone nel West End londinese per quasi due anni con un totale di cinquecento repliche). I personaggi del romanzo, descritti con dovizia di particolari, è come se fossero tutti testimoni di un processo.

Collins li fa parlare attraverso lettere, diari, confessioni, carte processuali, testamenti e perizie. Come accadrà, in seguito, nei moderni legal thriller. E certamente i suoi studi di diritto lo hanno influenzato (come è successo per scrittori più vicini a noi, gli americani Scott Turow e Jonh Grisham o, per restare in casa nostra, a Carofiglio e De Cataldo, tutti avvocati e magistrati che sono passati dalle aule di tribunale alla narrativa). Dopo il grande successo de La donna in bianco, otto anni più tardi esce il suo capolavoro definitivo, La pietra di Luna. Dopo la morte dell’amico e mentore Dickens, la sua carriera subisce, però, un progressivo declino. Diventa dipendente, e quasi assuefatto, dall’oppio, tanto che egli stesso scrive «prendo più laudano io di quanto sia sufficiente ad uccidere l’equipaggio di una nave o un battaglione di soldati» e proprio in un altro suo romanzo, Moonstone, racconterà gli effetti dell’oppio. I suoi libri influenzeranno tutti coloro che verranno dopo di lui, da Trollope a Conan Doyle fino a Agatha Christie, che lo considerava come un vero e proprio maestro. Muore nel 1889, all’età di 65 anni, lasciando tre figli, due amanti e quel suo alter ego da cui credeva di essere perse- guitato in vita che lo aveva fatto diventare paranoico. Aveva capito per primo, più di centocinquanta anni fa, che ciò che appassiona maggiormente un lettore è l’intrigo, il mistero, l’indecifrabilità del reale, la storia di un’indagine: un thriller, appunto. «Fateli piangere, fateli ridere, fateli aspettare», amava ripetere spesso. Una frase che racchiude tutto il significato della produzione letteraria di Wilkie Collins.

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