In occasione dell’uscita di Per chi è la notte, l’autore Aldo Simeone ci racconta la magia della Garfagnana, in cui si svolgono gli eventi del suo romanzo. Trovate la prima puntata qui.
Gli ammiratori di Camilleri (i miei ossequi al grande scomparso) ogni anno si recano in Sicilia per visitare Vigata. E scoprono che non c’è.
Eppure esiste. Si chiama Porto Empedocle. Vale davvero la pena di farci un salto.
C’è gente anche più morbosa che cerca invano sul mappamondo la città di Derry. La troverebbe a Bangor, nel Maine. Inutile però sbirciare dentro i tombini: It – giurano i locali – è stato ucciso.
Se i miei venticinque lettori volessero mai rintracciare Bosconero, dovrebbero chiedere le indicazioni per Fabbriche di Careggine, e armarsi di tuta subacquea e bombola di ossigeno. Approderebbero sulle rive del lago di Vagli, un bacino artificiale di 35 milioni di metri cubi d’acqua, incastonato ai piedi dei monti, tra i centri di Vagli di Sopra e Vagli di Sotto.
A partire dal 1947 la Selt Valdarno vi costruì una diga idroelettrica alta 92 metri, che, sbarrando il corso del torrente Edron, fece salire il livello delle acque fino a ricoprire l’invaso.
Più di un paese fu evacuato.
Oddio, «paese»… Per lo più si trattava di qualche casupola, quattro mura, un tetto nemmeno troppo in salute, vecchi inquilini sopravvissuti a se stessi e muli, soprattutto muli. Con un’eccezione, però, di riguardo: Fabbriche di Careggine.
La prima metà del nome deriva dal fatto che il paese nacque nel XIII secolo per iniziativa di fabbri bresciani, che lo resero un centro di qualche riguardo per la lavorazione del ferro. Nel Settecento gli Estensi, che avevano conquistato la zona non sapendo poi che farne, cercarono di incentivare lo sviluppo dell’area attraverso esenzioni e privilegi. Per un certo periodo, il borgo si popolò, crebbe di dimensioni intorno alla chiesa di San Teodoro, si dotò di un ponte a tre arcate che collegava Modena a Massa, prosperò quasi. Poi, la decadenza.
Fabbriche di Carregine era in culo ai lupi, fra neve e briganti; il trasporto difficile e neghittoso, la concorrenza spietata. È sempre esistita una Cina per tutti, da che mondo è mondo.
Nel Novecento, il colpo di scena: vi fu scoperto il marmo. Era lo stesso di Carrara. Candido come la spuma del mare. Sbrilluccichino. Il filone della preziosa roccia in carbonato di calcio passava anche di lì, lui sì, almeno lui ci passava, senza bisogno di strade e ponti. Per Fabbriche di Careggine fu un nuovo inizio.
Fra il 1906 e il 1907 fu trovato anche il modo di rendere utile il corso diarroico dell’Edron sfruttandolo per produrre energia elettrica. Quell’idea piacque tanto che qualcuno si fece prendere la mano. Energia idroelettrica? Di più! Ne serviva di più! Perché non costruire una diga?
Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. In questo caso la guerra. Della diga se ne riparlò ai tempi della repubblica e della Dc. I lavori furono completati nel 1953. A quell’epoca il paese contava la ragguardevole cifra di 31 abitazioni e 146 cristiani. Per gli sfollati, fu allestito il borgo in facsimile di Vagli di Sotto, che riproduce l’impianto medievale di Fabbriche come la piramide di Las Vegas ricalca quella di Cheope.
I programmi di manutenzione della diga prevedevano lo svuotamento del lago ogni dieci anni. Non so se perché la manutenzione, in Italia, è poco praticata, o perché qualcuno ha sbagliato a contare, o per altre ragioni ragionevoli, sta di fatto che la riemersione di Fabbriche è avvenuta solo 4 volte: nel 1958, nel 1974, nel 1983, nel 1994. Ogni volta con afflussi turistici sempre più ingenti, al punto che a qualcuno è venuto in mente di lasciar perdere l’energia elettrica e darsi al turismo. Chissà…
Il quinto prosciugamento era previsto per il 2016, ma è stato ancora rimandato. Non serve – dicono. Il paese fantasma resterà invisibile.
I visitatori apprendisti maghi possono comunque gratificarsi osservando il paesaggio, attraversando il ponte tibetano in legno e acciaio fatto costruire nel 2010, e visitando il Parco dell’Onore e del Disonore, un’area allestita con statue di eroi (il cane Diesel, il soldato Alexander Prokhorenko…) e di antieroi (un nome fra tutti: Schettino con le orecchie di coniglio).
«Il sogno è l’infinita ombra del vero», scriveva un poeta che ha scelto proprio la Garfagnana come suo eremitaggio. Quel Pascoli che, a Barga, ha posto la sua dimora sul cucuzzolo dei monti, come un nido fra i rami più alti di una sequoia. (A proposito: Casa Pascoli, altro luogo garfagnino da visitare assolutamente.)
Cosa può esserci di più magico dell’invisibilità? Di più maliardo di ciò che non vedi?
Mai destinato a deludere.
È per questo che i genitori raccomandano sempre ai bambini di stare alla larga dai pozzi. Sono consapevoli di quanto è irresistibile il desiderio di guardarci dentro. Francesco, in Per chi è la notte, li sa abitati da un orribile mostro femmina: la Gatta Marella. In Toscana è nota con questo nome, ma non ha niente a che fare con i felini. La sua origine è settentrionale. Gatamarela, la chiamano in Piemonte, dove soprattutto è conosciuta.
No, «conosciuta» non è il verbo giusto. Nessuno l’ha mai vista. Del resto è così orribile, ma così orribile che si morirebbe soltanto a sbirciarla. Non ne esistono, infatti, rappresentazioni. Ma la cosa più sorprendente di questa leggenda è un aspetto pietoso: la stessa Gatta Marella ha coscienza della propria bruttezza e, per vergogna, esce solo di notte, quando la luna è appena un’unghia tagliata e le tenebre le fanno un mantello. Esce per rapire i bambini. Li vuole. Vuole essere madre. Per scacciarla, la gente mette gli occhi alle case, appendendo ai muri medaglie di vetro, simili agli occhi di Allah. Sapendosi spiata, la Gatta Marella si tiene alla larga. E piange, piange il suo desiderio d’impossibile maternità…
Aldo Simeone