I fuorisede della vita di Luisella Mazza

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A metà del ventesimo secolo un gruppo di eminenti intellettuali, attivisti e giuristi internazionali decise che bisognava dare al mondo alcuni principi universali, per eliminare gli orrori di cui gli uomini avevano riempito la Storia fino a quel momento. Perciò si chiusero in una stanza a discutere, qualcuno alzò anche la voce, ma alla fine ne vennero fuori con la Dichiarazione universale dei diritti umani. Ci fu un’assemblea delle Nazioni Unite, tutti annuirono, approvarono e applaudirono. A partire da quel giorno, dissero gli eminenti, niente più nefandezze. O almeno questo è ciò che si auguravano.

Voglio pensare che quando gli eminenti scrissero: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura”, avevano in mente anche Oscar. In Bum bum bum a Oscar, maestro di tango argentino approdato a Genova nei primi anni Duemila, succede di rimanere da solo da un giorno all’altro, senza un soldo e senza un lavoro. Non gli resta che fare gli scatoloni per un trasloco forzato ispirato da Marie Kondo, per poi finire in una stanza doppia con Carlos, che russa che tira giù i muri, a vivere anche con Erika, che sbatte le porte di continuo, e a mangiare su una tovaglia di plastica con su scritto «cigliegie» con la g. Come se non bastasse, da quando Maria lo ha lasciato per un maestro di balli caraibici, il cuore di Oscar si è messo a battere forte dentro al suo orecchio e a parlargli in modo incomprensibile nei momenti meno opportuni, usando solo improbabili citazioni di canzoni pop o di antiche poesie. Per il povero Oscar una vera tortura, mentre cerca di decidere se seguire o abbandonare i suoi sogni.

Oscar, Maria, il cuore, i coinquilini e tutti gli altri protagonisti di Bum bum bum non esistono nella realtà, ma io li ho incontrati. Ci siamo conosciuti in anni di case condivise a Dublino, a Barcellona, a Londra. In coda ai gate degli aeroporti di Dakar, di Amman e di San Paolo. Nelle sale d’attesa delle stazioni di Genova piazza Principe, Tokyo Asakusa e Madrid Atocha. A volte ci chiamano fuorisede, altre volte expats – un modo di lusso, direbbe Oscar, per definire chi ha scelto di vivere più o meno temporaneamente lontano dal proprio paese di origine. Ma dopo tanti anni di vita e lavoro all’estero, il mio modo preferito di indicare chi ha fatto questa scelta è fuorisede della vita. Ci accomuna non solo la precarietà del luogo, ma anche un certo modo di stare al mondo. Che cosa tiene a galla un fuorisede della vita? Un senso di leggerezza e nostalgia, un bagaglio di esperienze di vita comiche e disperate, e soprattutto una rete di relazioni nate da una solidarietà fatta di stanze in comune, di lavori temporanei e di valigie costantemente fatte e disfatte. Tutti quanti alla ricerca senza sosta di se stessi, di ciò che si desidera davvero, del proprio posto nel mondo.

Il cuore di Oscar sa bene cosa vuol dire inseguire ciò che si desidera davvero nonostante mille difficoltà, e cerca di ricordarglielo in continuazione usando un delirio di citazioni apparentemente insensate, sussurrate all’orecchio di Oscar nei momenti peggiori. Spero ci si divertirà a scoprire che si tratta delle parole di canzoni e artisti che, riascoltati oggi, suonano ancora autentici e sinceri, a volte persino ridicoli nella loro apparente semplicità. Citando Vasco Rossi di Bollicine o Pino Daniele di Nero a metà, ma anche Astor Piazzolla di Libertango e la Divina Commedia di Dante, il cuore bombarda Oscar di provocazioni per scuoterlo dalla sua eterna inadeguatezza. Solo alla fine, grazie a un evento improvviso e alle nuove amicizie, forzerà Oscar a fare i conti con se stesso invitando anche noi, fuorisede della vita come lui, a seguire i nostri desideri più profondi.

 

Luisella Mazza

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