Un giovane maestro di disegno trova un buon lavoro in un’amena località del Cumberland. Dovrà insegnare l’arte degli acquerelli a due fanciulle di nobile famiglia: le sorellastre Marian Halcombe (detta Miss Halcombe, un tipo un po’ mascolino ma dal carattere franco e coraggioso) e la bella e delicata Laura Fairlie. C’è poi lo zio delle ragazze che è il più misantropo, egoista e accidioso degli aristocratici di campagna. Prima di arrivare nel Cumberland, Walter Hartright (il giovane maestro) fa uno strano incontro: gli appare come un fantasma, nelle strade di Londra, una donna vestita di bianco. Sembra una sinistra premonizione.
Ovviamente Walter si innamora, ricambiato, di Laura Fairlie ma è un amore impossibile. Non per questioni di classe sociale, come ci si aspetterebbe data l’epoca (puro Ottocento inglese), ma perché Laura Fairlie è fidanzata ed è fidanzata con un baronetto, Sir Percival Glyde. E qui ritorna la sinistra premonizione che angoscia Walter: la misteriosa donna in bianco dell’apparizione proprio di un baronetto gli aveva parlato (e molto male).
Comincia così il romanzo dell’estate 2015 (non segue dibattito e diffidate dalle imitazioni e/o usurpazioni): La donna in bianco di Wilkie Collins (1860). Credetemi così come avete fatto al tempo della riscoperta del grande Anthony Trollope. E non è un consiglio d’antiquariato. La storia di Walter, di Laura, di Miss Halcombe, di Sir Percival e del Conte Fosco (strepitoso, machiavellico, quasi nerowolfiano nonché nabokoviano, personaggio di avventuriero italiano), è modernissima. Quasi, se mi permettete l’azzardo, e, sotto l’aspetto psicologico, lacaniana. Ed è d’avanguardia, la sua struttura. Il modo di comporre il romanzo venne a Wilkie Collins un giorno che in tribunale assisteva alla sfilata di testimoni davanti alla Corte. Rimase affascinato dal ritmo (da staffetta, si direbbe in atletica leggera) delle deposizioni e pensò a qualcosa di simile per un romanzo. Uno schema originale in cui ogni personaggio (come i testimoni in tribunale) racconta la parte di storia di cui è direttamente a conoscenza. Così funziona La donna in bianco: «La Corte chiama quindi a deporre per primo Walter Hartright, di anni ventotto, insegnante di disegno». Dopo Hartright tocca all’avvocato Gilmore, poi alla governante Eliza e così via.
La trovata non è una semplice trovata, in termini di storia della letteratura rappresenta una delle realizzazioni più tecnicamente straordinarie della teoria del punti di vista. Ogni narratore cambia lo stile e il linguaggio del racconto e propone, ogni volta, un’interpretazione diversa degli avvenimenti.
Wilkie Collins è famoso, nei manuali di letteratura, per avere scritto nel 1868 il primo giallo (La pietra di Luna, tuttora un capolavoro del genere). Ma non eccelle solo nella suspense (di cui La donna in bianco, comunque, abbonda). È anche uno scrittore di sentimenti come dimostra nella struggente storia d’amore che fa vagare alla deriva, cullato dal canto delle sirene del suo cuore, il povero Walter mentre «gli scogli fatali si avvicinavano». Ed eccelle nella pittura dei personaggi. Non solo in quello dal fascino gotico e disperato di Anne Catherick (la donna in bianco del titolo) o nel citato Conte Fosco (che fa venire in mente quel grande attore che fu Sir Charles Laughton), ma anche in figure minori che somigliano a macchie di Rorschach per come penetrano nell’inconscio. E non manca l’umorismo («Anche gli avvocati hanno un cuore», esclama Gilmore autoironizzando sulla sua categoria).
Raccomandandovi ancora questo romanzo, vi comunico che la rubrica chiude per ferie. Cercherò di restare in contatto con voi (almeno per sbrigare un po’ della tanta posta che mi avete inviato) sulla mia pagina Facebook. L’ultima cosa, credo che Miss Halcombe sia follemente innamorata di Walter Hartright. Mi dite come la vedete voi, dopo aver letto questo meraviglioso romanzo?
Antonio D’Orrico
26 giugno 2015 – Sette del Corriere della Sera