Il progressivo cambiamento dei nuclei familiari in «Giorni felici» di Brigitte Riebe

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giorni felici

In occasione dell’uscita di Giorni felici, Giulia Pretta racconta le sue impressioni sul secondo romanzo della trilogia di Brigitte Riebe.

 

Gli elementi che compongono una narrazione familiare o generazionale sono grossomodo i seguenti: una cronologia, vera o inventata che sia, per fornire verosimiglianza alla narrazione; la presenza di una dimora che identifichi lo spazio del nucleo familiare in contrapposizione con l’esterno; conflitti tra i membri in relazione con il periodo storico in cui si ambienta la vicenda; una certa ritualità all’interno della famiglia che la classifichi come una società in miniatura con le proprie norme e regole.

I primi due volumi della saga delle sorelle del Ku’damm di Brigitte Riebe hanno affrontato questi aspetti concentrandosi sulla questione della “dimora” nel primo volume Una vita di ricostruire e, nel secondo volume Giorni felici, sulla disgregazione del modello famiglia come si era conosciuto fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Non sempre la dimora di famiglia si incarna in una magione o una tenuta come potevano essere Home Place per i Cazalet e Jalna per i Whiteoak. Lo spazio interno della famiglia contrapposto all’esterno, la cui conservazione determina il successo o il fallimento, può anche essere un’attività commerciale come si verifica nel caso dei Grandi Magazzini Thalheim. Rike, punto di vista e voce privilegiata del primo romanzo, con il suo pragmatismo e l’oculata gestione di soldi e lasciti riesce a rimettere in piedi l’eredità di famiglia ricostruendo la dimora.

Questa sua bravura non è del tutto accettata visto che il padre ha sempre riconosciuto in Oskar il proprio successore negli affari anche se il giovane non è né portato né motivato. Il conflitto interno familiare si riflette quindi nella visione dell’epoca in cui le donne, che durante la guerra avevano conquistato autonomia e raggiunto territori fino a quel momento appannaggio degli uomini, si vedono di nuovo retrocedere a mogli devote e amorevoli madri come mostra anche la moda del periodo: abiti per donne perfettamente vestite e agghindate come se dovessero essere solo un gradevole oggetto d’arredamento.

La seconda guerra mondiale è stata un anno zero per molte cose, un evento con cui fare i conti non solo in paesi dove gli -ismi sono nati e hanno mietuto il maggior numero di vittime. Nell’ambito familiare, la seconda guerra mondiale ha provocato una cesura: un’intera generazione è stata falciata – chi sul campo, chi è tornato spezzato, chi è cresciuto senza padri o fratelli –, si sono interrotti i contatti con tutte le tradizioni precedenti e le grandi famiglie di un tempo si sono viste frammentate. In campo narrativo, la narrazione familiare cerca, sì, di recuperare i legami con il passato, riallacciare i fili spezzati dalla guerra, ma anche testimoniare le nuove tendenze che si vanno affermando dopo il conflitto: la fine delle grandi famiglie in cui si viveva tutti insieme e la nascita di nuclei più autonomi e meno propensi alla ritualità e alla stretta interconnessione tra i membri. Giorni felici ritrae questo lento disgregarsi e lo fa su più fronti. In questo romanzo, la voce privilegiata è quella di Silvie, la passionale e affascinante gemella di Oskar che sapeva incantare gli ufficiali del circolo inglese con la sua voce e si destreggiava benissimo nei meandri della borsa nera.

Con l’inizio degli anni Cinquanta è una delle voci radiofoniche più amate della Germania, brillante creatrice di nuovi format e si è ricavata una nicchia e un ruolo professionalmente appagante basandosi sulle sue forze. Eppure il legame con la famiglia non è vissuto con la solidità e la forza che ci si aspetterebbe o che, almeno, si aspetterebbe Rike soprattutto quando si tratta dell’azienda di famiglia:

«”Vestire da voi”. Ma non esiste un “voi”. Noi siamo i Grandi Magazzini Thalheim, tutti noi! Ci sei dentro anche tu».

Un concetto che Silvie non sembra capire perché per lei i legami d’affetto – e quelli non vengono mai troncati né fa mancare il suo aiuto nelle questioni personali – e il dovere verso il proprio cognome sono due cose completamente distinte. Silvie potrà mettere a rischio la propria incolumità per il bene di una nipotina, ma nel momento in cui le si chiederà di fare qualcosa di più per l’azienda di famiglia non riuscirà a pensare ad altro che vestirsi eleganti alla radio ha poco senso. Per lei sono solo “beghe” dalla quali è contenta di stare alla larga nel suo rifugio alla RIAS.

Non diverso è l’atteggiamento di Flori, la più giovane delle sorelle dalla bellezza elfica e dalla straordinaria abilità nel disegno. All’interno dei grandi magazzini lei non vuole nemmeno fare un piccolo tirocinio preferendo un lavoro più modesto come apprendista vetrinista e allontanandosi quando i problemi le sembrano troppi. Anche in questo caso incontrando la totale incomprensione da parte di Rike per la quale la “distanza dalla famiglia” è qualcosa di inconcepibile.

La dissoluzione di rapporti che sembravano destinati a durare in eterno non risparmia nemmeno la coppia più unita che la saga ci ha finora presentato: quella di Silvie e Oskar che condividono la speciale affinità dei gemelli. Già nel primo volume Silvie urlava quando Oskar si faceva male come se provasse dolore fisico ed era l’unica a non nutrire dubbi sul suo rientro dalla guerra. Ma il ritorno dai campi di prigionia russi non è stato quello tanto fantasticato. Il fratello la esclude dai ricordi di quanto passato, concedendole solo i tremendi incubi che lo svegliano urlando. Non vuole metterla a parte dei suoi magheggi nel campo degli affari, ritenendola troppo legata alla visione di gestione di Rike e rivolgendosi a lei solo nel momento in cui ha bisogno di essere tirato fuori dai guai. Nel complesso, Silvie sente di sapere troppo poco della vita del gemello tanto da indurla a pensare che Oskar stia tagliando il loro immaginario cordone ombelicale per tentare una vita autonoma.

Un tempo mi avresti telefonato per raccontarmelo», gli disse. «E poi avremmo ragionato insieme sul da farsi».

«Già, un tempo», le fece eco Oskar un po’ malinconico mentre rimescolava il suo tè. «Quel tempo ormai è andato, mia cara Silvie».

Proprio Oskar che, a causa della sua famiglia, troverà forti difficoltà nel raggiungimento di una vita sentimentale felice.

Questo disgregamento suscita nei personaggi una doppia e opposta reazione: da un lato il dolore sotteso che la famiglia Thalheim prova a ogni ulteriore allontanamento. Dall’altro, l’incredulità di chi non ha una famiglia numerosa e non ritiene possibile essere così strettamente intrecciati gli uni agli altri:

Da figlio unico senza legami di parentela ammiro la tua dedizione nei confronti della famiglia, ma ora la priorità va alla nostra piccola famiglia

esclama con durezza Peter van Ackern quando Silvie insiste per cercare di aiutare suo fratello. Peter incarna la direzione che il sistema famiglia ha preso: con un solo figlio, senza la necessità di mutua e reciproca assistenza con i propri consanguinei. Si creano nuclei più piccoli, più autocentrati, forse più isolati ma con meno obblighi di clan e di ritualità alle quali sottostare. Un sistema in cui le mastodontiche genealogie e gli infiniti rami collaterali hanno sempre meno spazio e meno ragione di esistere.

 

Giulia Pretta

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