In occasione dell’uscita de Il ragazzo di Marcus Malte, romanzo vincitore del prestigioso Prix Femina, Alessia Ragno ci racconta le sue impressioni sul romanzo.
Nell’incipit de Il ragazzo c’è già la visione precisa che Marcus Malte, l’autore, ha del suo personaggio principale. È giovane, ha la madre sulle spalle e la sorregge nel cammino che fanno verso il “mare”. Non sappiamo chi sono e da dove vengono, la madre muore poche righe dopo, ma lui continua a tenerla con sé, devoto. Il ragazzo è una creatura oscura, isolata dal resto del mondo, e quando perde la madre non ha ancora una idea formata della morte; vede la donna inerme, sente più forte la sua solitudine, ma non ne comprende le motivazioni, non sa elaborare il momento. È da questo incipit, oscuro e granitico, che inizia il viaggio del ragazzo senza nome, senza voce, senza una meta, l’“Enfant Sauvage” che Malte costruisce, capitolo per capitolo, nel suo percorso di iniziazione verso la civiltà.
Un giorno ogni uomo lascia dietro di sé la propria infanzia. Non la ritroverà.
Il ragazzo perde l’infanzia e la sua purezza selvaggia in un passato lontano, siamo nel 1908, e Malte narrerà il suo cammino lungo 30 anni, alla ricerca del suo posto nel mondo, della conoscenza e della comprensione di quei meccanismi che regolano la civiltà. Il ragazzo si scontra con personaggi rudi e violenti, grandi e inaspettatamente paterni, fino a conoscere l’amore passionale da cui dipenderà, inerme e lascivo.
La bellezza del mondo è così grande e lui così piccolo che mai la potrà contenere.
Questa è una epopea che narra il percorso dell’esser umano, della sua inevitabile corruzione durante il cammino della vita; un romanzo di formazione nel senso più primitivo del termine, ma anche d’avventura, d’amore e di iniziazione verso l’ignoto. Il ragazzo non sempre riconosce quello che gli si presenta davanti agli occhi: cerca conforto e trova aggressioni, cerca l’amore materno, che mai dimenticherà, ma trova solo chi lo vuole a tutti i costi elevare, addomesticare, cambiare. Il suo status di personaggio senza voce e senza passato è riconosciuto dagli altri come una maledizione più che una condizione di purezza. Lui è una tela bianca che gli uomini sporcano senza rimorso quando gli insegnano i rudimenti della convivenza, compreso il pregiudizio, la violenza e l’inaspettata tenerezza in uno sguardo d’addio.
Marcus Malte accompagna il suo ragazzo in questo viaggio per la sopravvivenza con una dedizione quasi assoluta. Fotografa ogni dettaglio, ogni ambiente, ogni gesto, e lo riporta su carta con parole accuratamente scelte in frasi brevi eppure piene di tutto. Prima di ogni evento Malte deve preparare lo spazio e il tempo, quasi a voler dare tempo al suo ragazzo che nulla conosce; e lo protegge, lo culla, ma non gli risparmia nulla, soprattutto non gli risparmia la morte. Si alternano due visioni del mondo, quella del protagonista e quella di coloro che incontra, e le differenze sono più evidenti nella prima metà del romanzo. Gli espedienti narrativi consentono al ragazzo di trovare negli uomini quello che conosce meglio, i tratti degli animali, ma poi tutto diventa più sofisticato, anche il suo pensiero e la maniera di vedere il mondo. Suo malgrado si adegua sempre più agli altri.
L’amore, poi, sarà una esperienza totalizzante, complice una giovane donna che diventerà amante, sorella e madre insieme, l’unica che saprà riempire il vuoto del lutto che apre il romanzo, ma che si rivelerà anche una figura controversa. Gli darà un nome, anche se mai riuscirà a dargli la parola, e lo curerà con un attaccamento che confina quasi con la venerazione mistica.
Cento volte al giorno gli mormora amore mio, amore mio…
scrive Malte di questa donna innamorata, attribuendole monologhi febbrili sul sesso e sulla morte. Ed è proprio la consapevolezza della morte la grande dominatrice del romanzo: sembrerà di vederla tornare all’improvviso, ma la realtà è che non se ne è mai andata. La morte è la sua feroce maestra di vita, gli tormenterà persino il sonno, fino a cambiare tutto, ancora una volta, per sempre.
Il ragazzo di Marcus Malte, allora, diventa una metafora di vita, la storia di una e di tante esistenze, e di come ci si pieghi per adattarsi alla società, per imparare a convivere con l’umanità varia e inattesa:
Lui in mezzo a loro, in mezzo a tanti, senz’arte né parte.
Ma, prima ancora, il romanzo si rivela una lezione dolorosa da imparare: la violenza, la morte e l’amore non coesistono semplicemente, piuttosto si intrecciano ogni giorno, strette e ineluttabili, fino a diventare una cosa sola, la vita.
Alessia Ragno