«Il taglio dell’angelo», a proposito dell’eterno connubio fra il bene e il male

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Angelo

Chi di noi non ha chiesto aiuto al proprio angelo custode, magari al momento di addormentarsi, magari da bambino e dopo un rimprovero, o avendo il cuore spaventato da chissà cosa. Impossibile dimenticare le parole di quella preghiera breve e dolce come una carezza di madre, il senso di conforto che ci scendeva nell’animo dopo averle pronunciate.

Creature ambigue, gli angeli, ribelli al loro stesso creatore, alcuni sono stati precipitati all’inferno, altri sanno erigersi a implacabili esecutori della punizione divina, se chiamati a farlo. Infiniti di numero e suddivisi in nove sfere celesti, è la vicinanza a Dio e, di conseguenza, la loro potenza, a stabilirne le gerarchie, come in un esercito pronto a combattere; eppure ci affidiamo a loro per essere consolati e confidiamo nella loro giustizia, se sappiamo di non avere colpa. Il perdono invece no, quello è al Padre, che lo chiediamo.

Grazia e gentilezza, dunque, ma armate di spada come l’arcangelo Michele sulla cima di Castel Sant’Angelo, a Roma, ed è tagliente la lama che ha brandito e adesso rinfodera. Non la posa, badate bene, la tiene pronta accanto a sé, perché sa che presto dovrà tornare a usarla.

Di questo ragionano Lorenzo Baroldi e Nario Domenicucci durante una loro passeggiata notturna per i vicoli di Roma barocca, quando, quasi all’improvviso, si vedono comparire davanti la grandiosità della mole Adriana, e anche di giustizia, e di quanto più complicato sia ottenerla qui in terra, che in cielo.

Primario in un grande ospedale romano, sempre più soffocato dagli impegni burocratici che lo sottraggono a quello che sa fare meglio, ovvero il medico, da poco Lorenzo ha perso in circostanze drammatiche un giovane paziente di colore ricoverato presso il suo reparto e si trova a combattere i fantasmi della propria coscienza, consapevole di non aver fatto tutto quello che poteva, per salvarlo. Tanto più dopo aver parlato con la vedova, e dopo averle promesso, anche, spinto dal rimorso, che scoprirà la verità sulla morte dell’uomo.

E allora l’indagine di Lorenzo Baroldi inizia a dipanarsi fra corsie d’ospedale e sale di anatomia patologica, ma ancor più è una ricerca interiore, che lo porta a fare i conti con se stesso e con quello che è diventato, con una vita sempre più dietro le spalle e i conti ormai da chiudere, non importa se a bilancio positivo. Un uomo realizzato e fortunato, con una bella famiglia, questo è quello che gli altri pensano di lui, e va bene così. Ma cosa abbia davvero dentro, i conti che debba fare ogni giorno con la propria coscienza per gli errori commessi, questo nessuno può saperlo.

Lorenzo Baroldi chiama in aiuto il suo amico Nario Domenicucci, ispettore capo presso il commissariato di Brignole, a Genova, lo stesso che, allora semplice agente della Celere, nel lontano 1974 lo aveva aiutato a risolvere il caso dei delitti seriali al Policlinico, dove aveva rischiato di mettersi seriamente nei guai.

In una Roma straniante e confusa da una improvvisa voglia di modernità, i due uomini seguono insieme e con pazienza i fili che intrecciano questa storia paradossale alla ricerca della verità, una ricerca destinata a lasciare un segno profondo nella loro coscienza e nella loro carne. Sanno entrambi di aver scelto un mestiere che mette insieme il bene con il male in un groviglio inestricabile, ma è una consapevolezza che non riesce a consolarli. Così vanno avanti sostenendosi a vicenda, scartando ipotesi e mettendo a rischio la propria stessa vita, perché questo un poliziotto deve saper fare, e anche un medico, quando serve. Lo sappiamo tutti, ci è apparso evidente nel modo più drammatico appena pochi mesi fa, quando ci chiudevamo spaventati nelle nostre case ed erano loro, medici e infermieri, a dover fronteggiare la pandemia a mani nude. Un medico sa che può essere necessario il dolore, per sopprimere un altro dolore, e un poliziotto un’ingiustizia, per ottenere una giustizia più grande. Un po’ come scegliere di vaccinarsi affrontando il rischio, per debellare una malattia che rischia di annientare se stessi e l’umanità. O accettare l’amputazione di un arto, per salvare tutto il resto.

Quella de Il taglio dell’angelo sarà un’indagine faticosa e snervante, che metterà i due amici di fronte ai fantasmi del tempo che passa con la sua nuova, inattesa fragilità fisica. Rimarrà, alla fine di tutto, la riscoperta di un’amicizia profonda, di quelle che solo la giovinezza e la condivisione del pericolo possono regalare, lo sa bene chi ha combattuto fianco a fianco con lo spettro della morte addosso. È già tanto, assieme alla certezza di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere di medico e di poliziotto.

 

Claudio Coletta   

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