Perdonatemi se comincio subito con una citazione di area tedesca. Non è snobismo il mio, lo giuro. È solo che vivo a Monaco di Baviera da circa trentacinque anni e mi viene spontaneo.
Nel suo dramma Woyzeck Georg Büchner fa dire al protagonista: «Ogni uomo è un abisso, vengono le vertigini se si guarda nel suo profondo». (La traduzione è mia, in rete potreste trovarne una leggermente diversa).
Le vertigini di Woyzeck, in fondo, sono le stesse di cui soffre Giovanni all’inizio di In questa vita no. Il protagonista e narratore in prima persona ha appena saputo qualcosa di mostruoso e intollerabile sul conto della donna che ama e in lui è nata una domanda che non immaginava di doversi fare: chi è lei veramente?
Scopriamo che nei due anni precedenti Giovanni ha vissuto accanto ad Alessandra in un rapporto senza convivenza, potremmo definirlo un rapporto “maturo” (e forse anche un rapporto comodo). Lei è una donna forte, una professionista affermata, una madre che ha saputo tirare su due figli splendidi.
Arrivato a questo punto della sua storia d’amore, Giovanni è convinto di conoscere a sufficienza la donna con cui ha condiviso i momenti migliori del suo recente passato. Ma ritiene anche che le persone debbano essere lasciate libere di dare quello che vogliono, senza forzature, e dunque non le ha mai fatto troppe domande. Si può dire che lui e Alessandra, finora, abbiano dato e preso il meglio di loro stessi. Tanto che dopo trent’anni di peregrinazioni il protagonista è persuaso di aver trovato la donna giusta, e anche un proprio equilibrio personale.
Ma ecco che qualcuno lo mette sulle tracce del passato di lei, e Giovanni arriva a domandarsi se la persona che ama (o che ha amato) esista per davvero o non sia piuttosto una sua costruzione mentale. Preferirebbe non aver saputo i fatti che dodici anni prima hanno sconvolto la vita di lei (e che ora sconvolgono quella di lui). Sogna di tornare al “prima”, alla beata ignoranza. Ma non può. Nella vita delle persone normali la freccia del tempo non è reversibile, con buona pace del compianto Martin Amis.
Dalla prima domanda (chi è lei?) sorge automaticamente la seconda: che cosa deve fare lui a questo punto? Davanti gli si spalanca l’abisso di Woyzeck. E qui entriamo in un territorio scivoloso, in un gioco di specchi. Chi è il vero abisso? Lei, con la sua malattia mentale (e qui mi fermo, non troverete spoiler in questo articolo), oppure lui?
La mia è una provocazione, lo ammetto. Ma riflettiamoci per un attimo. Quando scopriamo che le cose non stanno come pensavamo, quando le persone in cui riponevamo la nostra fiducia rivelano una parte di sé che è inconciliabile con l’immagine che ne coltiviamo, quando veniamo traditi, l’abisso senza fondo dove si spalanca? Nell’altro o dentro di noi?
Il meccanismo del fidarsi, del credere negli altri, del fare un investimento di fiducia (un atto di fede!) non è sempre un salto nel vuoto, anche dopo anni di convivenza, di condivisioni, anche dopo tutte le esperienze fatte insieme?
Giovanni dunque sarà chiamato a scandagliare l’abisso di Alessandra e allo stesso tempo quello della propria solitudine, l’abisso del passato di lei e quello del proprio, segnato dall’incapacità di conoscere a fondo ciò che gli gira intorno, da un perenne fermarsi alla superficie dei fenomeni.
Certo, nel romanzo c’è molto altro. Il protagonista ha trascorso trent’anni in diverse città del Nord, in Italia e soprattutto all’estero. La vita a Dublino, a Berlino e a Milano lo ha segnato, ha fatto di lui una persona diversa. È tornato a Roma da qualche anno, ma nel momento in cui lo intercettiamo continua a sentirsi addosso una patina di estraneità. Nel luogo in cui vive non si sente un cittadino normale, un romano a pieno titolo, e ha la sensazione che tutti intorno a lui se ne accorgano. Gestisce una palestra frequentata da personaggi del suo passato, soprattutto suoi ex compagni di liceo. Personaggi che forse sanno, ma anche se sanno non dicono.
Insomma, c’è anche il racconto di una generazione, in questo libro. Alla ricerca delle risposte Giovanni dovrà immergersi fino al collo, e a volte anche più in fondo, nel mondo dal quale proviene: la periferia romana degli anni Sessanta e Settanta.
In questo cammino Giovanni scoprirà che le risposte non sono lontane. Al contrario, sono vicinissime. Talmente vicine da far venire le vertigini.
Marco Montemarano