Solo partendo dalla ricostruzione della verità e dalla contestualizzazione storica di un evento che ha scatenato un conflitto si può sperare di giungere a una risoluzione pacifica di quest’ultimo. Ciò vale anche per l’attacco subito da Israele il 7 ottobre 2023 per mano di Hamas e di altri gruppi palestinesi. Esso è stato definito l’attacco più sanguinoso agli ebrei dai tempi dell’Olocausto e certamente va annoverato fra i più letali compiuti contro Israele dalla fondazione dello Stato nel 1948. I sanguinosi eventi del 7 ottobre hanno profondamente traumatizzato la popolazione israeliana. Ne è nata una narrazione dalla quale il governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu ha tratto giustificazione per lanciare, con il pieno consenso popolare, una durissima campagna militare contro la Striscia di Gaza, l’enclave palestinese controllata da Hamas da cui l’attacco era provenuto. L’enorme impatto emotivo che il bilancio di questa operazione, terribile in termini di perdita di vite umane e di distruzione materiale, ha avuto sui paesi circostanti, e il turbamento degli equilibri regionali che essa ha prodotto, sono stati all’origine di una gravissima destabilizzazione estesa dal Mediterraneo al Mar Rosso, dal Libano all’Iran.
Alla tragedia israeliana del 7 ottobre si è contrapposta quella di Gaza dei mesi successivi. Ne è sorto uno scontro di narrazioni, nel quale a sofferenza è stata contrapposta sofferenza, a lutto si è aggiunto lutto.
In Occidente, i principali mezzi di informazione hanno dato voce soprattutto alla narrazione ufficiale israeliana. All’immane catastrofe abbattutasi su Gaza, soverchiante quantomeno in termini numerici, è stata contrapposta la descrizione minuziosa delle storie delle vittime israeliane di Hamas. Si è dato risalto alle singole tragedie personali, oltre che al trauma collettivo degli israeliani. Le vittime palestinesi, invece, sono perlopiù rimaste senza volto. A Hamas è stata attribuita essenzialmente sia la colpa dell’attacco del 7 ottobre che quella delle conseguenze prodotte dalla devastante invasione israeliana di Gaza nei mesi successivi. Sebbene presentasse diversi punti oscuri, la narrazione ufficiale del governo Netanyahu è stata accolta e rilanciata senza tentennamenti da gran parte dei media occidentali. Chi ne metteva in discussione taluni aspetti è stato tacciato di cospirazionismo, se non di negazionismo, e accusato di parteggiare per i “terroristi” di Hamas.
Tuttavia, se si ripercorrono gli eventi di quel giorno fatale, emergono alcuni interrogativi che paiono legittimi. Essi meritano una risposta. Davvero l’intelligence israeliana, considerata una delle più efficienti e sofisticate al mondo, era all’oscuro del piano di Hamas? Perché i segnali premonitori dell’attacco, pur numerosi, sono stati ignorati? Se fossero state adottate contromisure adeguate, naturalmente il bilancio dell’attacco sarebbe stato molto meno tragico. Se la risposta dell’esercito israeliano fosse stata meno confusa e improvvisata, se esso non avesse fatto ricorso a elicotteri da combattimento e carri armati in contesti urbani, il numero delle vittime civili sarebbe stato probabilmente inferiore. Quanti civili israeliani sono morti a causa della sproporzionata potenza di fuoco a cui fecero ricorso le forze armate di Tel Aviv?
Sui media occidentali sono apparse storie di indicibili atrocità attribuite agli uomini di Hamas. Molti degli episodi più efferati si sono tuttavia rivelati falsi, sono stati smentiti dalla stessa stampa israeliana. Ciò non sminuisce la gravità dell’azione di Hamas. Ma sorge il dubbio che ingigantire ulteriormente gli orrori perpetrati dai miliziani palestinesi sia servito a giustificare l’inconcepibile distruzione che la successiva campagna militare israeliana avrebbe prodotto a Gaza.
Non si tratta dunque di accettare o negare la narrazione ufficiale del 7 ottobre. Non siamo di fronte a una scelta binaria e mutuamente esclusiva. Né si tratta di una scelta fideistica, di schierarsi da una parte o dall’altra. Si tratta invece di indagare ciò che è realmente accaduto quel giorno, perché ciò non è stato fatto dalle autorità israeliane e, salvo alcune lodevoli eccezioni, neanche dalla stampa, tantomeno quella occidentale.
Il presente volume non intende essere una ricostruzione completa ed esaustiva di quanto è accaduto il 7 ottobre, perché una simile ricostruzione potrà essere solo il risultato di indagini meticolose e approfondite, che in gran parte restano da compiere.
Esso intende più semplicemente mettere in risalto alcuni elementi chiave che possono contribuire a dare risposta almeno a una parte degli interrogativi citati sopra.
Allo stesso modo, esso cerca di arricchire di una (seppur rapida) contestualizzazione storica la narrazione di quegli eventi, poiché tale contestualizzazione è in gran parte mancata nella descrizione ufficiale, così come in quella compiuta dai nostri mezzi di informazione. La questione israelo-palestinese evidentemente non è nata il 7 ottobre, l’attacco di Hamas non è avvenuto in una dimensione astorica. Esso ha avuto delle motivazioni che possono essere comprese solo se si risale alle origini del conflitto, e solo se si conosce il contesto politico locale e regionale. Quest’ultimo, in particolare, è essenziale per comprendere perché gli eventi del 7 ottobre non abbiano avuto solo una portata limitata, bensì ripercussioni che hanno coinvolto l’intera regione.
Una corretta ricostruzione degli eventi e del loro legame con il passato è a sua volta imprescindibile per giungere a una risoluzione dei conflitti, contrastando l’inasprirsi delle contrapposizioni e il cristallizzarsi di visioni tanto fittizie quanto irreconciliabili.
Rimane l’amara constatazione che fin troppo spesso, e sempre più negli ultimi anni, i mezzi di informazione occidentali non hanno contribuito a una simile operazione, indulgendo invece in descrizioni parziali, manipolate e fantasiose della realtà, che ostacolano la comprensione degli eventi internazionali da parte dell’opinione pubblica e portano inevitabilmente a esacerbare le crisi.
Roberto Iannuzzi