Introduzione di Carlo Verdone a «Le 250 serie TV da non perdere»

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Verdone

Vi proponiamo l’introduzione di Carlo Verdone al volume Le 250 serie TV da non perdere di Mario Sesti, una guida indispensabile al meglio della nuova serialità televisiva. 

 

Le serie TV sono diventate il formato più popolare del linguaggio audiovisivo. Non c’è nulla che somigli di più a un romanzo che l’intera serie dei Soprano o di Mad Men, del Trono di Spade o di Mare fuori: la visione ci accompagna per un tempo prolungato, possiamo iniziare e interromperne la fruizione quando vogliamo, la durata può corrispondere a un numero sterminato di ore (l’equivalente necessario a leggere Guerra e pace o It). Chi avrebbe mai immaginato che i cosiddetti “telefilm” (o, addirittura, gli “sceneggiati”, in Italia) potessero finire per assumere uno spessore narrativo così robusto e interessante come quello di un libro di un illustre scrittore? Lo dimostra anche un altro importante aspetto. Cosa fa di queste serie la cosa più vicina alla letteratura che abbia abitato il nostro spazio domestico da molto tempo a questa parte? Innanzitutto la capacità di produrre personaggi poderosi e a tutto tondo come quelli di un romanzo ottocentesco. James Gandolfini (I Soprano) o Terry O’Quinn (Lost), Michelle Dockery (Downton Abbey) o Vanessa Scalera (Imma Tataranni) non rientravano nell’area degli attori particolarmente popolari prima di entrare a far parte del cast di un serial di grande successo, oggi sono una presenza familiare per chiunque.

Io sono nato e cresciuto con i film al cinema, per me il racconto è quello che unisce tante persone diverse che non si conoscono in una sala buia per al massimo un paio d’ore (tranne casi eccezionali): le storie che io ho raccontato per più di quarant’anni iniziano tutte con delle persone che si siedono nell’oscurità e finiscono poco prima che si alzino, nello stesso ambiente, muovendosi con quel tipico torpore che ti danno i film quando ne hai assorbito in pieno storia e personaggi ed è come se facessi un po’ fatica a staccarteli completamente di dosso prima di indossare di nuovo una giacca o un cappotto e guadagnare l’uscita. Ma devo ammettere che dalla fine del secolo scorso l’esperienza della serialità è diventata così appassionante da spingerti a volte a vere nottate (il cosiddetto binge watching) e serie di grande investimento produttivo, come Peaky Blinders o The Crown, avrebbero dovuto avere la possibilità di essere gustate come i grandi film in una sala buia. Forse se lo sarebbero meritato. Di recente, in realtà, mi è capitato anche di pensare qualcos’altro. I grandi registi del Novecento, da Buñuel a Fellini, da De Sica a Kubrick, da John Ford a Sergio Leone, hanno sempre, in sordina, lamentato le dimensioni limitate di quell’attenzione che lo spettatore di cinema è stato da sempre disposto a concedere. Entro quelle (quasi) due ore (o poco più) dovevano concentrare il loro lavoro. Che cosa ci avrebbero raccontato oggi, questi grandi del cinema, se avessero avuto a disposizione il tempo, i mezzi, la qualità di scrittura e recitazione di cui dispongono le migliori serie? E saranno capaci, le serie, di generare autori e opere, sogni e scoperte, come quelli che dobbiamo ai grandi del cinema?

Leggendo queste schede di Mario Sesti, e parlandone con lui, ho scoperto un altro aspetto molto importante. La nuova serialità ha riattivato forme e stili del racconto e del linguaggio cinematografico che per certi versi appartenevano alla sua archeologia: il flashback (cosa sarebbe Lost senza flashback?), il montaggio alternato (quasi tutti gli episodi di This Is Us sono costruiti come Intolerance di Griffith), il cliffhanger (una tecnica inventata dalle prime serie cinematografiche a episodi del muto). E come è possibile che i titoli di testa, quasi completamente aboliti, soprattutto dal cinema americano, siano diventati una forma superiore d’arte in molte serie (penso a quelli bellissimi di L’uomo nell’alto castello o di Westworld)? Da questo punto di vista le serie hanno ripescato dalla grande storia del cinema un patrimonio depositato in più di un secolo per farlo rivivere su monitor TV, schermi di computer, cellulari. È un fronte di libertà e innovazione che forse il cinema stesso non possiede più.

Io stesso, con Vita da Carlo, ho potuto sperimentare una idea di racconto del tutto innovativa rispetto alla mia filmografia: invece di interpretare decine di personaggi, imitandoli dalla vita vera, così come ho fatto iniziando la mia carriera, ho interpretato me stesso al centro di un microcosmo familiare e ambientale composto da una gremita popolazione di caratteri. È come se avessi rotto quello specchio in mille frammenti, ognuno dei quali possiede la voce di uno dei personaggi che ho creato e che ho potuto raccontare da vicino per tutto il tempo necessario.

Qualcuno dice che ormai, di serie, ce ne sono troppe (ma quando si parla di linguaggio e di cultura l’aggettivo “troppo” forse non dovrebbe essere usato). Questo libro è, credo, il primo tentativo di creare un repertorio, una selezione e una documentazione, che possa essere utile a orientarci quando ci troviamo di fronte l’homepage di Sky o delle piattaforme che, peraltro, a differenza di ciò che accadeva con il cinema, sono anche degli archivi (ovvero contengono anche gran parte della produzione degli anni passati). Provate, come ho fatto io, a usarlo per scegliere cosa vedere. Un libro ha sempre dalla sua un grado incontrovertibile di affidabilità e autorevolezza (era così per mio padre, è così per me e credo sia così per chiunque raggiunga l’età adulta). Questo libro scritto da Mario Sesti, un critico cinematografico che stimo molto – siamo diventati anche amici dopo un bel libro su Pietro Germi che lui aveva scritto e che io ho amato molto – è anche, per certi versi, un libro di buona degustazione. Come di fronte a una sterminata cantina, cerca di indicarci quali sono le bottiglie migliori e perché (i parametri principali: colori, aromi, gusto ed equilibrio – genere, racconto, recitazione, messa in scena). Ma spesso, fateci caso, la passione che si avverte nella scrittura contagia più di qualsiasi valutazione, analisi, interpretazione.

 

Carlo Verdone

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