La genesi di «Parlami» di Francesco Zani

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Alessandro detto Gullit è il protagonista di Parlami ed è nato in un freddissimo pomeriggio bolognese al riparo di un bar del centro. In quel momento non avevo bene in mente la sua storia, e non sapevo come sarebbe andata a finire. Ma c’era lui, e la sua compagnia non mi avrebbe fatto sentire solo per tanti mesi ancora. Gullit – mi permetto di chiamarlo solo con il soprannome perché penso di esserci abbastanza in confidenza – è un bambino che fonda un’esistenza intera sopra al suo mutismo. Le persone che restano in silenzio sono di gran lunga le più difficili da maneggiare ma sono le mie preferite. La gente come Gullit, in Romagna, viene chiamata semplicemente strambul, stramba. E lui lo è a pieno titolo perché oltre a non parlare sembra vivere tutto con distacco, con le sue risposte spiazzanti, la sua balbuzie e i suoi attacchi di panico, di cui solo il fratello si rende conto. È attorno a lui, alle sue corse in bicicletta, che si muove il mondo di Parlami. Un universo vero e concreto che risponde al nome di Riviera Romagnola.

Ci sono cresciuto quando ancora credevo esistesse solo quella porzione di Italia e ho capito il mio senso di appartenenza solo quando me ne sono andato, prima a Bologna e poi a Roma. L’ambientazione di questo romanzo si è consolidata proprio durante quegli anni di lontananza. Alla giusta distanza la vista migliora, e così dentro Parlami c’è molto sole, molto mare, molta sabbia, ci sono le torrette da cui i bagnini di salvataggio controllano che non succeda nulla, ci sono gli stabilimenti balneari, il cocomero, i gavettoni di ferragosto, la Cuccagna e tanti altri piccoli dettagli e tradizioni che mi hanno sempre affascinato. In Parlami c’è anche una Riviera diversa che spesso non ci piace raccontare, un mondo in cui il lavoro e i soldi sembrano valere più di tutto e in cui le persone sono troppo spesso considerate solo delle braccia e delle gambe. In questo romanzo non c’è una parola che non sia d’amore per Cesenatico, perché amare significa anche dire la verità e svelare qualche segreto.

Tutti i personaggi principali di questa storia hanno un segreto: inteso sia come qualcosa che non sa nessun altro ma anche come arma nascosta. La madre ha il segreto della sua arte, con cui ha decorato le pareti di casa e anche quelle del Bagno Beatles, lo stabilimento balneare di famiglia; il fratello maggiore ha il segreto di capire Gullit e di accorgersi dei suoi frequenti attacchi di panico; Gullit ha il segreto di essere quello che è, e ha il coraggio di farsi vedere triste anche in agosto sulla spiaggia assolata di Cesenatico; il padre ha moltissimi segreti che muovono questa storia ma ne tiene in tasca uno che per me è il più prezioso di tutti: ricorda le storie che si nascondono dietro i soprannomi.

In Romagna i soprannomi muovono il mondo. Ci sono quelli che coinvolgono storicamente intere famiglie e delimitano il cerchio delle appartenenze e ci sono quelli che invece ti si appiccicano addosso fin da bambino – che tu voglia o meno – e ti segnano per sempre. Ne ho sentiti di ogni tipo, in dialetto, in italiano, in inglese, ne ho dimenticati moltissimi e ne ho compresi altrettanti facendoli diventare una vera passione. Parlami ne è pieno perché è ricco di rapporti, di amici, di nemici, di famiglie. I soprannomi legano tutto, impastano il presente con il passato unendo in maniera indissolubile e potente la malinconia e la nostalgia.

Qualcuno una volta mi ha detto che la nostalgia è il sentimento degli intelligenti e il sapore del tempo che passa è la nota più marcata che ho cercato di dare a questo romanzo. Una nostalgia per qualcosa che ho vissuto ma anche per tutto quello che mi è stato solo raccontato. La tradizione orale romagnola ha pochi eguali, con gli aneddoti del passato che si arricchiscono e si riempiono fino a far scomparire la realtà dei fatti a favore delle favole e dei miti. E favola spero possa diventare anche il rapporto dei due fratelli – il maggiore che racconta e Gullit protagonista – una nuova storia da leggere e da raccontare per ritrovarsi negli anni ’90. Attorno c’è molto amore, in tutte le sue forme, anche quelle più dolorose. Perché “se non fa male non è vita, se non passa non è felicità” e anche se non ricordo più chi l’ha detto, rimane sempre una delle mie citazioni preferite.

 

Francesco Zani

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