La normalità del male: «Quando il mondo era giovane» di Carmen Korn

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Carmen Korn

In occasione dell’uscita di Quando il mondo era giovane, Giulia Pretta affronta alcuni temi contenuti nel primo volume della nuova saga di Carmen Korn.

 

Le persone normali, comuni, non si ritengono mai responsabili per gli eventi storici. La massa ha certamente il suo peso, ma la colpa e il merito di qualunque accadimento sono riferite a figure ben precise, responsabili più di altri. La storia è fatta dagli uomini, da leader, ispiratori, capofila che hanno dato il via a un’idea e che, nel bene e nel male, si vedranno assegnare un posto d’onore tra gli annali. Ma senza il supporto dei seguaci, di chi ha creduto in loro o anche di chi ha soltanto offerto la propria muta acquiescenza non avrebbero potuto realizzare nulla. Negli eventi buoni ciò dà un senso di orgoglio: c’ero anch’io, ho fatto la mia parte. Negli eventi catastrofici si cerca di minimizzare il proprio ruolo: cos’avrei potuto fare, tutti facevano così.

I romanzi tedeschi o ambientati in Germania nel Novecento non possono prescindere da una riflessione sul Terzo Reich. Il prima e il durante sono stati sviscerati da ogni possibile punto di vista e il dopo, con la divisione della Germania tra le due superpotenze di URSS e Stati Uniti, ha raddoppiato la possibilità di narrazione. Carmen Korn, nel primo di due volumi della sua nuova saga Quando il mondo era giovane, ha inserito nella narrazione, in maniera sottile, una riflessione su ciò che le persone comuni hanno fatto durante l’ascesa e il potere di Hitler.

Il romanzo si struttura su tre famiglie e tre città, Colonia, Amburgo e Sanremo. I vari rami della saga sono strettamente collegati tra loro da rapporti familiari o di amicizia e nel corso di tutto il decennio degli anni Cinquanta si osserva come ciascuno si rimetta in piedi e dia il via a una nuova epoca, da costruire sulle rovine dalla precedente.

Passati i primissimi anni dopo la fine della guerra, una ventata di ottimismo si diffonde: il dopoguerra è il periodo ideale per chi vuole fare qualcosa di completamente nuovo, si dice nel romanzo, ma anche sullo slancio dell’entusiasmo e del bisogno di vivere, con la prima giusta distanza dai fatti dal 1933 al 1945 si può iniziare a ragionare sul ruolo che ciascuno dei personaggi ha giocato.

Ciò che ne emerge non è un quadro eroico dei personaggi protagonisti del romanzo. Qui ci confrontiamo con le persone comuni, quelle che non sono state né accese sostenitrici né eroici avversari. La riva degli ignavi, che poi è sempre la stragrande maggioranza della popolazione tesa a salvaguardare sé stessa, ma senza la quale forse tutto il periodo non sarebbe stato così disastroso.

 

«Billa rimpiange di non essere rimasta accanto a Georg Reim».

«Se lo avesse fatto avrebbe dovuto lasciare il paese insieme a lui».

«Oppure provare a proteggerlo, come moglie e cittadina ariana».

«Ariana… con che naturalezza usavamo quest’assurda parola».

«Non siamo stati certo degli eroi, Heinrich».

 

Così discutono Gerda ed Heinrich, il ramo della saga che si svolge a Colonia, centrando e riconoscendo il ruolo che tutti loro hanno giocato.

Non sono certo gli unici. Billa, la cugina di Heinrich, nel pieno degli anni Trenta ha offeso e allontanato Georg Reim in quanto ebreo durante una festa e solo perché di fronte a lei c’era un giovane nazista che la corteggiava. Heinrich, alla scomparsa di un gioielliere che lavorava nella bottega di fronte alla sua galleria, riconosce di non essere andato alla Gestapo a pretendere spiegazioni.

Ci sono anche fatti meno minuti, come quello che accade a Elizabeth, personaggio del ramo della saga che si svolge nella ormai conosciutissima Amburgo dopo la trilogia del secolo, e che continua a tormentarla per gli anni a venire. Una situazione in cui bisogna davvero scegliere da che parte schierarsi e in quell’occasione a lei è mancato il coraggio per fare quella che sarebbe stata la scelta giusta e umana.

Non è nemmeno possibile nascondersi dietro a un’ignoranza di quanto stava accadendo. Quando Pips, il pianista ingaggiato da Gianni nella parte sanremese della saga, confida a Ursula cosa gli sia accaduto durante la guerra e della sua detenzione nella sede della Gestapo che un tempo era una gioielleria, Ursula non può negare di conoscere la verità e si rifugia in un laconico: «L’ho sentito dire».

Verrebbe allora da pensare: i personaggi di Quando il mondo era giovane si sentono in colpa per quanto hanno fatto o non fatto, per il ruolo che hanno ricoperto?

Alcuni di loro certamente sì e lo dimostrano con una continua ricerca di redenzione. Heinrich, in quanto gallerista d’arte, si impegna nel recupero delle opere di Freigang, pittore ebreo che non è sopravvissuto ai campi di concentramento. Ursula intreccia relazioni con uomini che la guerra ha spezzato sperando, forse, di pagare il debito della generazione precedente. Billa si pente della sua superficialità.

Altri si rifugiano in un desiderio di leggerezza e di gioia che possa in parte cancellare quanto successo. Kurt, marito di Elizabeth, spinge perché Nina si rifaccia una vita, è un ammiratore della cultura inglese, lui che durante la guerra ha mantenuto il suo ruolo e il suo lavoro e si è destreggiato senza problemi con la borsa nera.

 

Non si poteva esprimere cordoglio per tutti i morti di cui si sentiva parlare. Erano troppi.

…si ragiona all’ennesimo annuncio di una scomparsa. È una legittima forma di difesa che si mette in campo perché, se i personaggi si permettessero di riconoscere la propria responsabilità, non avrebbero l’energia per ricostruire il loro mondo.

 

«La guerra continua a perseguitarci», disse Heinrich. Ma era vero? Se pensava alla folla che si precipitava nei negozi in Hohe Strasse, durante il periodo pasquale, oppure prendeva d’assalto i grandi magazzini come Kaufhof, qualcuna di quelle persone si ricordava di Leonhard Tietz, il proprietario ebreo cacciato dai nazisti?».

 

Questa riflessione sullo stesso periodo storico tocca anche noi italiani e c’è un autore del secondo dopoguerra, Giovanni Guareschi, che affronta l’argomento della responsabilità del cittadino comune in un racconto del 1960 dal titolo Le colpe dei padri. I due dialoganti, Don Camillo e Carletto – quest’ultimo figlio di uno dei proprietari terrieri di Brescello – sono su posizioni opposte. Carletto, forte degli assolutismi della gioventù, dichiara che chi non si è schierato o si è schierato in buona fede deve riconoscere i propri errori e fare ammenda perché tutti, da chi sgancia la bomba atomica all’ultimo soldatino, hanno la stessa parte di responsabilità. Don Camillo, anche per il ruolo che ricopre, addebita le colpe a un’umanità che ha perso il senso della carità cristiana.

I personaggi di Quando il mondo era giovane non sono condannabili, è vero, ma una parte di colpa ce l’hanno e, in qualche modo, la riconoscono. Ed è concretizzata da una scelta commerciale di Heinrich, lui che vende riproduzioni di Colonia prima della guerra perché la gente ha bisogno di rinverdire i ricordi del passato quando ancora erano tutti innocenti. Quando il mondo era ancora giovane.

 

Giulia Pretta

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