In occasione dell’uscita in libreria di Fermento di Luglio, capitolo conclusivo del Ciclo del Sud di Erskine Caldwell, proponiamo l’articolo di Joe R. Landsdale apparso sul Venerdì di Repubblica il 29 aprile 2011.
Forse sono state le copertine troppo sgargianti; forse il fatto che fosse così prolifico e scrivesse a tratti in uno stile comico e deliberatamente volgare; o forse è perché ha avuto un successo enorme e ha guadagnato montagne di quattrini. Quale ne sia il motivo, Erskine Caldwell non è mai stato riconosciuto per quel che è stato: un importante autore letterario che ha scelto il Sud degli Stati Uniti come sfondo per le sue opere.
Nessuno avrebbe potuto facilmente immaginare che Caldwell, nato in Georgia nel 1903, figlio unico di un ministro del culto, sarebbe diventato uno scrittore generalmente associato a racconti impregnati di sesso e violenza, ignoranza e avidità. Anzi, trovandoselo davanti, nessuno avrebbe indovinato anche soltanto che facesse lo scrittore. Ben lungi dall’essere timido e riservato, era un uomo robusto e di bell’aspetto, molto più simile a un giocatore di football americano (come in effetti era stato) che a un autore.
E invece Caldwell ha fatto lo scrittore fino alla sua morte, nel 1987, diventando non solo uno dei più famosi della sua generazione, ma anche tra i più letti di tutti i tempi. Essere popolari e prolifici non è mai un buon biglietto da visita per i critici, che privilegiano autori meno produttivi e più oscuri; per questo, fin dagli esordi, Caldwell ha sopportato non poche stroncature, anche se per un certo periodo è riuscito a prevalere su ogni attacco e a essere considerato un romanziere di primo piano, nella stessa vena di William Faulkner e Flannery O’Connor. Mentre però la reputazione dei due colleghi si è consolidata nel tempo (con pieno merito), a quella di Caldwell è (immeritatamente) successo il contrario.
Quando il boom delle edizioni tascabili muoveva i primi passi, Caldwell permise che i suoi romanzi fossero ristampati con copertine vistose raffiguranti donne bellissime con gambe lunghe e vestite da contadinelle, a suggerire che i suoi libri parlavano soprattutto di sesso. Quelle copertine attrassero molti lettori, in un prima tempo quasi tutti uomini, e i libri di Caldwell vendettero incredibilmente bene. In effetti, il sesso non mancava, in quei romanzi, ma c’erano molte altre cose, incluso uno sguardo cinico sulle vite della gente del Sud, bianca e nera, sulla povertà e l’ignoranza, sull’obbedienza cieca alla religione, la ristrettezza delle opinioni in ambito politico e sociale, e una sorta di miope accettazione del razzismo.
La natura dei libri di Caldwell fece infuriare molti abitanti del Sud, convinti che l’autore li avesse traditi. I suoi romanzi, tuttavia, non intendevano rappresentare il Sud nella sua totalità, ma mostrarne gli aspetti peggiori con uno stile assai meno grossolano di quanto molti abbiano voluto credere. Caldwell, come Faulkner e O’Connor ha inventato la letteratura del Sud. Il suo approccio era diretto, solo apparentemente semplice, in realtà profondamente umoristico. Lo scrittore sembra condividere in pieno l’opinione di Mark Twain, secondo il quale l’umorismo è in realtà mortalmente serio. Una volta Twain ha detto: «Non c’e umorismo in paradiso», lasciando intendere che tutte le cose di cui si ride sono in un modo o nell’altro tragiche, anche se in scala minore. E che l’umorismo è prima di tutto uno strumento per mettere in ridicolo ed esaminare gli aspetti più oscuri della natura umana.
Benché Caldwell abbia scritto un numero considerevole di racconti, i migliori dei quali, a mio giudizio, sono stati raccolti in The Black and White Stories of Erskine Caldwell, la sua fama è legata soprattutto ai romanzi, e a due in particolare. È anche probabile che questi due libri abbiano stabilito una sorta di modello di riferimento perfettamente riconoscibile, che ha finito per danneggiare la reputazione letteraria dell’autore. Come James Cain, autore di crime novels irripetibili, Caldwell ha stabilito da subito che genere di storie voleva raccontare, e da allora, tranne poche eccezioni, ha continuato a seguire lo stesso filone in altri venticinque romanzi circa e in numerosi racconti e scritti.
La sua opera più famosa è stata La via del tabacco, pubblicato nel 1932. Quando apparve nelle librerie, colpì i lettori come un fulmine scagliato direttamente da Zeus. Non c’era mai stato niente di simile. Era un libro agile, veloce, spudorato. Per un lungo periodo la famiglia contadina dei Lester è stata famosa almeno quanto i Joad di Furore, il capolavoro di Steinbeck.
Se però i poveri bianchi di Steinbeck erano essenzialmente persone nobili e forti che lottavano per sopravvivere in tempi difficili, i sudisti gotici di Caldwell erano avidi, sessuomani e nobili quanta può esserlo un’erezione da Viagra. E avevano la stessa possibilità di redimersi di un maiale che sguazzi nel suo truogolo. L’approccio di Caldwell suggeriva chiaramente che i Lester non erano poveri e ignoranti per natura o indole, ma che erano state la povertà e l’ignoranza a trasformarli in quello che erano.
Il personaggio principale di La via del tabacco, Jeeter Lester, è quasi un puro, nella sua ignoranza e nella sua depravazione sociale. Infantile da un lato, ossessionato dalla morte dall’altro, terrorizzato che il suo corpo, come quello di suo padre, venga abbandonato in un fienile e rosicchiato dai topi, più che vivere la sua vita Jeeter si muove incespicando da un piccolo evento all’altro, sbagliando tutte le sue scelte. Il Romanzo di Caldwell ha una struttura episodica che fa pensare per più di un aspetto ai libri di Jim Thompson, ma con un maggior controllo dei materiali e una scrittura di qualità superiore. L’intento di Caldwell era estremamente serio, colto, insolito. È probabile che autori come John Fante e Charles Bukowski abbiano avuto un approccio ala materia narrativa molto più simile al suo rispetto a Thompson, e non è da escludere che abbiano subito il suo influsso. Proprio come loro Caldwell aveva un gusto e un occhio allenati a cogliere il grottesco, l’insolito, gli aspetti più infimi della natura umana.
La famiglia di La via del tabacco e le persone che le ruotano attorno ricordano più un branco di bestie selvatiche che un agglomerato di esseri umani: spose dodicenni, prostitute predicatrici dall’aspetto deforme e uomini pronti a sposare qualunque donna sia in condizione di metterli al volante di un’auto con una tromba che funzioni. È una parata insolita e affascinante di personaggi ed eventi, che trascina il lettore come se fosse legato a un mulo fuggito dalla stalla, in una corsa sfrenata che si conclude con un’esplosione purificatrice, un momento di abbagliante chiarezza. Val la pena ricordare che i romanzi di Caldwell hanno fatto infuriare così tanti uomini del Sud, e quanto a questo anche tanti cittadini «virtuosi» nel resto degli Stati Uniti, che alcuni dei suoi libri vennero sequestrati dalle autorità e considerati osceni e indecenti. I processi per vilipendio che ne conseguirono, e che rimangono degli autentici capisaldi della battaglia per la libertà di espressione, si conclusero con la vittoria di Caldwell: i suoi libri divennero di conseguenza ancor più celebri, trasformandolo in uno degli autori più popolari di tutti i tempi, e probabilmente contribuendo a collocarlo sulla lista nera che i presunti «esperti» riservano a chiunque sia troppo famoso, amato, ricco per meritare l’attenzione critica rivolta ai grandi . Questa ristampa italiana delle migliori opere di Caldwell ( che ha il sapore di una liberazione) è assolutamente meritata. Spero che la sua stella torni a brillare, che il suo talento venga riconosciuto e che possa finalmente essere collocato, se non sulla stessa fila di William Faulkner e Flannery O’Connor, almeno in un posto d’onore nel piccolo stadio che ospita i più grandi scrittori del Sud degli Stati Uniti.
JOE R. LANDSDALE