L’ombra radiosa dell’inverosimile – Sarah Waters su «Notti al circo» di Angela Carter

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Sarah Waters Angela Carter

In occasione dell’uscita in libreria di Notti al circo di Angela Carter vi proponiamo l’introduzione di Sarah Waters all’edizione inglese del romanzo pubblicata da Vintage Classics. 

 

Nel corso della sua carriera Carter ha sempre raccontato storie di trasformazione. Nella Camera di sangue le donne si tramutano in bestie, le bestie in uomini, in una continua allegoria del potere e del desiderio. Come in tutti i suoi romanzi, anche in Notti al circo ci sono vittime e carnefici, uomini e donne, ma la narrazione celebra in ultima istanza la liberazione, l’emancipazione dal mito e dai gioghi della mente, la scoperta della voce, dell’empatia, della coscienza, l’emergere di «un genere di musica completamente nuovo».

Il suo stile teatrale e fiabesco era senz’altro imparentato a quello degli altri grandi realisti magici, Salman Rushdie e Gabriel Garcia Marquez. Ma pochi altri autori, uomini o donne, ebbero la sua fantasia, la sua audacia letteraria, la sua temerarietà in fatto di lingua e di idee. Pochi ebbero la sua capacità di inquietare, ma anche di ispirare e consolare.

Notti al circo è il suo capolavoro, e anche il più coinvolgente e accessibile dei suoi romanzi. Le sue prime opere tendono alla stilizzazione. Notti al circo, al contrario, è un libro tentacolare, loquace, una storia picaresca di proporzioni rabelaisiane, con un’eroina adeguatamente esagerata: Fevvers, l’alata “Venere cockney” vittoriana, un metro e ottantacinque di donna in un paio di calze, con una voce «dagli echi metallici» e una faccia «grande e ovale come un piatto da portata». La straordinaria storia di Fevvers – raccontata nel corso di un’intervista a uno scettico giornalista americano, Jack Walser, in un camerino dell’Alhambra Music Hall – occupa la prima sostanziosa parte del romanzo. In seguito Walser, sempre alla ricerca del suo scoop, si unisce alla compagnia circense in veste di clown, e nella seconda e terza parte del libro finiamo inaspettatamente nella Russia degli zar. Prima nell’ingestibile confusione del circo di San Pietroburgo, poi nelle bianche distese da capogiro della Siberia. Man mano che il paesaggio diventa più estremo, Carter spinge ai limiti la forma romanzesca stessa. Il confortevole realismo dell’inizio lascia il posto, sospinto da fantasia e allegoria, alla trasformazione radicale. Alla fine del romanzo i caratteri individuali saranno riformati e le leggi sociali e di genere riscritte dall’“ombra radiosa dell’inverosimile” – un’espressione meravigliosa, che riassume perfettamente lo stile e l’ethos letterario di Carter.

Perché Carter era, tra le molte altre cose, una favolosa cantastorie, una bugiarda professionista, sempre pronta a gioire della narrazione e della sua irrispettosa forza originaria.

Notti al circo è pieno di gemme, nella sua struttura basilare troviamo incastonate le biografie dei personaggi minori. Ci sono le prostitute di Nelson, ad esempio, le prime a scoprire Fevvers, da poco «uscita dall’uovo» e già abbandonata in una cesta sulla soglia del loro bordello di Whitechapel. Ci sono le abitanti del museo delle donne mostro – Fanny Quattrocchi, la Meraviglia di Wiltshire e le altre – di cui Fevvers per un po’ condivide le fortune quando il bordello viene chiuso. Ci sono le artiste del Circo Imperiale: Mignon, la moglie dell’uomo scimmia; la Principessa abissina domatrice di tigri e Buffo il Clown, che perde il senno nel bel mezzo di uno spettacolo e viene affidato a un istituto psichiatrico – per la gioia dell’ignaro pubblico, convinto che tutto faccia parte della follia che regna sotto il tendone.

Le storie di questi personaggi spuntano come tanti boccioli nella già rigogliosa narrazione di Carter, sospingendola in direzioni inedite e sorprendenti, senza però mai farla vacillare o schiacciarla a terra. È un merito delle grandiose doti di romanziera di Carter se i suoi personaggi possono abitare questo universo sfacciatamente artificiale, pur rimanendo emotivamente trascinanti e fisicamente convincenti. Persino le piume di Fevvers convincono. Carter dovette averci riflettuto a lungo. «Pensate», disse una volta in un’intervista, «quanto sarebbe scomodo per una persona avere delle vere ali». Mi ha sempre affascinato l’attenzione che dedica all’aerodinamica di Fevvers, il modo in cui l’eroina scende nel dettaglio illustrando a Walser la sua meravigliosa ma sconveniente peculiarità fisica.

Con analoga agilità il romanzo rimane sul filo tra il realismo e la fantasia. L’ambientazione storica, ad esempio, è precisa e significativa – l’azione si svolge sul finire degli anni Novanta dell’Ottocento, e Fevvers è letteralmente una donna della sua epoca, una modella ritratta da Lautrec, che ha cenato con Willy e Colette, ha turbato gli piscoanalisti di Vienna ed è stata corteggiata dal Principe di Galles. Il suo esagerato vantare amicizie altolocate diventa più malizioso ed esuberante man mano che il romanzo procede. La penna di Carter volteggia con splendida disinvoltura nel canone letterario occidentale, saltando da Goethe a Shakespeare, da Poe a Swift, da Baudelaire a Mozart e a Blake, senza tralasciare anche allusioni a Yeats, Laurel e Hardy, Foucault e – «i diamanti sono i migliori amici di una ragazza», gongola Fevvers a un certo punto, mostrando i suoi pendenti – Anita Loos.

Come suggeriscono questi palesi anacronismi – e come Carter rende esplicito quando si arriva nella città «bella addormentata», che sarebbe la San Pietroburgo fin de siècle prossima ad essere destata dal «bacio rude e sanguinoso» della rivoluzione – Notti al circo non racconta la storia dei libri di studio. Narra piuttosto una storia fantasiosa, che intreccia le sue vicende ai vuoti, ai silenzi e alle eloquenti ombre dei fatti reali e comprovati.

La scrittura di Carter, non solo in questo romanzo ma in tutta la sua opera, è una celebrazione della parola, una celebrazione del linguaggio e di tutte le cose meravigliose che con esso si possono fare.
È questa combinazione di esuberanza ed eccezionale ottimismo, credo, che ha reso Notti al circo indimenticabile per così tanti lettori in passato e che lo rende di nuovo una fonte di ispirazione oggi, in un diverso clima politico ma in un’epoca in cui gran parte della narrativa inglese sembra improntata a uno stile privo di affetti, e interessata a temi come fallimento, declino e delusione. Come tutti i seri scrittori, Carter si confrontò esplicitamente con le questioni della sua epoca. Il suo resoconto del Circo imperiale fu scritto in un periodo in cui San Pietroburgo era già stata ribattezzata due volte, come Pietrogrado e Leningrado, ma prima che il suo nome originale fosse ripristinato, e in un mondo in cui Nike – la vittoria alata impersonata da Fevvers nel bordello di Whitechapel – era ancora un simbolo relativamente innocente.

Non si può fare a meno di chiedersi come Carter avrebbe trattato la politica post-comunista, la globalizzazione, il New Labour, l’invasione dell’Iraq, il terrorismo e – dato che uno dei suoi punti di forza, ritengo, era la capacità di saccheggiare allo stesso modo la cultura pop e il canone letterario – è impossibile non rimpiangere i romanzi irriverenti che le avrebbero ispirato la tv dei reality, il culto della celebrità, la chirurgia estetica e gli avvisi di pericolosità sociale. Fu una delle grandi scrittrici inglesi della fine del XX secolo e produsse romanzi, racconti, drammaturgie, articoli di giornale capaci di parlare a una temperie culturale condivisa, ma con uno stile che era solo suo. Fu anche enormemente influente. Rileggendo Notti al circo per questa nuova edizione, ho avuto modo di riscoprire nella loro forma più ricca e originaria molti dei temi che sono affiorati anche nella mia opera. Non avrei mai potuto scrivere i romanzi che ho scritto se non avessi prima letto quelli di Angela Carter. Ancora rimpiango di non avere mai avuto l’occasione di incontrarla e di ringraziarla.

Sarah Waters

Traduzione di Nicola Vincenzoni

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