Prefazione di Stefania Maurizi a «Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione» di Nils Melzer

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Assange

Vi proponiamo la prefazione della giornalista d’inchiesta Stefania Maurizi al saggio Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione di Nils Melzer, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura.

 

È chiuso nella prigione più dura del Regno Unito dall’aprile del 2019. La sua vita è appesa a un filo. La sua salute è devastata. Dal 2010 non conosce la libertà e rischia di perderla per sempre, finendo incarcerato a vita in una prigione di massima sicurezza, negli Stati Uniti, con criminali violenti, che non hanno rispetto per la vita umana. Ma lui non è un criminale. È un uomo innocente e non ha mai commesso un atto di violenza. Il suo unico crimine è aver rivelato la verità.

Si chiama Julian Assange ed è il fondatore di WikiLeaks, un’organizzazione che ha rivoluzionato il giornalismo e il diritto dell’opinione pubblica di sapere.

Assange e i giornalisti di WikiLeaks hanno rivelato centinaia di migliaia di file segreti del Pentagono, della CIA e della National Security Agency (NSA), le agenzie al cuore del complesso militare-industriale degli Stati Uniti, un leviatano che non risponde a nessuno e la cui potenza si fa sentire in ogni angolo del pianeta: decide guerre, colpi di Stato, spia intere nazioni, influenza elezioni e governi. Questi documenti hanno permesso di far emergere crimini di guerra, dall’Afghanistan all’Iraq, uccisioni stragiudiziali con i droni, massacri di migliaia di civili innocenti, torture dall’Iraq a Guantánamo. Non hanno fatto affiorare solo gravissime violazioni dei diritti umani commesse dagli Stati Uniti e dai loro alleati, hanno esposto anche abusi e scandali dei loro nemici: dai talebani alla Russia di Putin. Ma per il Pentagono, per la CIA e per l’organo della politica estera americana, il Dipartimento di Stato, vedere pubblicati per la prima volta centinaia di migliaia di file classificati, provenienti dai loro database e che rivelano i loro sporchi segreti, è stato come vedere uscire il sangue dalle loro vene più profonde. Un misto di shock e furore che ha fatto finire immediatamente Assange e i giornalisti di WikiLeaks al centro di una persecuzione senza fine e senza precedenti. Dal 2010, quando hanno rivelato i documenti segreti del governo americano, Assange non ha più conosciuto la libertà.

Non dimenticherò mai l’ultima volta che l’ho incontrato da uomo libero: era il 28 settembre 2010, era volato a Berlino con l’attuale direttore di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, per incontrare me e altri giornalisti di media internazionali e lavorare insieme ai file sulla guerra in Afghanistan. La notte prima era arrivato nel mio hotel dalla Svezia, senza bagagli. Le sue valigie, che contenevano alcuni computer criptati, erano misteriosamente scomparse in quel volo diretto Stoccolma-Berlino. Sparite per sempre. Da quel lontano settembre del 2010, l’ho incontrato decine di volte, ma sempre da recluso e confinato, e dal 2019 è incarcerato nella prigione più dura del Regno Unito: Belmarsh, a Londra.

Per il mio giornale, ho lavorato a tutti i file segreti di WikiLeaks, in partnership con Julian Assange e la sua organizzazione fin dal 2009. Ho subito alcune intimidazioni e pagato un prezzo alto in termini professionali. Ma nulla di paragonabile al prezzo insostenibile che ha dovuto pagare Julian Assange. Quello che ho visto in questo caso mi ha profondamente scioccato.

Mi ha scioccato la criminalità di Stato rivelata dai documenti di WikiLeaks, l’impunità assoluta di cui godono nelle nostre democrazie i criminali di guerra e i torturatori denunciati da quei documenti: vivono tranquilli, liberi come l’aria, dormono beati nei loro letti e si godono le loro famiglie. Mentre chi ha avuto il coraggio straordinario di far emergere le loro atrocità – come Assange, i giornalisti di WikiLeaks e le loro fonti – ha subito una crudele persecuzione. Assange ha dovuto sposare la moglie, Stella, dietro le sbarre di Belmarsh, i loro due bambini piccoli non hanno mai potuto incontrare il padre in condizioni di libertà, il più grande, Gabriel, era appena nato ed era già nel mirino delle spie, che pianificavano di ammazzare suo padre, avvelenandolo, per conto della CIA. Mi ha scioccato la campagna di demonizzazione lanciata contro il fondatore di WikiLeaks, la distruzione della sua salute fisica e mentale, la sua riduzione al silenzio.

Da quando ha perso la libertà nel 2010, Julian Assange ha bussato a ogni porta: ha fatto appello a una decina di corti, ha chiesto asilo politico, ha cercato rifugio in un’ambasciata e nel diritto internazionale, ha fatto ricorso alle Nazioni Unite. Niente e nessuno ha potuto restituirgli la libertà. E, per un intero decennio, il Quarto Potere, che in teoria doveva proteggerlo, è stato – tranne poche nobili eccezioni – tra i suoi più implacabili aguzzini.

Ma ci sono due istituzioni che mi hanno colpito per la loro integrità. Due istituzioni che non si sono piegate a pressioni e convenienze politiche e hanno avuto il coraggio di denunciare la sua persecuzione: il Working Group on Arbitrary Detention delle Nazioni Unite e il relatore speciale dell’ONU contro la tortura, negli anni tra il 2016 e il 2022: Nils Melzer.

Ho seguito fin dall’inizio il lavoro di quest’ultimo sul caso Assange. Indipendente e coraggioso, Melzer si è rivelato un relatore veramente speciale. Non si è fatto intimidire o blandire da quel complesso militare-industriale degli Stati Uniti e dei loro alleati che vuole Julian Assange, WikiLeaks e la loro rivoluzione completamente annientati. Poteva girarsi dall’altra parte e occuparsi esclusivamente dei tanti casi di tortura di cui sono responsabili i nemici dell’Occidente: dall’Iran alla Cina. Ma non si è voltato dall’altra parte, indagando solo sulle violazioni dei diritti umani commesse dai “nemici autorizzati”. Ha cercato la verità anche in un caso come quello di Julian Assange, che non gli ha creato di certo amici nei circoli del potere, dove si decidono carriere e fortune economiche e professionali.

Il silenzio e la pubblica apatia con cui sono stati accolti i risultati della sua indagine sugli abusi che ha subito il fondatore di WikiLeaks – inclusa la tortura psicologica – sono un altro aspetto di questa vicenda che mi ha fatto un’impressione che non riesco a superare.

Questo libro è la testimonianza eccezionale di Nils Melzer.

Leggerlo è combattere la disinformazione vergognosa che ha reso possibile la distruzione di Julian Assange. E non basta leggerlo. Bisogna impedire che si consumi l’atto definitivo di questa ingiustizia mostruosa: l’incarcerazione a vita del fondatore di WikiLeaks per aver rivelato crimini di guerra e torture.

Se non lo impediremo, la nostra società imboccherà una via autoritaria, perché solo nelle società autoritarie i giornalisti non possono rivelare gli sporchi segreti dei loro governi.

Con il caso Assange e WikiLeaks, siamo a un bivio. E mi sento rassicurata che, arrivati a questo bivio, ci siano persone come Nils Melzer e libri come questo.

 

Stefania Maurizi

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