Presentazione a «Bruges la morta» di Marco Lodoli

•   Il blog di Fazi Editore - Recensioni
A A A
bruges la morta

Pubblichiamo la presentazione di Marco Lodoli a «Bruges la morta» di Georges Rodenbach, da poco ripubblicato in una nuova edizione. 

 

Accerchiato e colpito dalla precisione catalogativa dei manuali di storia della letteratura, Bruges la morta prova a risorgere, fuori tempo e fuori luogo, solo come un romanzo che per caso ci incrocia e ci parla. Io lo incontrai tanti anni fa in una noticina del capitolo sui narratori decadenti europei e non so da che cosa compresi con sicurezza che questo libro era stato scritto per me. Forse il titolo, un sesto senso, un prurito. L’ho letto e non l’ho più dimenticato. Provai addirittura a tradurlo, vocabolari, pazienza, incertezze, dilettantismo, e dopo cinquanta pagine volli perdere in un bar il quaderno.
Certo, Bruges la morta si può sempre affrontare come documento letterario di un’epoca, per gusto archeologico o universitario, per studiare da quale brecciolino psicologico ha avuto inizio l’infelicità franante del nostro secolo. Si può sempre cucire un rapporto tra Rodenbach e i nostri crepuscolari, indovinare la stessa stoffa grigia e lisa, le stesse toppe cattolicheggianti, i risvoltini d’elegante desolazione simbolista. Ma questo non basterebbe a far sentire la necessità del romanzo, la sua appartenenza all’indistruttibile tribù dei piccoli classici, quei libri che senza incutere eccessivo timore aiutano a comprenderci meglio.
Non è un romanzo a tesi, ovviamente, ma mi sembra che abbia un tema forte, dominante, da cui Rodenbach non si discosta nemmeno quando il demone della descrizione sembra annebbiare le pagine. Il tema è quello della fedeltà diabolica e della giusta tentazione.
Hugues Viane, il protagonista del libro, ha perso la moglie e a questo lutto s’è aggrappato disperatamente. Ha creato in casa una sorta di macabro reliquiario, conservando tutti gli oggetti che appartennero alla donna tanto amata, compresa la sua treccia, che appare quasi una gomena bionda tesa tra la realtà e l’oltretomba. Hugues Viane, d’identità incerta, cerca consistenza nel culto della morte, in un sacerdozio che finalmente dia corpo alla sua evanescenza d’uomo senza qualità: la stessa città che ha attorno gli appare come una dilatazione del suo solenne rifiuto alla vita. Tutto è tristemente risolto, i giorni, i mesi e gli anni di Hugues Viane potrebbero accumularsi uno sull’altro come fiori appassiti davanti a un sepolcro. La gente pensa di lui: è un uomo riservato, onesto, perbene, lasciamolo in pace a macerarsi nella sua fedeltà a oltranza. E ogni lettore del libro di sicuro si riconosce in quest’atteggiamento, perché ognuno è passato per la presunzione di poter fare a meno di tutto in nome di un dolore; ogni ragazzo ha cercato in una fedeltà ossessiva la propria colonna vertebrale e la propria identità davanti alle sabbie mobili del mondo. Del resto, non ci hanno sempre insegnato che la coerenza è un valore supremo, che vile e meschino è chi tradisce gli affetti e i ricordi, che l’uomo retto non cambia bandiera, anche se in quel vessillo non soffia più il vento?
Ma il mondo irride i nostri principi, alza onde scandalose che travolgono le misere barriere morali. E così Hugues Viane, passeggiando lungo i canali brumosi di Bruges, incontra un’altra donna, sosia perfetta della prima, ma da essa diversa, come la vita è diversa dalla morte. Viane vorrebbe vedere confermata nel tempo la propria illusione d’eternità: vorrebbe che la copia mobile obbedisse al modello immobile, che la carne replicasse umilmente l’idea, che il mondo fosse specchio pudico d’un orgoglio. Ma la nuova donna, una ballerina, porta nel gioco la propria bella volgarità: ha i fremiti e le insofferenze, le sensualità e i capricci di ciò che, in quanto vivo, non si lascia comprimere nella perfezione di una bara.
E allora, grazie a questo romanzo, ho cominciato a capire qualcosa d’importante, vale a dire che non è giusto accusare la vita d’essere sporca e traditrice, di confonderci nell’anima con le sue contraddizioni. La colpa è di chi cerca a ogni costo conferme e mummificate fedeltà, non d’un mistero che esiste per smentirci, per sorprenderci e insegnarci un ordine fatto di sole eccezioni. Viane finirà, nel suo delirio d’impotenza, nella sua frustrazione di legislatore fallito, ngolangolando la giovane amante con la treccia della morta. Un epilogo, se vogliamo, un po’ troppo strillato, ma comunque efficace: chi persegue una cieca purezza, sembra dire Rodenbach, è pronto per il crimine.
Così, chiudendo anni fa Bruges la morta, compresi che era venuto il momento di abbandonare la fedeltà al dolore, quell’illusione di santità e di permanenza, e cominciai a cedere all’unica fedeltà possibile: alla vita che fugge.

Privacy Policy   •   Cookie Policy   •   Web Design by Liquid Factory