«Quello che non sai» di Susy Galluzzo

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Quello che non sai

L’inizio di Quello che non sai vede Michela, detta Ella, ferma davanti al cancello di un circolo del tennis, dove si allena la figlia tredicenne Ilaria, che, come al solito, la fa aspettare.

È lì, sola, insieme al cane Duccio. Impaziente, infuriata contro quella figlia che non ha mai rispetto per lei. Una figlia problematica, che vive e la fa vivere per i suoi rituali ossessivi, un legame viscerale che è la sua vita, ma anche la sua morte, in cui inizia e finisce la sua esistenza. Finalmente Ilaria decide di incamminarsi verso la madre, ma, all’improvviso, si blocca in mezzo alla strada per guardare il cellulare. Con la scarpa slacciata, come una bambina.

Mentre la figlia è distratta, Ella si accorge di una macchina che si sta dirigendo velocemente verso di lei. I suoi occhi fissano la scena, ma esita, non fa nulla. Si limita a osservare. Finché Ilaria e la macchina si ritrovano in un unico fotogramma. Fortunatamente la ragazzina si salva, grazie a Duccio che abbaia per avvertirla del pericolo. Caduta a terra, Ilaria incrocia lo sguardo della madre e le due donne realizzano quello che è successo.

Ero a soli venti metri da lei, o poco più, mentre fissavo l’auto grigia che avanzava, mentre scrutavo ogni dettaglio di quella macchina. Avrei potuto urlare, mi avrebbe sentita, come aveva sentito Duccio. Mi sarei potuta muovere, scagliarmi verso di lei e strattonarla per un braccio. Senza neanche farla cadere. Ne avrei tutto il tempo. Tutto il tempo. Ma non l’ho fatto. Mamma, non l’ho fatto.

È questo pensiero che tormenterà Ella da quel momento in poi e che influenzerà tutti i suoi comportamenti.
Ella si rende conto di non aver voluto salvare la figlia, di averne desiderato, anche per un solo attimo, la morte o, comunque, di averla abbandonata al suo destino.
Quello che non sai parla proprio della possibilità che una madre provi dei sentimenti inconfessabili verso i propri figli, che esista un lato oscuro, di cui non si può parlare, che la maternità trascina con sé. È la raccolta di numerose confessioni che in questi anni mi sono state fatte da amiche, colleghe, madri con cui ho avuto l’opportunità di parlare. Confessioni senza filtro, forse proprio perché la destinataria non era madre a sua volta e quindi poteva ascoltare senza giudicarle, senza contrapporre la propria esperienza come esempio.

Il rifugio e il confessionale di Ella, invece, è il diario che scrive alla madre morta. Perché la storia di Ella è anche quella di una grande solitudine. Ella è abbandonata dalla figlia, che ormai ha perso fiducia in lei, da suo marito, che non ne condivide le scelte scellerate, non ha presenze femminili con cui poter condividere il proprio tormento. È intrappolata in una realtà opposta rispetto al suo mondo di prima, che la vedeva ammirata, professionista brillante e sposata all’amore della sua vita. Per questo motivo ricerca un contatto con la madre, l’unica che l’abbia sempre sostenuta e da cui comunque Ella si nasconde dietro un mondo in parte inventato, fatto di torti e nemici e una verità per lei accettabile.
Il viaggio di Ella all’interno del romanzo è un percorso di crescita, attraverso cui la protagonista conquisterà il coraggio necessario per guardare a fondo in quei sentimenti inconfessabili e anche ad avere compassione verso se stessa, concedendosi alla fine una possibilità di riscatto e di rinascita.
Mi sono ormai abituata a descriverla così: Ella è tenera, sola, incompresa, disperata, sfortunata. Ella è una freak, bugiarda, maniaca del controllo, vigliacca. È furia distruttiva.
Io adoro Ella, ma non ho più riletto il romanzo da quando l’ho completato. La sua sofferenza, il suo non avere pace, sono disturbanti per me, dopo quasi tre anni di convivenza con lei. Ma spero che continui il suo viaggio, che dia sollievo al suo tormento e dia voce a pensieri mai svelati e che invece meritano attenzione e comprensione, perché inciampare è possibile, è inevitabile, in quel ruolo di madre che dura tutta la vita, e forse anche oltre.

 

Susy Galluzzo

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