In vista dell’uscita di Nuvole di Fango di Inge Schilperoord, vi proponiamo la recensione al libro scritta da André Van Loon, pubblicata dal «The Telegraph» il 7 maggio 2017.
Che tipo di uomo parla con la sua tinca?
André van Loon ammira il riuscitissimo – e oscuro – romanzo d’esordio di una psicologa forense.
Questo romanzo d’esordio, claustrofobico e travolgente, ci costringe a vedere il mondo attraverso gli occhi di un criminale. Non lascia intendere, quanto piuttosto dice in maniera esplicita, che dal suo protagonista non ci si può tenere lontani – è umano, è uno di noi: «tutto è come l’oceano, tutto scorre e s’incontra; tocchi in un punto e il tuo gesto si ripercuote agli antipodi della Terra», come diceva Dostoevskij. Tradotto dall’olandese, Nuvole di fango segue un giovane, Jonathan, che esce di prigione, torna dalla madre in una casa malmessa, passeggia lungo la spiaggia e le paludi del Nord dell’Olanda, pulisce del pesce in una fabbrica ed evita, per quanto possibile, il contatto umano. Un giorno esce e cattura una tinca, la porta a casa e la mette nel suo acquario. Parla al pesce in tono confortante: «“Sei riuscito a cacciare qualcosa, bello? Hai fame? Ti fa male, eh? Qualcuno ti ha conciato per le feste… Ma ti rimetterò in sesto… So che la vasca è piccola”, disse. “E che sei prigioniero. Ma qui sei al sicuro”».
Jonathan preferisce gli animali alle persone ed è infastidito da sua madre, una donna umile che vaga per la casa in silenzio – come fa lui – pregando a occhi chiusi e citando passi della Bibbia. Quando lui esce, si raccomanda come si fa con un bambino: «La madre gli ripeté di bere molto e lui ripeté di sì… Gli sembrò di sentire il respiro affannato e sibilante della madre nei propri polmoni».
Nonostante la bellezza del mare, delle dune e del cielo infinito, l’atmosfera è inesorabilmente sinistra. Il romanzo è pieno di frasi brevi, attente, enigmatiche: «Il cielo era ancora limpido e inondato di luce solare che premeva sulla terra»; «L’acqua del porto luccicava e sciabordava dolcemente contro il molo portando con sé dei rifiuti»; «La collanina con la croce che le pendeva sul petto andava su e giù al ritmo del suo respiro».
Anche la reticenza di Jonathan è inquietante. Schilperoord, una psicologa forense, nell’esergo cita Il mito di Sisifo di Albert Camus: «La domanda dell’uomo e il silenzio irragionevole del mondo».
Capiamo che Jonathan ha dei problemi. È umile fino a rasentare l’invisibilità, spaventato dalla sua stessa ombra. «Si rigirò qualche altra volta su un fianco e poi sull’altro e finalmente prese sonno, ma alcune ore dopo si svegliò sudato di soprassalto. Si tirò su di scatto. Ho sentito una botta? No, non è niente». Questa narrazione in terza persona, refrattaria al giudizio e provvista di quella che sembra una pazienza infinita, è uno dei punti di forza più acuti del romanzo. Sentiamo che “qualcuno” sta raccontando la storia del difettosissimo Jonathan – e allora perché non c’è resa dei conti?
Questo dubbio spinoso diventa agonia quando Jonathan incontra la bambina che portava a spasso il suo cane mentre lui era in prigione. Sarà lei, ignorata dalla madre e abbandonata dal padre, a farlo uscire dal suo guscio? Potrebbe essere l’inizio di una strana amicizia? A questo punto del romanzo, per molti lettori sarà difficile continuare. Non succede nulla di male, per quanto ne sa il mondo esterno, ma il loro rapporto non è felice, né per Jonathan né per la bambina. Nell’epilogo di Delitto e castigo Dostoevskij ci dona la redenzione di Raskolnikov, mentre tutto l’orrore dei capitoli precedenti viene miracolosamente allietato da una visione trasformativa. Schilperoord, al contrario, lascia al maestro russo la sua cristianità. Non conta. Nuvole di fango è profondamente inquietante, bellissimo, di una bellezza strana – e fa cadere il silenzio sul punto della storia in cui molti di noi desiderano giustizia o consolazione. È un esordio straordinario.